In cammino verso l'unità dei cristiani
(Biblioteca di scienze religiose)EAN 9788821305979
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DETTAGLI DI «In cammino verso l'unità dei cristiani»
Tipo
Libro
Titolo
In cammino verso l'unità dei cristiani
Editore
LAS Editrice
EAN
9788821305979
Pagine
288
Data
2005
Collana
Biblioteca di scienze religiose
COMMENTI DEI LETTORI A «In cammino verso l'unità dei cristiani»
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Recensioni di riviste specialistiche su «In cammino verso l'unità dei cristiani»
Recensione di Luigi Sartori della rivista Studia Patavina
Presento insieme i due volumi ("In cammino verso l’unità dei cristiani" e "Ecumenismo a quarant’anni dal Vaticano II"): perché tutt’e due non sono opera di singoli teologi ma contengono studi di vari autori; soprattutto perché affrontano il problema della «recezione» del Concilio in tema di ecclesiologia e con riferimento particolare al dogma del primato del Papa; il primo in modo diretto ed esplicito, il secondo solo in parte direttamente. Ma mi pare che il secondo situi il primato in un contesto piú ampio di rinnovamento dell’ecclesiologia, e quindi possa meglio aiutare ad aprirsi con saggezza ma anche con criticità al futuro rinnovamento della teologia cattolica relativamente al papato storico.
L’amico Donato Valentini ci offre gli Atti di un Simposio organizzato nell’Istituto di Teologia dogmatica della Pontificia Università Salesiana - Roma - nei giorni 26-27 marzo 2004. Cinque gli argomenti affrontati: il primato petrino, la giustificazione, la mariologia, l’etica, il fine dell’ecumenismo; ciascuno a due voci: dopo la trattazione da parte di un cattolico risponde quella di un rappresentante non cattolico. Alla fine, un intervento del presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, card. Walter Kasper, offre un succoso ricco bilancio circa la situazione attuale della teologica ecumenica.
Il prof. Valentini non si è limitato a programmare il progetto del Simposio; ci ha donato pure un suo ampio (quasi 50 pagine!; 148 le citazioni e note a piè pagina; piú 3 pagine di densissima bibliografia), ma utilissimo studio informativo-critico relativamente ai passi compiuti dai dialoghi teologici ecumenici sul problema del primato papale. Credo che finora non avevamo a disposizione un bilancio che lo potesse eguagliare quanto a scrupolosa completezza. Ammirevole poi lo sforzo di non lasciar perdere nemmeno un frammento di contributi degni di nota. Ma non si tratta di semplice raccolta bibliografica; l’Autore ordina in modo sistematico tutta la materia allegandovi personali riflessioni interpretative, anche critiche.
Gli «risponde» (per cosí dire) il teologo greco Sotirios Varnalidis, docente nella Università di Salonicco, con un lungo discorso sul punto di vista ortodosso circa il primato del Papa; anche questo con abbondante sottolineatura dei dati patristici e del riferimento ai dati scritturistici cui ricorre anche l’attuale dialogo e dibattito della teologia ortodossa, anche ufficiale, quando si confronta con quella cattolica.
Segue il «duetto» (!) a commento del dialogo recentissimo sulla «giustificazione»: tra Angelo Maffeis della Facoltà Teologica Interregionale di Milano e il luterano Jürgen Astfalk decano della Chiesa Evangelica in Italia. Il primo, ovviamente, piú autorevole a motivo della partecipazione diretta alla promulgazione del documento; però anche il secondo interessa per l’acutezza delle pertinenti sue osservazioni.
Il terzo confronto riguarda un tema raramente trattato: la mariologia; e viene svolto dal salesiano Antonio Escudero, anch’egli, come Valentini, docente alla UPS di Roma, e dal Bishop John Flack, direttore del Centro Anglicano di Roma.
