L' uomo postmoderno. Tecnica, religione, politica
(Filosofia)EAN 9788821187049
Il volume di Possenti entra nel merito delle questioni centrali che attanagliano la postmodernità culturale con le quali ci si trova oggi a fare direttamente i conti. In un’epoca in cui la profezia nietzschiana dell’oltre uomo sembra prendere la forma del post-umano, che rifiuta ogni essenzialismo e proclama l’essere umano passibile di infinite metamorfosi, in un momento storico che raccoglie la crisi della cultura umanistica per cui l’uomo “è antiquato” (G. Anders) e il tramonto di una fondazione ontologica dell’essere umano e della sua natura, le sfide sul piano politico e biopolitico sono davanti a noi ed evidenziano tanto il deficit di una cultura soltanto procedurale, quanto la necessità di riscoprire un orizzonte di principio nel quale costruire con solide basi le linee guida per far fronte agli interrogativi a volte inquietanti. Il fondamento da cui ripartire è individuato nel principio-persona. Proprio il rifiuto del carattere di persona, i malcelati antipersonalismi e apersonalismi della cultura odierna, l’abbandono dello sguardo ontologico, sarebbero all’origine dell’individualismo del liberalismo politico odierno, incapace di affrontare le sfide e prigioniero del formalismo procedurale. La domanda antropologica riemerge costitutiva nel dibattito politico ed etico, ed il principio-persona, declinato come un personalismo sostanziale e relazionale, permetterebbe una posizione capace di valorizzare l’umano nelle sue molteplici dimensioni. Tale principio «che trova il suo baricentro nell’area del cristianesimo da cui è stato generato, è chiamato ad esercitare in Occidente ed oltre quel compito unificante ed accomunante che fu svolto dalla religione. Il Principio-persona fu una scoperta per il mondo: stabilisce una direzione della storia universale ancor più che il principio libertà che gli appartiene ma che non lo esaurisce. Una scoperta ancora largamente in cammino, se molti contesti geoculturali non l’hanno ancora conosciuto» (pp. 10-11). Dalla domanda sull’uomo e la sua identità, l’orizzonte si allarga, nella prima parte del volume, verso la società di cui si parla nel cap. II interrogandosi sulla soggettività della società e sulla categoria di alienazione, ancora valida per l’oggi. Un personalismo ontologico richiama anche la tematica non rinunciabile del bene comune, oggi il più delle volte rimpiazzato da teorie sulla giustizia; scrive l’autore: «con nuova chiarezza si domanda di ribadire il nesso costitutivo tra persona e bene comune. Ciò di cui abbisogniamo è una concezione personalistica che individui nel personalismo egualitario e nell’assioma dignitas humana servanda est il primo principio di un ordine politico nuovo. Il personalismo egualitario dà voce all’idea che le unità sociali fondamentali di rilevanza ontologica, morale e politica sono le persone, portatrici di eguale valore ed eguale dignità, e non gli Stati o altre forme di associazione umana» (pp. 76-77). La questione della tecnica e la domanda sull’educazione, tanto urgente quanto lungamente trascurata, chiudono la prima parte. Nella seconda parte il filo conduttore è il rapporto tra religione e politica, in considerazione del rapido ritorno delle religioni nella sfera pubblica. Da più parti la postmodernità è stata definita l’epoca della “secolarizzazione della secolarizzazione”. Il processo di secolarizzazione iniziato nella modernità, lungi dal produrre una progressiva ed inarrestabile scomparsa della prospettiva teologica, della separazione tra religione e politica, e il confinamento della prima nell’esclusivo spazio del privato, fa i conti con il ritorno del sacro; il presente oggi «è una labile linea di confine tra la “morte di Dio” e il “ritorno di Dio”: se il primo tema forse indietreggia pur rimanendo un topos notevole, il secondo avanza e anche la cultura secolarizzata dovrà considerarlo con attenzione. Il motivo basale è presto individuato, e consiste nella crescente difficoltà in cui versa la ragione secolarizzata a rispondere alle domande ineludibili sul senso e il fine del nostro esistere» (p. 8). In una società postsecolare, luogo del tramonto dell’epoca della neutralizzazione pubblica della religione, il cammino di ricucitura tra sfera pubblica e religione (dopo l’abbandono del laicismo francese postrivoluzionario e il superamento del rapporto propugnato da Rawls e Habermas) esige la riformulazione del paradigma liberale, in modo da superarne i limiti senza rifiutarne le premesse, in riferimento a tre nuclei: libertà, laicità e problema di Dio. In particolare quanto alla libertà l’autore contesta l’assunto secondo il quale essa costituisca il fine della vita sociale e politica; la libertà non è abbastanza per una decente vita pubblica e lo scopo della res publica va individuato nel bene comune. Quanto alla laicità il metodo dell’etsi Deus non daretur «comporta il rischio di difendersi rispetto all’apporto umanistico più fecondo della rivelazione cristiana, cioè la salvaguardia di un senso profondo e non utilitario dell’umano, il divino rispetto del debole e dell’altro, la fecondità della protesta verso un mondo senza spirito, ossessionato dal potere che prevarica e dalla forza che schiaccia senza remissione» (p. 149). Infine, quanto al problema di Dio, occorre superare una comprensione solo sociologica della religione, quale sorgente esclusivamente etica e luogo di rito, per rimettere al centro la domanda sulla verità della religione. Finito il tempo della rivoluzioni intramondane ed atee, l’attuale congiuntura storico-spirituale ospita un moto verso una rivoluzione umanistica nutrita religiosamente, «che intende la fede come centro del rapporto dell’uomo con sé, l’altro, Dio, la società» e al cui cuore «sta la passione per la persona e la cura per la vita comune degli uomini» (p. 228).
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2009
(http://www.pul.it)
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