Gesù fu catturato nel cuore della notte, ed esalò l'ultimo respiro il pomeriggio seguente. La sua fine fu rapida e passò inosservata ai più. Gran parte dei suoi uomini si era infatti dileguata al primo segno di pericolo: la crocifissione segnava la fine del loro sogno di rovesciare il sistema esistente, di ricostruire le dodici tribù di Israele e di regnare su di esse in nome di Dio. In poche ore il loro mondo era stato stravolto. Avrebbero potuto abbandonare la causa, rinunciare e tornare alla vita normale dei villaggi. Perché non lo fecero? A chi rimase fu chiaro da subito quanto fossero essenziali questi ultimi giorni per la comunità nascente, e il resoconto della morte venne rielaborato, ampliato e rimesso a fuoco. Fiorirono racconti e testimonianze, ma a tutto ciò che disse o fece Gesù fin dall'inizio venne attribuito un nuovo significato: la sua morte da sconfitta fu trasformata in vittoria e i seguaci corressero tutto ciò che per loro non era comprensibile o accettabile. Il risultato è che le nuove interpretazioni andarono poco alla volta a coprire e trasformare quello che era accaduto. I Vangeli e gli altri testi del primo cristianesimo, che gli autori rileggono in questo saggio attraverso le lenti dell'esegesi e dell'antropologia, conservano però delle tracce nascoste che ci consentono di ricostruire in modo attendibile la vicenda di Gesù. È solo grazie alla ricerca, infatti, che possiamo evitare di cadere nella trappola della fiducia incondizionata...
INTRODUZIONE
Gesù viene catturato nel cuore della notte da un gruppo di armati e la mattina seguente è già sulla croce. Vi rimane inchiodato per ore prima di morire davanti ai soldati e a poche donne, forse a qualcun'altro.
Alla sua morte non seguono tumulti, non è il caos. Giorni di silenzio avvolgono chi gli è stato vicino. Colti di sorpresa dal folgorante intervento dei romani, i suoi seguaci fuggono sconvolti. Devono darsi ragione dell'accaduto, ma sono investiti da una tempesta di pensieri, il loro spazio vitale si è ristretto. In una sola notte il loro mondo è crollato: il senso di perdita è enorme. Due domande li tormentano: perché la vicenda del loro leader si è conclusa con una sconfitta? E perché il regno di Dio che aveva annunciato
non si è avverato?
L'uccisione di Gesù è un fatto storicamente indubitabile, ma i fatti che la circondano sono tutt'altro che chiariti. Resta una vicenda complessa coperta di oscurità. La nostra indagine nasce da un interrogativo: che impatto ebbe sui seguaci l'uccisione di Gesù? E quali risposte si diedero di fronte alla sua morte?
Molti libri si occupano della condanna di Gesù e di chi furono i responsabili della sua morte. Non è questo l'oggetto principale della nostra indagine. La prospettiva antropologica ci permette di mettere a fuoco una questione centrale,
spesso trascurata: cosa succede quando il legame che stringe un gruppo di seguaci al proprio leader viene spezzato? Solo se si percepisce l'importanza di quel legame si può capire come i racconti su Gesù siano stati condizionati dal trauma provocato dalla morte.
Che ogni storia parta dalla fine è vero in generale. Tanto più nel caso di Gesù. La sua vicenda verrà sempre narrata a partire dalla croce. Per i seguaci la sua morte era stata imprevista e inspiegabile, e proprio da questo smarrimento nascono i primi racconti e le prime interpretazioni. Per alcuni, Gesù non poteva non conoscere quello che sarebbe avvenuto, altri si chiedevano se avesse previsto di morire. Le domande si moltiplicavano. Veramente Gesù aveva voluto morire?
Crediamo che nei racconti dei Vangeli siano rimaste delle tracce non cancellate che ci consentono in certi casi di intravedere ciò che accadde. Le tracce sono segni certi di ciò che è avvenuto in passato. Come quando la marea si ritira e la sabbia terrosa della laguna è piena di impronte, di indizi più o meno nitidi di vite che non ci sono più. Sappiamo però che c'erano.
Alla base del nostro lavoro sta proprio la ricerca delle tracce al di sotto e all'interno delle affermazioni esplicite dei testi. Per questo, quando proviamo a ricostruire un evento della vita di Gesù partiamo sempre dalle divergenze tra i vari racconti. Solo quando diventa chiaro che gli eventi non possono essersi svolti contemporaneamente in modi diversi, ci si domanda cosa realmente accadde e come possiamo saperlo.
Dobbiamo a questo punto fare un elogio del "dettaglio". L'attenzione minuziosa ai dettagli, strumenti eloquenti, è il mezzo fondamentale per mettere in luce le contraddizioni e per trovare un passaggio, una fessura pur minuscola che ci consenta uno sguardo sul passato, su ciò che avvenne molto prima dei Vangeli.
I testi sulla morte di Gesù sono stati scritti da persone che non lo avevano conosciuto e che non parlavano la sua lingua. Gli anacronismi, la conoscenza imprecisa dei tempi e dei luoghi degli eventi narrati sono tutti fatti innegabili che obbligano a domandarsi se "è possibile ricostruire in modo attendibile la vicenda di Gesù. Noi pensiamo di sì, perché riteniamo che i Vangeli, come molti altri scritti dei primi due secoli, contengano e conservino in modo più o meno chiaro quello che accadde.
Il confronto antropologico e storico delle notizie può sempre evitare la fiducia ingenua nei testi o, all'estremo opposto, lo scetticismo assoluto, la negazione della loro attendibilità. La nostra indagine non si basa quindi su un solo Vangelo: il confronto richiede che si prendano in esame tutti i testi disponibili.
