La culla di Dioniso. Storie musicali del passato prossimo
(La sabiana)EAN 9788821159176
Un dio lo può. /Ma come potrà un uomo, /dimmi, seguirlo sull’esile lira? L’uomo è in discordia. Non ha templi Apollo /dove in cuore s’incrociano due vie. /Il canto che tu insegni non è brama /non cerca meta che s’attinga al termine. /Canto è esistenza. Al dio facile cosa. /Ma noi, noi quando siamo?...». Con questi versi, tratti da Il tempio dell’ascolto del poeta Rilke, s’inizia un viaggio, una folle corsa tutta tesa su di un difficile cri- nale in cui si sposa la canzone con la poesia, la musica popolare e colta con il Festival di Sanremo, la follia con la sapienza, il logos con il kaos: fanno da guida Apollo e Dioniso, gli dei che, a loro volta, hanno accompagnato Francesco Giardinazzo nello scrivere un bizzarro, quanto affascinante volume sulle storie musicali del nostro passato prossimo.
Erudito, senza boria o autocompiacimenti di sorta, nel maneggiare una materia così magmatica con i suoi molteplici rimandi alla filosofia e alla critica letteraria, Giardinazzo muove i primi passi proprio dalla culla del dio dei baccanali. Culla che viene identificata con la voce intesa come fatto originario che precede la distinzione tra la cultura orale e ciò che, invece, costituisce la civiltà della scrittura. Nel mondo contemporaneo abbiamo, invero, assistito ormai da tempo alla perdita della capacità di ascolto. Eppure la parola sia essa detta, recitata o cantata irrompe sulla scena innanzitutto come suono: assistere a un reading di poesia significa poter fruire di un fluido sonoro costituito da una ghirlanda di versi la quale, a sua volta, con il suo carico di sonorità innesca tutta una serie di meccanismi di tipo interpreta- tivo che raggiungono il livello di significato nel momento in cui si crea un uditorio. Per Giardinazzo questo cortocircuito tra la parola pro- nunciata e la parola ascoltata vale sia per La casa dei doganieri di Montale sia per Via del Campo di Fabrizio De André. L’idea basilare del suo lavoro consiste, però, nel non confondere, in alcun caso, i campi della poesia e della canzone.
Esse, tuttavia, pur se rigorosamente distinte, posseg- gono nel fatto vocale un punto di contatto che le accomuna. Interrogarsi sulla differenza tra orale e vocale come fa il giovane studioso calabrese, docente di Teoria e analisi del testo letterario presso la Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori dell’Università di Bologna, sede di Forlì, vuol dire riflettere su di essa. Ponendosi sulla scia di Adriana Cavarero, filosofa della differenza, Giardinazzo vede lo spazio della vocalità in qualche modo distinto e giustificato a posteriori da quello che gene- ralmente viene considerato il logos, mentre la dimensione orale diviene un affascinante sen- tiero che conduce alla phonè. In questa pro- spettiva se nello spazio della vocalità il corpo è assente, nella dimensione orale, al contrario, esso è addirittura onnipresente. Non a caso nel libro si citano le riflessioni di Gianfranco Contini sulla poesia onomatopoietica del Pascoli: essa altro non è che l’estrema riduzione dello iato esistente tra ciò che è significativo e ciò che è puramente sonoro.
Le canzoni costituiscono, pertanto, l’esperienza sonora nella quale la voce interagi- sce divenendo tutt’uno con la dimensione musicale. Dioniso in questo viaggio in territori ancora in parte inesplorati irrompe, dunque, con tutta la sua eversiva potenza dettata dalla phonè: di questa forza fu autentica rivelazione Demetrio Stratos, leader degli Area international popular group, il gruppo musicale più creativo del rock italiano degli anni Settanta. Questi ultimi, di fatto, non sono soltanto gli anni degli scontri sociali, degli attentati di matrice neofascista o di derive terroristiche di un segmento della sinistra extraparlamentare, furono – forse prima di tutto – anche gli anni di una magmatica creatività che investì ogni ambito artistico non solo musicale. A testimonianza di quanto allora avvenne, i due capitoli centrali del libro, sono dedicati agli Area e alla loro odissea sonora: Stratos, musicista, cantante, performer unico e irripetibile, «archeologo della voce» in grado di emettere tre suoni contemporaneamente, esaltò sino al diapason la differenza tra orale e vocale. In pagine che si leggono tutte d’un fiato si dipana il tentativo, perfettamente riuscito, di trovare il punto d’intersezione tra la figura di Orfeo e l’avventura della parola detta.
Il mito è, in realtà, ciò che insegue Giardinazzo perché solo in esso riesce a trovare la culla di Dioniso, ovvero la voce. Se nella canzone è essenziale la necessità di raccontare una storia, spesso specchio dei tempi, come ad esempio Se potessi avere mille lire al mese o Papaveri e papere, entrambe visceralmente classiste nel loro esaltare una vita tutto sommato mediocre e ipocrita, in brani musicali come quelli degli Area troviamo non solo il rifiuto di fare business ma, dato an- cor più «eversivo», la sistematica volontà di operare trasversali contaminazioni musicali di estrazione popolare a iniziare da quelle bulga- re, come testimonia il motivo iniziale di Luglio, agosto settembre (nero): una specie di world music in anticipo di ben dieci anni. Ciò che Giardinazzo nel suo originale vagabondaggio intellettuale ricerca è il «suono perduto», vale a dire tutto ciò che precede la lallazione del bambino. In questa fase – com’è noto – i bambini perdono i suoni per acquisire la voce: nel momento in cui ci si ap- propria di quest’ultima si perde irrimediabilmente la gamma espressiva tipica del suono. La voce risulta così addomesticata, incatenata ad Apollo: Stratos, seguace di Dioniso, a suo tempo la scatenò, spezzando ogni legame che la inchiodava.
Citando l’ultimo vero grande poeta maledetto, Paul Valery, Giardinazzo delimita la so- glia di confine che separa il suono dal significato, soglia che si pone all’origine del poetico: il suono cerca di diventare significato solo se entra nel mondo del vocale che ha bisogno, a sua volta per comunicare, del segno. Stratos, al contrario, ha rappresentato con la sua irriverente phonè il destino di Orfeo, il cantore lacerato: la voce muore con il poeta come sta a testimoniare il destino della parola in molte società, compresa la nostra. Il cammino di Giardinazzo nei sentieri delle nostre storie musicali del passato prossimo termina con un invito ad ascoltare il viaggia-storie Vinicio Capossela, un viaggiatore cantastorie. Capire la musica significa non stare fermi, come sinora dimostrato da questo autore nato ad Hannover da genitori provenienti dal Sud, amante del paesaggio e dello scorrere della strada la cui esistenza si potrebbe così racchiudere: «Viaggio, dunque suono». Un’utopia, quindi, intesa come sutura di una lacerazione perennemente in cerca di un ponte nell’arcipelago di civiltà in cui viviamo, nel quale ritrovare «il miraggio del vivere e del cantare del viaggio» medesimo. Un miraggio, una sfida concreta per tutti gli uomini, credenti o meno, in cerca di quel suono originario portatore di eco di speranza che non cessa mai di attrarre.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 6/2010