L'Arabia cristiana. Dalla provincia imperiale al primo periodo islamico
(Varia Arte)EAN 9788816602823
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DETTAGLI DI «L'Arabia cristiana. Dalla provincia imperiale al primo periodo islamico»
Tipo
Libro
Titolo
L'Arabia cristiana. Dalla provincia imperiale al primo periodo islamico
Autore
Piccirillo Michele
Editore
Jaca Book
EAN
9788816602823
Pagine
260
Data
2002
Collana
Varia Arte
COMMENTI DEI LETTORI A «L'Arabia cristiana. Dalla provincia imperiale al primo periodo islamico»
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Recensioni di riviste specialistiche su «L'Arabia cristiana. Dalla provincia imperiale al primo periodo islamico»
Recensione di Giorgio Fedalto della rivista Studia Patavina
Merita leggere un libro come questo per capire come il cristianesimo sia iniziato in un territorio e come sia finito, o quasi. Si tratta qui di una regione quanto mai vasta, l’Arabia, che, prima delle origini cristiane andava dal Mediterraneo a tutta l’enorme penisola arabica fino al mare Rosso. Verso il secolo III a. C., le tribú arabe nabatee, preso il sopravvento sulle popolazioni della costa arabica ed africana, controllarono in particolare il commercio internazionale d’Oriente. Attraverso varie vicende, all’inizio del secolo II d.C. l’imperatore Traiano con la cessione da parte del re di Armenia, Tigrane, di Cappadocia, Cilicia, Siria, faceva di quest’ultima una provincia amministrata direttamente da un governatore, per cui, dopo l’ellenizzazione dell’enorme territorio con la creazio-ne di città sulla costa e nell’entroterra, ora la sua romanizzazione si sforzava di penetrare tra le popolazioni arabe delle regioni confinanti. In particolare la Siria era molto eterogenea con popolazione composta da genti, piú o meno ellenizzate con tradizioni ed usi propri, come gli Ebrei della Giudea e gli Arabi. Il buon governo dei Romani con la sicurezza riservata dai suoi soldati era tuttavia la carta vincente per mantenere l’ordine dei territori conquistati e il controllo delle vie carovaniere. Pompeo fece della Siria una provincia romana ed Augusto una provincia imperiale con tre/quattro legioni col compito di fronteggiare i Persiani al di là dell’Eufrate; altra iniziativa fu il controllo delle spezie fino al sud della penisola, l’Arabia felix, operazione che si concluse con l’estensione dell’impero da un lato anche in Mesopotamia con la creazione delle province di Assiria e Mesopotamia, mentre dall’altro, annesso il regno nabateo, nel 105/6 d. C. si creava la provincia di Arabia (Arabia adquisita). La provincia di Arabia conobbe uno sviluppo specie nei secoli II e III, tanto da essere alla pari delle altre province dell’impero: basta pensare alla riattivazione delle grandi arterie del traffico carovaniero, come la via nova Traiana, spianata e lastricata, o a città come Bostra, Gerasa, Petra, i cui resti monumentali impressionano ancor oggi.
Con gli imperatori bizantini che incoraggiavano l’opera evangelizzatrice, la provincia raggiungeva un nuovo sviluppo economico che si accompagnava alla sistemazione ecclesiastica del territorio, calcata su quello amministrativo-civile. Con Bostra, come metropoli ed archidiocesi, v’erano le chiese suffraganee di Adraa, Gerasa, Philadelphia, Esbous, Madaba non raramente insidiata nel secolo V da influenze monofisite contro le quali operava instancabilmente Giustiniano. Naturalmente, v’erano i culti presenti a Bisanzio, come quello alla Theotokos, a santi e profeti dell’Antico Testamento, come Mosé, Elia, gli apostoli, i patroni dell’esercito Sergio e Bacco, Teo-doro, Longino, e gli arcangeli protettori delle città.