Riconoscere divergenze e contraddizioni tra i Vangeli ci porta a una grande conquista. Le informazioni orali e scritte trasmesse per decenni dai gruppi di seguaci, che presumibilmente gli autori dei Vangeli hanno usato per scrivere, provengono da zone diverse della Terra di Israele e delle città del Mediterraneo, e ci permettono di risalire a ciò che si sapeva di Gesù ben prima che i Vangeli fossero composti.
C'è chi tiene in considerazione principalmente il Vangelo di Marco supponendo che sia il più antico. Ma noi pensiamo che per la nostra indagine questo sia insufficiente, se non un vero e proprio errore. A modo proprio, infatti, ciascun Vangelo si basa su notizie specifiche e parziali che dobbiamo prendere sul serio: Marco dispone di un antico racconto della morte, e di piccole raccolte di dibattiti e di parole di Gesù; Luca e Matteo ne hanno invece a disposizione una collezione molto ampia. Tutti gli autori si sono procurati e hanno accumulato proprie informazioni. Giovanni si basa su una quantità straordinaria di notizie ignote agli altri. Anche le lettere di Paolo, scritte almeno vent'anni prima dei Vangeli, contengono notizie importanti e antiche. Altre sono entrate nel Vangelo di Tommaso, in quello di Pietro, nell'Ascensione di Isaia e nei cosiddetti Vangeli giudeocristiani e in altri testi ancora.
Di fronte alle divergenze e alle contraddizioni, alcuni studiosi tentano di trovare a ogni costo una soluzione. In questo modo si ignora un fatto fondamentale: gli autori differiscono fra loro proprio perché su certe circostanze non ebbero informazioni sicure. Occultare le incertezze con soluzioni consolatorie e armonizzanti non risponde al bisogno di una ricerca seria: essere consapevoli di ciò che non si conosce è di fondamentale importanza per capire meglio quello che sappiamo con certezza.
Ciascun capitolo prende il via dalla raffigurazione di uno «scenario», da un quadro descrittivo in cui immaginiamo alcuni aspetti dell'ambiente in cui si svolsero gli eventi. Non si tratta di descrivere dei fatti storici, bensì di suscitare la consapevolezza che esistevano contesti complessi in cui vissero e lottarono i seguaci.
Gli elementi storici e culturali di questi scenari sono però certi. I Vangeli di Marco, di Luca e di Matteo, per esempio, raccontano di Gesù che dà istruzioni per preparare la cena pasquale. Però non fanno riferimento all'immolazione degli agnelli e a cosa comportasse per centinaia di migliaia di pellegrini. Nel primo capitolo, parliamo dei fuochi notturni dopo la cena pasquale. Non è pura fantasia: nel trattato Pesachim della Mishnah si dice infatti che è necessario bruciare qualsiasi residuo del pasto rituale.
Ogni produzione culturale dell'antichità può essere riassunta nella metafora del testo logoro o dell'immagine che ha perso i suoi colori originari. Parole come «messia» o «regno di Dio» ci sembrano sbiadite, opache. Eppure il loro colore era vivido e nitido nel mondo cui appartenevano. Oggi hanno bisogno di essere spiegate, talvolta sostituite con quelle attuali, anche se una sostituzione sistematica ci precluderebbe la comprensione del passato. Ecco perché abbiamo provato a rileggerle entro i loro originari confini culturali, nei contesti reali in cui erano veicolo immediato di significato. Gesù parlava aramaico ma le sue parole sono giunte a noi in una lingua diversa: per afferrarne il significato dobbiamo immergerci nella storia e negli ambienti in cui sono nate.
Questo libro è frutto di una ricerca antropologica, storica e letteraria, durata diversi anni in dialogo con tanti specialisti con cui abbiamo discusso punti di vista e risultati. La riflessione sulla morte di Gesù ha avuto e continua ad avere ripercussioni enormi sulla nostra cultura. Abbiamo cercato di comprendere quell'evento con gli strumenti della ricerca, convinti che per i lettori gli esiti scientifici siano più interessanti di sensazionalismi e di esagerazioni romanzate. La comprensione richiede strumenti e tempi, confronti e ipotesi motivate.
A.D. M.P.
Bologna, 8 Marzo 2014
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Gesù. Una storia che inizia dalla fine
1. Gerusalemme, primavera. I giorni della festa di Pasqua
Il sorgere della luna segnava l'inizio di un nuovo giorno della settimana. Era sabato: il tempo del riposo assoluto, un momento di santità e sazietà.
Non sappiamo se quell'anno la Pasqua cadesse proprio di sabato o invece il giorno prima, il sesto della settimana, se la solenne cena pasquale stesse per cominciare o se invece si fosse svolta la sera precedente. Nel primo caso, i pellegrini, centinaia di migliaia, erano riuniti in numerosissimi gruppi e riunioni conviviali. Le folle salite a Gerusalemme da tutte le parti della Terra di Israele e della diaspora giudaica stavano cominciando a mangiare gli agnelli sacrificati qualche ora prima. L'area del tempio era pregna di incensi e dell'odore del sangue degli animali immolati. La città non era in allarme. Alla fine della notte, forse brillavano nel buio tanti piccoli falò in cui si bruciavano tutti i resti del pasto. La gente accoglieva la quiete e la gioia del sabato.
Il re della Galilea, Erode Antipa, che trascorreva la Pasqua sempre a Gerusalemme, era nel palazzo con i suoi. La città era presidiata dalle truppe, che il prefetto romano Ponzio Pilato aveva da qualche giorno spostato da Cesarea. I sacerdoti, nelle loro abitazioni della città alta, ripetevano il rito antico della cena pasquale, a memoria della liberazione dalla schiavitù egiziana.