Quarto tema (anche questo finora non molto frequente nei dialoghi ecumenici): quello dell’«etica». Anche qui incontriamo un docente alla UPS, Paolo Carlotti; che ha di fronte la pastora Almut Kramm, Vicedecano della Chiesa Luterana di Roma. Come nel precedente confronto (mariologia) sembra che i due contendenti… non giochino ad armi pari: solo il teologo fa professione di docente; eppure è bello che questi sia in ascolto di chi «pratica» le verità nell’ambito della pastorale (dopo averle studiate!).
Sulla questione del «fine dell’ecumenismo» (un ripensamento sempre necessario perché le mete in questo campo sono sempre da aggiornare, per adeguarsi alle nuove situazioni ma anche ai risultati conseguiti) discutono due «esperienze attive»: mons. Eleuterio Fortino, da vari anni Sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani; e Lord George Carey, arcivescovo emerito di Canterbury.
Infine, come accennavo sopra, ci viene offerta la relazione del card. Kasper.
Il secondo volume, curato dalla Facoltà Teologica di Torino, non presuppone un convegno del quale costituirebbe gli Atti. Si tratta solo di articoli commissionati. Anche qui si fa attenzione ai dialoghi ecumenici, ma piú ancora al contesto globale dei rapporti con l’Ortodossia, un po’ meno con il mondo protestante. Quanto al Protestantesimo ci si limita a un ottimo intervento del citato (nel precedente volume) A. Maffeis; sí, anche in ordine alla «Dichiarazione congiunta sulla giustificazione», ma piuttosto dentro il contesto piú generale dei rapporti tra Cattolicesimo e Riforma (soprattutto il Luteranesimo). Invece all’Ortodossia sono dedicati ben 4 articoli: uno sul dialogo ecumenico ufficiale (B. Petrà); gli altri tre su varie chiese ortodosse: della Serbia (T. Bremer), della Russia (A. Pacini), e sulle relazioni interortodosse d’Europa (Vasilios N. Makrides). A mio parere, però, qui il contributo di maggiore interesse è quello del notissimo domenicano p. Hervé Legrand, che discute della recezione del Concilio per ciò che concerne l’Unitatis Redintegratio, ma in fondo mirando a tutta intera l’ecclesiologia del Vaticano II. Il titolo del suo articolo si esprime quasi in positivo: parla dei «progressi dell’ecumenismo dopo l’UR»; ma di fatto esso mette in evidenza piuttosto le frenate dall’alto che hanno fatto tornare indietro dalle… aperture in avanti promosse dal Concilio. Mi riferisco soprattutto a due punti, per i quali p. Legrand si avvicina alle posizioni di W. Kasper nel dibattito di questi con Ratzinger «teologo»: quanto alla priorità ontologica e storica (appunto nostra qui nella storia) della chiesa locale rispetto alla chiesa universale (storica! non mistica!); appoggiandosi al n. 23 della LG dove si afferma che la chiesa universale (storica! non mistica!) «esiste (= ha esistenza, diventa realtà esistente) nelle e dalle chiese particolari». Si tenga presente però che il Prefetto della Congregazione della Fede (card. Ratzinger) era riuscito a far entrare in qualche testo di papa Woityla alcune formule teologiche che appoggiavano l’espressione quasi opposta: «Si può dire che anche le chiese particolari esistono nella e dalla chiesa universale». Dopo di ciò Ratzinger ha fatto appello proprio a tali testi del papa per aggiornare la «nozione di comunione» (1992), cosí che si dovrebbe dire ormai che… solo la chiesa universale, e proprio nelle sue istituzioni centrali, avrebbe diritto di intervento su tutte le chiese quando si trattasse di esercizio di autorità per la tutela e promozione della comunione. P. Legrand (ma non solo lui, e non solo Kasper!) non potrebbe sostenere che la Chiesa è «comunione di chiese», ma solo affermare, come in passato, che la Chiesa «è la comunione», e quindi che di fatto c’è solo la «comunione della Chiesa». Tutto questo alza barriere nei confronti dell’Ortodossia; per la quale la Chiesa è appunto «Comunione di chiese» (l’attuale «ecclesiologia eucaristica» – «dove