Il cristianesimo proveniente dalla Siria, che si stava radicando, si espandeva anche verso il sud, nelle tribú ivi emigrate o verso le coste, come nella città di Najran, dove nella prima metà del secolo VI sono ricordati dei vescovi martiri e dei cristiani, espulsi nel 640, che si trasferirono in Iraq dove, nei pressi di Kufa, fondarono una nuova Najran. Il cristianesimo si diffondeva anche tra gli Arabi della Mesopotamia dove sorgevano dei vescovadi sull’Eufrate; vescovadi nestoriani si svilupparono nella costa occidentale del golfo Persico nelle isole del Bahrein, nella penisola del Qatar, nell’Oman; meno si conosce della predicazione del Vangelo nell’interno della penisola arabica. Con l’invasione persiana, e ancor piú con quella musulmana, le popolazioni cristiane ebbero vita difficile che veniva garantita, per le minoranze restate fedeli, col pagamento di una tassa pro-capite. Sarà lo spostamento della capitale dell’impero musulmano da Damasco a Bagdad nel 750 da parte dei califfi abbasidi a dirottare il commercio internazionale verso il golfo Persico, facendo perdere progressivamente di importanza alla regione meridionale. Si deve alla ricerca archeologica, specie degli ultimi decenni, la riscoperta dei resti cristiani della provincia di Arabia abitata da popolazioni arabe. Ma se si tratta di resti bizantini, in quale misura essi sono segno di un cristianesimo arabo? Ecco allora l’archeologo a dare la risposta, studiando le epigrafi, interpretandole, sempre preso dagli interrogativi lasciati dalla nuove scoperte.
Nelle città della provincia di Arabia si trova infatti ben presto un cristianesimo organizzato: a Bostra, metropoli della provincia, il vescovo Berillo vi è presente già nel 220 circa e quindi la lista prosegue ininterrotta fino al secolo VIII; ad Adra, Constantia, Dionysias, Errha, Esbus, Gerasa, Maximianopolis, Neapolis, Philadelphia sono presenti vescovi dal secolo IV, e ad Aenus, Canatha, Chrysopolis, Eutimia, Madaba, Neela, Neves, Philippolis, Zorava, dal secolo V. Ma ad eccezione di Bostra, nelle sedi suffraganee le liste vescovili si interrompono con l’arrivo di Persiani od Arabi. Quanto colpisce nel ricco ed opportuno apparato fotografico del volume è la ricchezza dei resti archeologici rimasti di epoca bizantina, sia di opere civili come ecclesiastiche con una invidiabile fioritura di mosaici.
Anche il cristianesimo di Arabia ebbe i suoi martiri e come altrove essi ebbero il merito di sviluppare il seme cristiano in quanto, in specie dopo la persecuzione dioclezianea, si trovano i pre-detti vescovi presenti ai concili, ad esempio, già a Nicea nel 325, anche se il paganesimo continuava e il ceppo cristiano era insidiato dalle eresie. Quanto si nota in Arabia, come del resto in altre pro-vince dell’Oriente cristiano, è la presenza di santuari, ad esempio quello di Mosé sul monte Nebo, molto conosciuto e frequentato, noto anche alla pellegrina Egeria. Espressione, per dir così, della devozione popolare, il santuario doveva essere organizzato e gestito, ed ecco allora la presenza mo-nastica non rara in località dense di ricordi biblici, con comunità cenobitiche e con eremitaggi. An-zi, una catena di santuari costituivano dei punti di riferimento ai monaci durante la quaresima, non raramente affetti da monofisismo, a differenza delle comunità monastiche del sud della provincia di tendenza maggiormente calcedonese, forse perché piú controllati dagli imperiali.
