Vademecum di storia dell'unità d'Italia
(Saggi italiani)EAN 9788817037440
Sintetizzare in 300 pagine gli avvenimenti dal 1860 ai giorni nostri non è impresa da poco. Sergio Romano, giornalista di stile, ma non storico di professione, tenta di farlo raccogliendo circa 150 lettere che nel corso degli ultimi anni sono giunte alla redazione del Corriere della Sera (oltre 10.000 al mese, vale a dire dalle 300 alle 400 al giorno) e che spesso riguardano l’argomento della storia del nostro Paese. Grazie a questo contatto con i lettori del quotidiano, l’autore ha avuto modo di notare uno “scollamento storico” che rende lontana dai cuori e poco apprezzata dalla maggior parte delle persone la data del 17 marzo 2011, che dovrebbe segnare il culmine delle celebrazioni dell’Unità (avvenuta nel 1861) e che è generalmente ignota o senza grande senso.
Alla constatazione che la “epopea” risorgimentale ormai sia percepita soprattutto come falsa e la sua esaltazione come retorica (la sinistra ne sottolinea la mancata adesione delle masse e, quindi, il carattere elitario; certa destra ne ricorda i principi massonici e, quindi, anticlericali e antireligiosi che la ispirarono e il violento carattere di invasione militare con cui venne condotta, dall’invasione garibaldina in Sicilia a quella piemontese dal nord, per non parlare della lunga guerra per la conquista di Roma), Romano cerca di dare una risposta rimanendo equidistante e senza nascondere le sue simpatie per i politici più concreti (Cavour, Giolitti, De Gasperi) rispetto a quelli più istrionici (Garibaldi o Mussolini), ma meglio conosciuti al grande pubblico.
Maggiore conoscenza dei fatti, invoca dunque Romano, per rivalutare il Risorgimento. Peccato, però, che in questo suo lavoro, che ha il pregio della leggibilità ma non quello della organicità, non sempre si rivolga a fonti affidabili: colpisce, ad esempio, che dia pieno credito alle più viete leggende risorgimentali. Scrive a pag. 300, a proposito di antirisorgimento: «La situazione al Sud era persino peggiore.
Non è necessario avere letto le lettere scritte su Napoli nel 1851 da un grande uomo politico britannico, William Gladstone, per riconoscere che il Regno borbonico, verso la metà dell’Ottocento, era poliziesco, reazionario, male amministrato e terribilmente arretrato».
In effetti, per voler dare un giudizio obbiettivo, sarebbe addirittura meglio non aver neppure lette quelle famose lettere, che descrivevano il regno napoletano come “la negazione di Dio in terra” e che anni più tardi vennero dichiarate dallo stesso estensore inglese come un “regalo” fatto ai suoi amici liberali italiani, poiché descrivevano una situazione (in particolare quelle delle carceri borboniche) in cui il Gladstone non aveva mai messo piede (il futuro premier britannico non aveva visitato neppure il terribile carcere piemontese di Finestrelle, ma chissà come lo avrebbe definito…). La sua fu una mera opera di propaganda, tanto ben congegnata da riuscire difficile ad essere sradicata, anche a un secolo e mezzo di distanza. Ma pur sempre propaganda: ecco perché il Risorgimento – per parafrasare un eccellente intellettuale risorgimentale, Ruggero Bonghi – non riuscirà mai ad essere popolare in Italia.
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 52 - Febbraio/Marzo 2010
(http://www.radicicristiane.it)