si celebra Eucaristia c’è chiesa e già in qualche modo in pienezza» – (vedi Zizioulas) rafforzerebbe questa dottrina). Nel suo contributo (uno dei molti apparsi su diverse riviste, in armonia con altri eminenti teologi cattolici attuali), p. Legrand aggiunge l’appello a due recentissimi testi di dialogo che si possono ritenere due «grandi eventi di novità»: - il testo di Balamand (cattolici-ortodossi: che preme e spinge a superare l’uniatismo e a mirare alla meta di «chiese sorelle»), - e il testo, che già sopra ho qui segnalato, del «consenso differenziato» sulla Giustificazione, tra cattolici e luterani. Quanto a Balamand, però, alcuni (come anche Petrà, nell’articolo ospitato proprio nel presente volume) tendono ormai a non farne caso per il fatto che esso non è stato approvato da tutte le chiese ortodosse; invece giustamente Legrand ritiene di doverlo valorizzare perché esso costituisce comunque almeno il «segno» che all’interno del mondo ortodosso le dottrine di Balamand sono legittime e respirano l’aria del futuro (come capita spesso nella storia della teologia!). Inoltre il documento del «consenso differenziato» sulla Giustificazione inaugura un modo nuovissimo di prospettare il consenso: altro è la sostanza profonda di ciò su cui la fede, anche come dottrina, esige unanimità, e altro è il campo delle sue interpretazioni teologiche, che possono diversificarsi. Rispetto a certi giudizi di Roma, anche molto recenti, nei riguardi di testi di dialogo sottoposti alla «recezione» finale da parte dell’autorità, è stato fatto un salto notevole. Io penso, in questa materia, ai due princípi basilari, ufficializzati nei testi stessi del Concilio, a sostegno dell’ecumenismo: quello della «gerarchia delle verità», e quello dell’impegno a «distinguere la sostanza della verità rivelata, che coinvolge la fede, dalle forme umane culturali della sua espressione e interpretazione teologica». Finalmente (!) ci è dato di incontrarci con un caso lampante in cui si può e si deve fare ricorso al secondo principio appena richiamato, quello che appunto consente un «consenso differenziato».
E ora un confronto; brevemente.
Nel primo volume, pur mettendo in esercizio l’impegno ecumenico promosso dal Vaticano II, non c’è quasi traccia di tali orientamenti metodologici. Ovviamente mi riferisco soprattutto al tema del Primato, e quindi allo studio pur pregevolissimo dell’amico Valentini. Egli assume comunque con grande abilità alcune indicazioni di fondo. Accenna (una sola volta, mi pare, a p.70, in una citazione dallo scritto di un teologo tedesco) al criterio del consenso differenziato. Forse non è del tutto estraneo alla sua ottica: fa appello all’analogia per distanziare le tesi cattoliche dal contesto di discorsi filosofici e solo culturali; storicizza il concetto di «jus divinum» (ma Rahner lo aveva già fatto da tempo!); inoltre evidenzia spesso gli aspetti problematici delle varie posizioni; ma piú sovente di quelle che gli sembrano aprire troppo e mettere in crisi le tesi tradizionali… (s’intende, ovviamente: non quelle di un passato classico… Comunque egli mi sembra frenato da molta comprensibile prudenza; il criterio di misura per il suo pensiero è piuttosto la dottrina piú «sicura», quella ufficiale, non quella degli ecumenisti esploratori. Questi non sono pochi, ma sono lasciati quasi in periferia. Tra essi emerge appunto il p. Legrand; il quale sottolinea con sofferenza la «recezione» involutiva del Concilio; anche se lo fa da fedele discepolo di p. Congar e di altri fecondi donatori di teologia al Vaticano II. Ciò che egli annota relativamente alla riforma della Chiesa nelle sue strutture centrali è dottrina ripetuta ch’egli propone in vari testi e riviste; e la propone con cosciente serenità, e proprio legandosi ad altri ecumenisti che oggi sembrano tagliati fuori dagli eletti. Personalmente rimango molto fedele ai noti padri De Lubac, Congar, Tillard, ecc.
