La politica che non c'è
-Da cittadini attivi nella polis
EAN 9788820983208
Il titolo del volume può trarre, almeno immediatamente, in inganno. Ci si potrebbe aspettare, infatti, una sorta di “necrologio” della politica. Invece, già dal sottotitolo si viene introdotti nella proposta dell’autore: rimotivare, alla luce dei principi della dottrina sociale della chiesa, l’impegno inderogabile del laico cristiano nell’ambito dell’amministrazione della cosa pubblica. È un volume, dunque, indirizzato particolarmente alla comunità dei credenti con l’obiettivo di riprendere in mano il timone dell’impegno sociale e politico, esercitando il diritto-dovere a una cittadinanza attiva, così da incidere sul buon andamento dell’amministrazione della cosa pubblica.
È l’auspicio che attraversa tutte le pagine del volume e ne costituisce l’elemento qualificante. Vari sono i punti di domanda che fanno da pista di riflessione: fino a che punto il magistero sociale della chiesa è penetrato nelle fibre del tessuto sociale ecclesiale italiano, sì da plasmare comportamenti profetici? Quali modelli di impegno politico possono essere proposti ai giovani? Si possono applicare norme e valori morali all’attività politica? E le parrocchie, nel riscoprirsi come soggetti sociali nel territorio, possono contribuire al superamento della crescente sfiducia nei confronti della politica, lanciando la costruzione di laboratori o di osservatori territoriali?
Nelle riflessioni che pone all’attenzione del lettore, l’autore parte da una attenta analisi della situazione attuale circa l’ambito politico. La politica che non c’è si connota in modo variegato: la mancanza di proposte di alto profilo da parte di chi dovrebbe favorire il senso di cittadinanza più che l’appartenenza partitica; la dominante cultura liberal-borghese, dove l’essere umano viene esaltato nel suo più assoluto individualismo e considerato soggetto chiuso, ripiegato su se stesso e dove tutto e tutti, strumentalmente, devono concorrere ad accrescere il proprio bene individuale; un atteggiamento di conflittualità esasperata e insostenibile litigiosità tra schieramenti politici; la costante personalizzazione del potere e la particolare autoreferenzialità della politica, dovuta alla numerosità della classe dirigente dei partiti; una politica spettacolo, sempre più pervasa dalla tendenza della politica dei sondaggi; lo svuotamento etico con la dissociazione tra vita pubblica e vita privata; la corruzione dilagante; la mancanza di funzione formativa dei partiti.
Anche all’interno della comunità ecclesiale, la politica che non c’è si coniuga con una sorta di pigrizia intellettuale che si traduce in una formazione che, molto spesso, è più rivolta alla salvezza individuale che a un atteggiamento comunitario di vigilanza politica, che è elemento critico ma sempre creativo-propositore e quindi liberatore. L’agguato alla democrazia si consuma, inoltre, attraverso leggi fatte su misura, un neo-feudalesimo «dove alcuni instaurano a vita il loro dominio privato» (p. 21), intendendo la politica come professione vitalizia e come occupazione di uno o più incarichi istituzionali. Insomma, viene delineato un quadro della politica, stravolta e deturpata, la cui ricaduta è preoccupante: il cittadino preferisce defilarsi dall’areopago comune, quello della polis, che lo dovrebbe vedere più attivo e partecipe, per rifugiarsi nel privato, rischiosamente risolvibile in antipolitica e cioè in una sorta di anarchia. Ciò genera inevitabilmente delega, rassegnazione, passività, diffidenza, qualunquismo.
Così facendo, il cittadino-spettatore, inconsapevolmente ma anche talvolta colpevolmente, favorisce alcune delle piaghe più generalizzate nella nostra società che, seppur indirettamente, si leggono tra le righe: un sistema di politica assistenziale e non sussidiaria; il farsi strada di una cultura utilitarista, tesa ossessivamente all’affermazione di personali interessi. Il volume, tuttavia, non intende assolutamente soffermarsi su un’analisi negativa del fatto politico: il tutto si risolverebbe in un’inutile quanto sterile polemica. Al contrario, proprio a partire dalla presa di coscienza degli effetti devastanti della latitanza dall’im-pegno socio-politico, l’autore sollecita a un inderogabile coinvolgimento da parte di ciascuno nella vita socio-politica. Perché tale impegno? Attingendo ad alcune intuizioni del pensiero eticopolitico dell’antichità classica, viene sottolineata la dimensione naturale dell’uomo: il suo essere in relazione con e quindi essere verso, da cui la sua inclinazione innata alla vita in società.