Per Bostra, la metropoli d’Arabia, il periodo piú riccamente documentato dal punto di vista epigrafico è quello giustinianeo; con l’invasione persiana del 614 e la nuova invasione musulmana dal sud del 634/635, non si trovano piú tali resti, ad eccezione di una iscrizione in una chiesetta dedicata a S. Sergio, dove a fine secolo compare un altrimenti sconosciuto metropolita Giorgio. Basta anche solo scorrere la documentazione fotografica per i resti presenti a Bostra, a Gerasa o a Madaba, per rendersi conto della profusione di mezzi impiegata dai finanziatori di opere ecclesiastiche. Anzi, dal V all’VIII secolo, proprio Madaba diventa centro importante dell’arte musiva nell’ambito dell’attività artistica dell’impero. Di solito è citata la famosa Carta di Madaba, che privilegia al suo centro Gerusalemme, centro dell’ecumene ed ombelico del mondo, ma accanto ad essa v’è tutta una profusione di elementi artistici, iconografici, simbolici, con iscrizioni per lo piú in greco, ma anche in aramaico, con rappresentazioni architettoniche, scene mitologiche, con un ricco bestiario che andrebbe forse interpretato.
Se si riconosce che lo sviluppo musivo della scuola di Madaba è testimonianza del gusto provinciale che si impose durante il regno di Giustiniano, si può capire l’importanza della presenza bizantina nella regione. Ed altrettanto si può pensare delle altre innumerevoli chiese con un costante apparato iconografico. Forse è piú difficile da determinare il peso avuto dalla presenza arabo-cristiana nel territorio. Al tempo dei martiri, il governatore poteva chiedere loro: “Di che lingua siete? Greci, Romani o Arabi?”. La loro presenza cristiana doveva dunque essere conosciuta, tanto che piú tardi v'erano delle tribú arabe confederate, che avevano pure un loro vescovo, per cui si pone il problema della loro conversione ed evangelizzazione. Sembra che il monachesimo abbia avuto una funzione rilevante in tale opera (non manca neppure qualche epigrafe bilingue in greco ed arabo), ma ciò porta a ritenere una loro inclinazione piuttosto verso il monofisismo che verso l’ortodossia calcedonese. Il santuario di Sergiopolis a Resafa nella Siria settentrionale, frequentato nella festa patronale dai Banu Ghassan, induce a pensare ad una animazione anche di carattere popolare. Quanto poi sia rimasto del loro cristianesimo è piú difficile dirlo, una volta che tali minoranze venivano inglobate dal sistema arabo musulmano. La fine avvenne dapprima con l’invasione persiana del 614, che provocò nella sola Gerusalemme decine di migliaia di morti, ma non sembra che tutto sia stato distrutto, in quanto la presenza di lavori di rifacimento di chiese cristiane dopo quel periodo, fa ritenere che il benessere sia continuato anche dopo di allora. Invece l’invasione musulmana fu piú radicale e definitiva, in specie con la battaglia sul fiume Yarmuk del 636, quando le forze bizantine furono sbaragliate: erano già cadute Bostra, Damasco, Ba’albek, Homs, Hamah; nel 638 fu la volta di Gerusalemme e nel 640 di Cesarea Marittima.
Tutto ciò pone non pochi problemi. L’autore cerca di dimostrare la continuità avutasi tra il periodo bizantino e quello arabo-musulmano, in quanto l’epigrafia indica costruzioni di chiese cristiane anche in quest’ultimo periodo: la popolazione continuava la vita di ogni giorno, non mancavano i pellegrinaggi verso i luoghi santi dalle regioni circostanti e dall’Europa. L’unico elemento di discontinuità era rappresentato dalle vessazioni delle esazioni fiscali dei nuovi dominatori, in particolare l’imposta sulla proprietà fondiaria dei cristiani e la Jizziyah, la tassa annuale pro-capite. Ciò indicherebbe che ci sarebbe stato un modo di convivenza in cui i dominatori musulmani avrebbero mostrato spirito conciliante e tollerante nei confronti dei cristiani. Ciò premesso, monasteri, chiese, villaggi e città della regione non furono distrutti dall’invasione arabo-musulmana, ma allora come si spiega la dissoluzione di questo mondo con l’abbandono di città, villaggi, campagne? Perché e quando? Lo stesso fenomeno lo si riscontra anche altrove, ad esempio anche nella stessa Istanbul, dove i cristiani sono progressivamente diminuiti nel tempo. Gli storici dell’economia potranno essere interessati a studiare l’impoverimento dell’agricoltura tradizionale provocato dal processo di “beduinizzazione” con i danni irreversibili recati dalla mancata conoscenza ed abitudine al lavoro sedentario. Tutto ciò –a detta dell’Autore- non riesce però a spiegare il progressivo abbandono del territorio con l’esodo in massa della popolazione.