Il volume di Torino mi pare piú consono alla recezione della teologia conciliare; invece è diversa – diciamo cosí – ma un po’ lontana la teologia che in sedi ufficiali, o vicine anche geograficamente ad esse, interpreta il Concilio. Io penso che anche quella dei Padri sopra citati dovrebbe essere tenuta presente e con piú accurata e cordiale serenità.
Papa Benedetto XVI circa i rapporti con i fratelli ortodossi potrebbe nei fatti (oltre le teorie anche personali) aprire vie di conciliazione assai positive: per esempio, a proposito del primato, aveva proposto da tempo che ad essi si chieda soltanto che rivivano il modo di relazione con Roma che era in atto nel primo millennio; quello che il Vaticano II riconosce come valido nel n. 14 del Decreto sull’Ecumenismo: Roma non rappresentava la «prima istanza» per la soluzione delle questioni pertinenti alla comunione della Chiesa, ma l’«ultima istanza» quando fossero state tentate tutte le precedenti, inferiori. Certo, resta grande la fatica per gli ortodossi anche di fronte al cammino di… ritorno a quel passato. Ma la possibilità esiste; la porta è aperta.
Comunque, D. Valentini, che privilegia il discorso sui dati espliciti dei dialoghi ecumenici finora realizzati, quindi un discorso di «ratio theologica», chiudendo il suo lavoro (p. 70), riconosce l’importanza della «spiritualità» nel dialogo ecumenico; ma esplicita anche il valore dell’«amicizia», e proprio per i teologi impegnati in esso. Ciò significa che anche il teologo deve fare attenzione al coinvolgimento dell’umano, dei fattori non teologici (li chiama ancora cosí, mentre oggi li si eleva a costitutivi interni del lavoro teologico), quindi dell’antropologia concreta. Da questo, il passo non è lungo per giungere ad ammettere che la fede e la teologia non devono assumere «la cultura» in astratto, ma «le culture». Eccoci di nuovo al «consenso diversificato».
Concludendo: chi vuole (circa il Primato) disporre di «informazioni» adeguate, e pienamente affidabili, attinga da Valentini; chi desidera affrontare le problematiche di base che condizionano il dialogo teologico relativo al tema, affronti il discorso di p. Legrand. Comunque entrambi i volumi sono straordinari per ricchezza e per attualità.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
L’amico Donato Valentini ci offre gli Atti di un Simposio organizzato nell’Istituto di Teologia dogmatica della Pontificia Università Salesiana - Roma - nei giorni 26-27 marzo 2004. Cinque gli argomenti affrontati: il primato petrino, la giustificazione, la mariologia, l’etica, il fine dell’ecumenismo; ciascuno a due voci: dopo la trattazione da parte di un cattolico risponde quella di un rappresentante non cattolico. Alla fine, un intervento del presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, card. Walter Kasper, offre un succoso ricco bilancio circa la situazione attuale della teologica ecumenica.
Il prof. Valentini non si è limitato a programmare il progetto del Simposio; ci ha donato pure un suo ampio (quasi 50 pagine!; 148 le citazioni e note a piè pagina; piú 3 pagine di densissima bibliografia), ma utilissimo studio informativo-critico relativamente ai passi compiuti dai dialoghi teologici ecumenici sul problema del primato papale. Credo che finora non avevamo a disposizione un bilancio che lo potesse eguagliare quanto a scrupolosa completezza. Ammirevole poi lo sforzo di non lasciar perdere nemmeno un frammento di contributi degni di nota. Ma non si tratta di semplice raccolta bibliografica; l’Autore ordina in modo sistematico tutta la materia allegandovi personali riflessioni interpretative, anche critiche.