L’uomo è, per natura, un animale politico. Su questa pista di riflessione, si innesta l’impegno dei cristiani, motivato da «una doppia fedeltà: a Dio e, insieme, alla logica dell’incarnazione, che porta i cristiani a restare operosi “nel posto” che Dio ha loro assegnato, cioè il mondo » (p. 8). Esso và necessariamente supportato da un’adeguata competenza, una robusta passione e un genuino spirito di servizio. Costante è il richiamo ai grandi principi del personalismo d’ispirazione cristiana, attraverso le intuizioni di Tommaso d’Aquino, di Antonio Rosmini, di Jacques Maritain, così ricorrenti che, agli occhi del lettore, sembra essere eccessivo il numero delle citazioni riportate. Resta molto apprezzabile la chiarezza dell’esposizione che, nella sua sinteticità, pone nella condizione di poter riflettere su alcuni nodi essenziali dell’attuale agone politico: la persona umana che, con la sua dignità di fine, non si stempera mai in un tutto collettivo e mai può essere strumentalizzata per i fini che lo stato si propone; l’azione politica, che và indirizzata a uno sviluppo integrale della persona che vive in una determinata società; la sana laicità, che si basa sui principi di uguaglianza, di libertà e di pluralismo delle espressioni e che consente a ogni cittadino, e quindi a ogni cristiano, di poter contribuire col proprio apporto alla crescita e al miglioramento della città dell’uomo. Particolare attenzione viene posta a ciò che costituisce il fine di ogni azione politica: il bene comune, bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. «La questione del bene comune è essenzialmente legata alla questione antropologica […], che è il nuovo nome che va assumendo la questione sociale» (p. 123). Esso non può essere identificato con il bene pubblico (bene della collettività sociale) né con il concetto di bene totale (la ricerca del massimo benessere per il maggior numero possibile di individui).
Come realizzare il bene comune? Operando il passaggio dall’attuale modello di democrazia rappresentativa (solidarietà tra individui) a quello di democrazia deliberativa (cultura della fraternità delle persone) e cioè la formazione a una capacità decisionale come pure al diritto del controllo sull’esercizio del potere. È un percorso lungo e che necessita di una sua pedagogia: gradualità nella costruzione; paziente promozione di un ampio consenso; elaborazione di proposte politiche, evitando la sterile proclamazione di principio di alti e innegabili valori. È certamente una sfida per tutta la comunità ecclesiale, chiamata a un rinnovamento della propria azione pastorale. Questa va sempre più connotandosi come azione sociale in quanto interagisce con le persone, la società, la cultura e il territorio, informando i vari settori della politica, dell’economia, del lavoro e del diritto.
Un’azione pastorale che parte dal ruolo insostituibile della parrocchia che, chiamata a educare alla socialità, si pone come soggetto sociale nel proprio territorio. È un’azione pastorale che vede nell’esperienza delle scuole di formazione all’impegno sociale e politico un qualificato laboratorio di conoscenza scientifica e tecnica della realtà, attraverso cui proporre concretizzazioni storiche possibili della salvezza. A fronte di una coscienza anestetizzata o del tentativo di relegare i principi religiosi a fatto privato, privandoli fondamentalmente della loro valenza pubblica, nel volume si evidenzia, per l’appunto, l’inscindibile connubio tra impegno politico e fede religiosa. Attraverso le autorevoli riflessioni di Luigi Sturzo, Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Carlo Maria Martini e Bartolomeo Sorge, l’autore sottolinea il netto rifiuto sia di una possibile marginalizzazione della presenza cristiana sia dell’accusa di ingerenza della chiesa nelle vita democratica dello stato, quest’ultima mossa particolarmente dal mondo laicista e anticlericale.
Viene ricordato come lo stato è sì chiamato a una neutralità o imparzialità ideologica ma non a un’indifferenza o a un’assenza valoriale. L’apporto della comunità ecclesiale nella vita politica è dettato dalla preoccupazione di evitare alcuni possibili rischi: l’eclettismo e l’appiattimento culturale. Il risultato di questa deriva sarebbe la dittatura delle opinioni, tanto sostenuta dall’aeropago mediatico che si pone, nei confronti della verità, con un atteggiamento scettico e relativista. Indurre il cittadino a non discernere le diverse concezioni di politica (tanto sono tutte uguali), suggerendo che non esistono verità ma solo opinioni, è un passaggio necessario affinché chiunque possa credere a tutto. In simili circostanze, abilmente sostenute da numerose arene giornalistiche e televisive, un qualsiasi cittadino, privato di adeguate conoscenze e spirito critico, finisce con l’essere facile preda di ogni imbonitore. Se la verità non esiste, perché perder tempo a cercarla, pensando ed elaborando giudizi critici? Per un laico cristiano, il valore della persona e di ogni persona, dal primo scoccare alla vita al suo esito estremo, è la grande notizia-verità da riproporre costantemente. Nella puntuale e documentata analisi, l’autore non tralascia quanto è patrimonio consolidato della dottrina sociale della chiesa. Si ribadisce che l’unica fede non obbliga a identici programmi o a un’unica strategia politica. L’importante è salvaguardare una triplice e inscindibile fedeltà: valori naturali (autonomia delle realtà temporali), morali (dimensione etica di ogni problema sociale e politico) e soprannaturali (conformità allo spirito del Vangelo).