Resta il fatto che pur perdurando la vita cristiana in piccoli centri, con costruzioni o rifacimenti di chiese e di mosaici, le liste vescovili della provincia di Arabia col secolo VIII mostrano un crollo della presenza ufficiale della Chiesa. Cosa pensare? L’idea di città o di insediamento urbano è diverso nello stanziamento romano-bizantino e in quello arabo-islamico; altrettanto si può dire del destino dell’uomo che per il non cristiano è privo dell’amore reciproco e dell’affanno di trafficare i talenti ricevuti. Per non dire che non poche volte nella tradizione islamica con la conquista di un territorio perdurava la prassi di spostare popolazioni intere, quelle musulmane in territori cristiani fertili e produttivi, e quelle cristiane dai loro territori ad altri lasciati liberi dai primi. Forse le tribú arabe-cristiane piú mobili sfuggivano meglio a tale prassi, ma nondimeno è difficile pensare non cadessero entro il sistema della società islamica.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Con gli imperatori bizantini che incoraggiavano l’opera evangelizzatrice, la provincia raggiungeva un nuovo sviluppo economico che si accompagnava alla sistemazione ecclesiastica del territorio, calcata su quello amministrativo-civile. Con Bostra, come metropoli ed archidiocesi, v’erano le chiese suffraganee di Adraa, Gerasa, Philadelphia, Esbous, Madaba non raramente insidiata nel secolo V da influenze monofisite contro le quali operava instancabilmente Giustiniano. Naturalmente, v’erano i culti presenti a Bisanzio, come quello alla Theotokos, a santi e profeti dell’Antico Testamento, come Mosé, Elia, gli apostoli, i patroni dell’esercito Sergio e Bacco, Teo-doro, Longino, e gli arcangeli protettori delle città.
Il cristianesimo proveniente dalla Siria, che si stava radicando, si espandeva anche verso il sud, nelle tribú ivi emigrate o verso le coste, come nella città di Najran, dove nella prima metà del secolo VI sono ricordati dei vescovi martiri e dei cristiani, espulsi nel 640, che si trasferirono in Iraq dove, nei pressi di Kufa, fondarono una nuova Najran. Il cristianesimo si diffondeva anche tra gli Arabi della Mesopotamia dove sorgevano dei vescovadi sull’Eufrate; vescovadi nestoriani si svilupparono nella costa occidentale del golfo Persico nelle isole del Bahrein, nella penisola del Qatar, nell’Oman; meno si conosce della predicazione del Vangelo nell’interno della penisola arabica. Con l’invasione persiana, e ancor piú con quella musulmana, le popolazioni cristiane ebbero vita difficile che veniva garantita, per le minoranze restate fedeli, col pagamento di una tassa pro-capite. Sarà lo spostamento della capitale dell’impero musulmano da Damasco a Bagdad nel 750 da parte dei califfi abbasidi a dirottare il commercio internazionale verso il golfo Persico, facendo perdere progressivamente di importanza alla regione meridionale. Si deve alla ricerca archeologica, specie degli ultimi decenni, la riscoperta dei resti cristiani della provincia di Arabia abitata da popolazioni arabe. Ma se si tratta di resti bizantini, in quale misura essi sono segno di un cristianesimo arabo? Ecco allora l’archeologo a dare la risposta, studiando le epigrafi, interpretandole, sempre preso dagli interrogativi lasciati dalla nuove scoperte.