Gli «risponde» (per cosí dire) il teologo greco Sotirios Varnalidis, docente nella Università di Salonicco, con un lungo discorso sul punto di vista ortodosso circa il primato del Papa; anche questo con abbondante sottolineatura dei dati patristici e del riferimento ai dati scritturistici cui ricorre anche l’attuale dialogo e dibattito della teologia ortodossa, anche ufficiale, quando si confronta con quella cattolica.
Segue il «duetto» (!) a commento del dialogo recentissimo sulla «giustificazione»: tra Angelo Maffeis della Facoltà Teologica Interregionale di Milano e il luterano Jürgen Astfalk decano della Chiesa Evangelica in Italia. Il primo, ovviamente, piú autorevole a motivo della partecipazione diretta alla promulgazione del documento; però anche il secondo interessa per l’acutezza delle pertinenti sue osservazioni.
Il terzo confronto riguarda un tema raramente trattato: la mariologia; e viene svolto dal salesiano Antonio Escudero, anch’egli, come Valentini, docente alla UPS di Roma, e dal Bishop John Flack, direttore del Centro Anglicano di Roma.
Quarto tema (anche questo finora non molto frequente nei dialoghi ecumenici): quello dell’«etica». Anche qui incontriamo un docente alla UPS, Paolo Carlotti; che ha di fronte la pastora Almut Kramm, Vicedecano della Chiesa Luterana di Roma. Come nel precedente confronto (mariologia) sembra che i due contendenti… non giochino ad armi pari: solo il teologo fa professione di docente; eppure è bello che questi sia in ascolto di chi «pratica» le verità nell’ambito della pastorale (dopo averle studiate!).
Sulla questione del «fine dell’ecumenismo» (un ripensamento sempre necessario perché le mete in questo campo sono sempre da aggiornare, per adeguarsi alle nuove situazioni ma anche ai risultati conseguiti) discutono due «esperienze attive»: mons. Eleuterio Fortino, da vari anni Sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani; e Lord George Carey, arcivescovo emerito di Canterbury.
Infine, come accennavo sopra, ci viene offerta la relazione del card. Kasper.
Il secondo volume, curato dalla Facoltà Teologica di Torino, non presuppone un convegno del quale costituirebbe gli Atti. Si tratta solo di articoli commissionati. Anche qui si fa attenzione ai dialoghi ecumenici, ma piú ancora al contesto globale dei rapporti con l’Ortodossia, un po’ meno con il mondo protestante. Quanto al Protestantesimo ci si limita a un ottimo intervento del citato (nel precedente volume) A. Maffeis; sí, anche in ordine alla «Dichiarazione congiunta sulla giustificazione», ma piuttosto dentro il contesto piú generale dei rapporti tra Cattolicesimo e Riforma (soprattutto il Luteranesimo). Invece all’Ortodossia sono dedicati ben 4 articoli: uno sul dialogo ecumenico ufficiale (B. Petrà); gli altri tre su varie chiese ortodosse: della Serbia (T. Bremer), della Russia (A. Pacini), e sulle relazioni interortodosse d’Europa (Vasilios N. Makrides). A mio parere, però, qui il contributo di maggiore interesse è quello del notissimo domenicano p. Hervé Legrand, che discute della recezione del Concilio per ciò che concerne l’Unitatis Redintegratio, ma in fondo mirando a tutta intera l’ecclesiologia del Vaticano II. Il titolo del suo articolo si esprime quasi in positivo: parla dei «progressi dell’ecumenismo dopo l’UR»; ma di fatto esso mette in evidenza piuttosto le frenate dall’alto che hanno fatto tornare indietro dalle… aperture in avanti promosse dal Concilio. Mi riferisco soprattutto a due punti, per i quali p. Legrand si avvicina alle posizioni di W. Kasper nel dibattito di questi