Più scelte possibili, dunque, ma non incompatibilità con la fede e con i valori cristiani. Altro punto significativo del volume, data la sua rilevanza attuale, è l’attenzione sul nesso tra etica e politica. Ciò in quanto l’attività politica mai può essere ridotta a una semplice tecnica politica, tesa esclusivamente alla migliore organizzazione della vita pubblica. «In una società dove la morale è messa al bando, prospera ogni genere di illegalità e di ingiustizia, di menzogne e di astuzie […] che fanno abbassare la qualità della vita della città e, quindi, delle persone» (p. 143). Come giustamente evidenzia l’autore, «la storia insegna la penosa conclusione di tanti sistemi politici, basati su false antropologie e dimentichi dell’etica: sono stati i miti del nazismo, del fascismo e del comunismo» (ivi).
Anche la questione del rapporto tra chiesa e stato è affrontata con equilibrio: è giusto che vi sia indipendenza e non confusione, autonomia ma non separazione, collaborazione ma non contrapposizione. La chiesa, chiamata alla pedagogia della fede, forma le coscienze e le intelligenze ma non traduce in programmi politici i suoi principi né orienta verso un determinato partito. Ciò per il mantenimento della sua libertà e capacità di pronunciare parole profetiche. Essa è libera da privilegi, favori, concessioni e protezioni che la renderebbero schiava e afona. Nel contempo, si incrocia con lo stato in quanto ha a cuore il medesimo obiettivo: è libera per il bene della comunità politica.
Altrettanto interessanti sono i passaggi dove si affronta il tema dell’intreccio tra giustizia (rapporto tra diritti e doveri) e carità (relazioni di gratuità, comunione e fraternità). Insomma, l’accento è posto sulla comunità ecclesiale che deve recuperare ed esprimere la sua identità, guardando la realtà con il cosiddetto occhio miope (a cui non sfugge la necessità immediata di chi soffre e ha bisogno di un aiuto immediato) e con l’occhio presbite (l’impegno per la rimozione delle cause che producono povertà e indigenza), così da contribuire efficacemente alla creazione di strutture e leggi giuste che favoriscono la liberazione dell’uomo dalla miseria. È il valore socio-politico della carità, che si traduce nella storia nelle cosiddette solidarietà corte (che esprimere nell’immediato la carità verso il bisogno del prossimo) e solidarietà lunghe (che mirano al cambiamento delle strutture di peccato).
Al lettore attento non sfuggono, tuttavia, alcuni limiti nello sviluppo delle argomentazioni. Laddove si fa riferimento al rapporto tra chiesa e stato laico, avrebbero potuto trovare risposta alcuni quesiti che ricorrono nel dibattito politico attuale, specie in occasione di circostanze che richiamano i temi di bioetica: la chiesa può e deve esprimersi pubblicamente, consapevole di avere una responsabilità politica? Chiamata a formare e orientare evangelicamente le coscienze, la chiesa deve tacere in materia politica? Dato, poi, il costante richiamo alla necessità dell’impegno socio-politico dei credenti, si sarebbe potuto approfondire un altro aspetto che interroga ciascun cristiano attivamente coinvolto nell’amministrazione della cosa pubblica: senza alcun ritorno nostalgico al partito unico, ma anche per porre un argine alla diaspora dei cattolici in politica, potrebbe essere proficuo per il bene dell’Italia convogliare tutti verso un unico movimento di ispirazione cristiana? Il saggio risulta essere, comunque, un validissimo strumento per ricercare, da cristiani, le motivazioni dell’impegno nell’ambito socio-politico, che ha come sua ragion d’essere il bene comune. Ciò per sollecitare tutta la comunità cristiana a uscire dall’area del presbiterio, rassicurante e gratificante, per una sintesi vitale tra fede e storia, per fare spazio a un’azione di annuncio e, laddove ce ne fosse bisogno, contigua a un’azione di denuncia rispetto a tutto ciò che offende e opprime l’uomo.
Tutto ciò nella piena consapevolezza che, per risalire la china del degrado civile e politico, spesso si richiede di andare controcorrente, facendo sprigionare la potenza trasformatrice del sale e del lievito evangelici. Coltivare la speranza del possibile cambiamento e miglioramento della società implica il rimanere nella città dell’uomo e il non lasciarsi vincere dalla facile tentazione di allontanarsene, abbandonandola. Restano di grande attualità le parole pronunciate da Pio XI nel discorso alla Fuci del dicembre del 1927, il quale definì la politica come «il campo della più vasta carità, la carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore».
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 4/2010
(http://www.pftim.it)
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