Nelle città della provincia di Arabia si trova infatti ben presto un cristianesimo organizzato: a Bostra, metropoli della provincia, il vescovo Berillo vi è presente già nel 220 circa e quindi la lista prosegue ininterrotta fino al secolo VIII; ad Adra, Constantia, Dionysias, Errha, Esbus, Gerasa, Maximianopolis, Neapolis, Philadelphia sono presenti vescovi dal secolo IV, e ad Aenus, Canatha, Chrysopolis, Eutimia, Madaba, Neela, Neves, Philippolis, Zorava, dal secolo V. Ma ad eccezione di Bostra, nelle sedi suffraganee le liste vescovili si interrompono con l’arrivo di Persiani od Arabi. Quanto colpisce nel ricco ed opportuno apparato fotografico del volume è la ricchezza dei resti archeologici rimasti di epoca bizantina, sia di opere civili come ecclesiastiche con una invidiabile fioritura di mosaici.
Anche il cristianesimo di Arabia ebbe i suoi martiri e come altrove essi ebbero il merito di sviluppare il seme cristiano in quanto, in specie dopo la persecuzione dioclezianea, si trovano i pre-detti vescovi presenti ai concili, ad esempio, già a Nicea nel 325, anche se il paganesimo continuava e il ceppo cristiano era insidiato dalle eresie. Quanto si nota in Arabia, come del resto in altre pro-vince dell’Oriente cristiano, è la presenza di santuari, ad esempio quello di Mosé sul monte Nebo, molto conosciuto e frequentato, noto anche alla pellegrina Egeria. Espressione, per dir così, della devozione popolare, il santuario doveva essere organizzato e gestito, ed ecco allora la presenza mo-nastica non rara in località dense di ricordi biblici, con comunità cenobitiche e con eremitaggi. An-zi, una catena di santuari costituivano dei punti di riferimento ai monaci durante la quaresima, non raramente affetti da monofisismo, a differenza delle comunità monastiche del sud della provincia di tendenza maggiormente calcedonese, forse perché piú controllati dagli imperiali.
Per Bostra, la metropoli d’Arabia, il periodo piú riccamente documentato dal punto di vista epigrafico è quello giustinianeo; con l’invasione persiana del 614 e la nuova invasione musulmana dal sud del 634/635, non si trovano piú tali resti, ad eccezione di una iscrizione in una chiesetta dedicata a S. Sergio, dove a fine secolo compare un altrimenti sconosciuto metropolita Giorgio. Basta anche solo scorrere la documentazione fotografica per i resti presenti a Bostra, a Gerasa o a Madaba, per rendersi conto della profusione di mezzi impiegata dai finanziatori di opere ecclesiastiche. Anzi, dal V all’VIII secolo, proprio Madaba diventa centro importante dell’arte musiva nell’ambito dell’attività artistica dell’impero. Di solito è citata la famosa Carta di Madaba, che privilegia al suo centro Gerusalemme, centro dell’ecumene ed ombelico del mondo, ma accanto ad essa v’è tutta una profusione di elementi artistici, iconografici, simbolici, con iscrizioni per lo piú in greco, ma anche in aramaico, con rappresentazioni architettoniche, scene mitologiche, con un ricco bestiario che andrebbe forse interpretato.