con Ratzinger «teologo»: quanto alla priorità ontologica e storica (appunto nostra qui nella storia) della chiesa locale rispetto alla chiesa universale (storica! non mistica!); appoggiandosi al n. 23 della LG dove si afferma che la chiesa universale (storica! non mistica!) «esiste (= ha esistenza, diventa realtà esistente) nelle e dalle chiese particolari». Si tenga presente però che il Prefetto della Congregazione della Fede (card. Ratzinger) era riuscito a far entrare in qualche testo di papa Woityla alcune formule teologiche che appoggiavano l’espressione quasi opposta: «Si può dire che anche le chiese particolari esistono nella e dalla chiesa universale». Dopo di ciò Ratzinger ha fatto appello proprio a tali testi del papa per aggiornare la «nozione di comunione» (1992), cosí che si dovrebbe dire ormai che… solo la chiesa universale, e proprio nelle sue istituzioni centrali, avrebbe diritto di intervento su tutte le chiese quando si trattasse di esercizio di autorità per la tutela e promozione della comunione. P. Legrand (ma non solo lui, e non solo Kasper!) non potrebbe sostenere che la Chiesa è «comunione di chiese», ma solo affermare, come in passato, che la Chiesa «è la comunione», e quindi che di fatto c’è solo la «comunione della Chiesa». Tutto questo alza barriere nei confronti dell’Ortodossia; per la quale la Chiesa è appunto «Comunione di chiese» (l’attuale «ecclesiologia eucaristica» – «dove si celebra Eucaristia c’è chiesa e già in qualche modo in pienezza» – (vedi Zizioulas) rafforzerebbe questa dottrina). Nel suo contributo (uno dei molti apparsi su diverse riviste, in armonia con altri eminenti teologi cattolici attuali), p. Legrand aggiunge l’appello a due recentissimi testi di dialogo che si possono ritenere due «grandi eventi di novità»: - il testo di Balamand (cattolici-ortodossi: che preme e spinge a superare l’uniatismo e a mirare alla meta di «chiese sorelle»), - e il testo, che già sopra ho qui segnalato, del «consenso differenziato» sulla Giustificazione, tra cattolici e luterani. Quanto a Balamand, però, alcuni (come anche Petrà, nell’articolo ospitato proprio nel presente volume) tendono ormai a non farne caso per il fatto che esso non è stato approvato da tutte le chiese ortodosse; invece giustamente Legrand ritiene di doverlo valorizzare perché esso costituisce comunque almeno il «segno» che all’interno del mondo ortodosso le dottrine di Balamand sono legittime e respirano l’aria del futuro (come capita spesso nella storia della teologia!). Inoltre il documento del «consenso differenziato» sulla Giustificazione inaugura un modo nuovissimo di prospettare il consenso: altro è la sostanza profonda di ciò su cui la fede, anche come dottrina, esige unanimità, e altro è il campo delle sue interpretazioni teologiche, che possono diversificarsi. Rispetto a certi giudizi di Roma, anche molto recenti, nei riguardi di testi di dialogo sottoposti alla «recezione» finale da parte dell’autorità, è stato fatto un salto notevole. Io penso, in questa materia, ai due princípi basilari, ufficializzati nei testi stessi del Concilio, a sostegno dell’ecumenismo: quello della «gerarchia delle verità», e quello dell’impegno a «distinguere la sostanza della verità rivelata, che coinvolge la fede, dalle forme umane culturali della sua espressione e interpretazione teologica». Finalmente (!) ci è dato di incontrarci con un caso lampante in cui si può e si deve fare ricorso al secondo principio appena richiamato, quello che appunto consente un «consenso differenziato».
E ora un confronto; brevemente.