Se si riconosce che lo sviluppo musivo della scuola di Madaba è testimonianza del gusto provinciale che si impose durante il regno di Giustiniano, si può capire l’importanza della presenza bizantina nella regione. Ed altrettanto si può pensare delle altre innumerevoli chiese con un costante apparato iconografico. Forse è piú difficile da determinare il peso avuto dalla presenza arabo-cristiana nel territorio. Al tempo dei martiri, il governatore poteva chiedere loro: “Di che lingua siete? Greci, Romani o Arabi?”. La loro presenza cristiana doveva dunque essere conosciuta, tanto che piú tardi v'erano delle tribú arabe confederate, che avevano pure un loro vescovo, per cui si pone il problema della loro conversione ed evangelizzazione. Sembra che il monachesimo abbia avuto una funzione rilevante in tale opera (non manca neppure qualche epigrafe bilingue in greco ed arabo), ma ciò porta a ritenere una loro inclinazione piuttosto verso il monofisismo che verso l’ortodossia calcedonese. Il santuario di Sergiopolis a Resafa nella Siria settentrionale, frequentato nella festa patronale dai Banu Ghassan, induce a pensare ad una animazione anche di carattere popolare. Quanto poi sia rimasto del loro cristianesimo è piú difficile dirlo, una volta che tali minoranze venivano inglobate dal sistema arabo musulmano. La fine avvenne dapprima con l’invasione persiana del 614, che provocò nella sola Gerusalemme decine di migliaia di morti, ma non sembra che tutto sia stato distrutto, in quanto la presenza di lavori di rifacimento di chiese cristiane dopo quel periodo, fa ritenere che il benessere sia continuato anche dopo di allora. Invece l’invasione musulmana fu piú radicale e definitiva, in specie con la battaglia sul fiume Yarmuk del 636, quando le forze bizantine furono sbaragliate: erano già cadute Bostra, Damasco, Ba’albek, Homs, Hamah; nel 638 fu la volta di Gerusalemme e nel 640 di Cesarea Marittima.
Tutto ciò pone non pochi problemi. L’autore cerca di dimostrare la continuità avutasi tra il periodo bizantino e quello arabo-musulmano, in quanto l’epigrafia indica costruzioni di chiese cristiane anche in quest’ultimo periodo: la popolazione continuava la vita di ogni giorno, non mancavano i pellegrinaggi verso i luoghi santi dalle regioni circostanti e dall’Europa. L’unico elemento di discontinuità era rappresentato dalle vessazioni delle esazioni fiscali dei nuovi dominatori, in particolare l’imposta sulla proprietà fondiaria dei cristiani e la Jizziyah, la tassa annuale pro-capite. Ciò indicherebbe che ci sarebbe stato un modo di convivenza in cui i dominatori musulmani avrebbero mostrato spirito conciliante e tollerante nei confronti dei cristiani. Ciò premesso, monasteri, chiese, villaggi e città della regione non furono distrutti dall’invasione arabo-musulmana, ma allora come si spiega la dissoluzione di questo mondo con l’abbandono di città, villaggi, campagne? Perché e quando? Lo stesso fenomeno lo si riscontra anche altrove, ad esempio anche nella stessa Istanbul, dove i cristiani sono progressivamente diminuiti nel tempo. Gli storici dell’economia potranno essere interessati a studiare l’impoverimento dell’agricoltura tradizionale provocato dal processo di “beduinizzazione” con i danni irreversibili recati dalla mancata conoscenza ed abitudine al lavoro sedentario. Tutto ciò –a detta dell’Autore- non riesce però a spiegare il progressivo abbandono del territorio con l’esodo in massa della popolazione.
Resta il fatto che pur perdurando la vita cristiana in piccoli centri, con costruzioni o rifacimenti di chiese e di mosaici, le liste vescovili della provincia di Arabia col secolo VIII mostrano un crollo della presenza ufficiale della Chiesa. Cosa pensare? L’idea di città o di insediamento urbano è diverso nello stanziamento romano-bizantino e in quello arabo-islamico; altrettanto si può dire del destino dell’uomo che per il non cristiano è privo dell’amore reciproco e dell’affanno di trafficare i talenti ricevuti. Per non dire che non poche volte nella tradizione islamica con la conquista di un territorio perdurava la prassi di spostare popolazioni intere, quelle musulmane in territori cristiani fertili e produttivi, e quelle cristiane dai loro territori ad altri lasciati liberi dai primi. Forse le tribú arabe-cristiane piú mobili sfuggivano meglio a tale prassi, ma nondimeno è difficile pensare non cadessero entro il sistema della società islamica.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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