Nel primo volume, pur mettendo in esercizio l’impegno ecumenico promosso dal Vaticano II, non c’è quasi traccia di tali orientamenti metodologici. Ovviamente mi riferisco soprattutto al tema del Primato, e quindi allo studio pur pregevolissimo dell’amico Valentini. Egli assume comunque con grande abilità alcune indicazioni di fondo. Accenna (una sola volta, mi pare, a p.70, in una citazione dallo scritto di un teologo tedesco) al criterio del consenso differenziato. Forse non è del tutto estraneo alla sua ottica: fa appello all’analogia per distanziare le tesi cattoliche dal contesto di discorsi filosofici e solo culturali; storicizza il concetto di «jus divinum» (ma Rahner lo aveva già fatto da tempo!); inoltre evidenzia spesso gli aspetti problematici delle varie posizioni; ma piú sovente di quelle che gli sembrano aprire troppo e mettere in crisi le tesi tradizionali… (s’intende, ovviamente: non quelle di un passato classico… Comunque egli mi sembra frenato da molta comprensibile prudenza; il criterio di misura per il suo pensiero è piuttosto la dottrina piú «sicura», quella ufficiale, non quella degli ecumenisti esploratori. Questi non sono pochi, ma sono lasciati quasi in periferia. Tra essi emerge appunto il p. Legrand; il quale sottolinea con sofferenza la «recezione» involutiva del Concilio; anche se lo fa da fedele discepolo di p. Congar e di altri fecondi donatori di teologia al Vaticano II. Ciò che egli annota relativamente alla riforma della Chiesa nelle sue strutture centrali è dottrina ripetuta ch’egli propone in vari testi e riviste; e la propone con cosciente serenità, e proprio legandosi ad altri ecumenisti che oggi sembrano tagliati fuori dagli eletti. Personalmente rimango molto fedele ai noti padri De Lubac, Congar, Tillard, ecc.
Il volume di Torino mi pare piú consono alla recezione della teologia conciliare; invece è diversa – diciamo cosí – ma un po’ lontana la teologia che in sedi ufficiali, o vicine anche geograficamente ad esse, interpreta il Concilio. Io penso che anche quella dei Padri sopra citati dovrebbe essere tenuta presente e con piú accurata e cordiale serenità.
Papa Benedetto XVI circa i rapporti con i fratelli ortodossi potrebbe nei fatti (oltre le teorie anche personali) aprire vie di conciliazione assai positive: per esempio, a proposito del primato, aveva proposto da tempo che ad essi si chieda soltanto che rivivano il modo di relazione con Roma che era in atto nel primo millennio; quello che il Vaticano II riconosce come valido nel n. 14 del Decreto sull’Ecumenismo: Roma non rappresentava la «prima istanza» per la soluzione delle questioni pertinenti alla comunione della Chiesa, ma l’«ultima istanza» quando fossero state tentate tutte le precedenti, inferiori. Certo, resta grande la fatica per gli ortodossi anche di fronte al cammino di… ritorno a quel passato. Ma la possibilità esiste; la porta è aperta.
Comunque, D. Valentini, che privilegia il discorso sui dati espliciti dei dialoghi ecumenici finora realizzati, quindi un discorso di «ratio theologica», chiudendo il suo lavoro (p. 70), riconosce l’importanza della «spiritualità» nel dialogo ecumenico; ma esplicita anche il valore dell’«amicizia», e proprio per i teologi impegnati in esso. Ciò significa che anche il teologo deve fare attenzione al coinvolgimento dell’umano, dei fattori non teologici (li chiama ancora cosí, mentre oggi li si eleva a costitutivi interni del lavoro teologico), quindi dell’antropologia concreta. Da questo, il passo non è lungo per giungere ad ammettere che la fede e la teologia non devono assumere «la cultura» in astratto, ma «le culture». Eccoci di nuovo al «consenso diversificato».
Concludendo: chi vuole (circa il Primato) disporre di «informazioni» adeguate, e pienamente affidabili, attinga da Valentini; chi desidera affrontare le problematiche di base che condizionano il dialogo teologico relativo al tema, affronti il discorso di p. Legrand. Comunque entrambi i volumi sono straordinari per ricchezza e per attualità.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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