Un «florilegio» di feste proposto come un’umile e minuta guida, quasi un «breviario», per l’Anno della Fede. È il senso di queste brevi pagine che, ripassando le festività cristiane, espongono i misteri principali del Credo, che ne sono il contenuto e la sostanza. Tali festività, infatti, sono un’esposizione chiara e multiforme della fede della Chiesa, non solo dottrinalmente, ma concretamente, in particolare con l’ausilio del ricorrere e dell’alternarsi del tempo, con l’attrattiva e lo spessore dei segni, con gli accenti della preghiera.
Il credente, però, non si limita a imparare dalle feste: egli è chiamato a condividerle, così che divengano il vissuto della sua fede, e quindi il luogo e il tempo in cui egli fa esperienza dei misteri celebrati. Potremmo, allora, parlare dell’«affezione» delle feste, che si iscrivono nella mente, nei sentimenti e nella vita di chi vi prende parte. Ognuna di esse si presenta con la sua grazia, perché venga accolta e così renda conformi al Figlio di Dio fatto carne, crocifisso e risuscitato, ossia al Crocifisso glorioso che di tutte le celebrazioni è il Festeggiato.
La liturgia senza dubbio parla ai credenti. E, tuttavia, anche chi non ha mai creduto, o non crede più, potrebbe restare impressionato dinanzi alle celebrazioni: Paul Claudel - il poeta delle festività della Chiesa, da lui suggestivamente definite «Corona della benignità dell’anno di Dio» - sentì irrompere nel cuore la fede che aveva abbandonato proprio durante il Magnificat cantato nella cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, nei Vespri del Natale.
PRESENTAZIONE
Gesù Cristo, Figlio di Dio, Creatore e Signore del tempo
I brevi saggi qui pubblicati potrebbero essere paragonati a dei frammenti o articoli rispetto a una Somma di teologia, o alle tessere sparse e variate di un mosaico ideale, che rappresenti il disegno intero del mistero cristiano.
Esiste, infatti, un'unità reale e concettuale che li sottintende e li ricapitola, ed è la visione di Cristo come di colui che sostiene il tempo con le sue vicissitudini, essendone lui stesso il creatore.
Nell'inno quaresimale Fedeli all'uso mistico (Ex more docti mystico), egli è chiamato «Re e autore dei tempi»', mentre già sant'Ambrogio non esitava a definirlo come «autore e creatore del tempo» (temporis auctor et creator)2 e a pregarlo con questi accenti: «Signore Gesù, tu hai creato il mondo. Senza di te il Padre non creò il cielo. Senza di te non creò la terra»;.
Giustamente si afferma che, con il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, l'Eterno è entrato nel tempo, la grazia ha fatto il suo
ingresso nella natura, il cielo è apparso sulla terra, l'Invisibile si è fatto visibile, l'Ineffabile si è fatto dicibile. Ma non per questo l'Eterno si trova circoscritto nei confini del tempo; al contrario il tempo viene assunto nell'Eterno: «L'eternità include il tempo», afferma Tommaso d'Aquino. Non meno fondatamente potremmo dire: la signoria di Cristo — nel quale e in vista del quale tutto è stato creato — include il tempo. Essendo, poi, secondo l'eterno disegno divino, il Primeggiante, tutto il divenire temporale è compreso e quasi risiede e si muove in lui. Innalzato da terra, come Crocifisso glorioso, egli attrae tutto a sé. Non è il tempo che ha assunto lui, ma è lui che ha assunto il tempo e lo ricolma dei suoi misteri.
Ecco perché sono possibili le festività cristiane, come memorie che non si riducono a ricordi, sia pure intensi, di eventi passati e non si estenuano in una labile evocazione di fatti ormai logorati dagli anni, ma nella presenza reale di una grazia inesauribile. I nostri saggi sono dedicati ad alcune di queste memorie disseminate lungo il cammino liturgico della Chiesa.
Le festività come esposizione del Credo e vissuto della fede
Nella loro varietà le festività cristiane — riguardino gli eventi di Cristo o le figure dei santi — rappresentano un'espressione e un'esposizione del Credo cristiano, fatte non solo dottrinalmente, ma concretamente, in particolare con l'ausilio del ricorrere e dell'alternarsi del tempo, con l'attrattiva e lo spessore dei segni, con gli accenti della preghiera.
Nell'anno liturgico la Chiesa professa la sua fede. E, infatti, solo a un credente appare con chiarezza la sostanza e il senso di quello che viene celebrato; a lui solo riesce di decifrare pienamente, di conferire
senso e di risolvere in unità quanto via via ricorre nel ricordo e nella devozione, a partire dal mistero del Figlio di Dio fatto carne e coronato di gloria dopo la sua crocifissione e la sua morte.
Ho parlato di decifrazione piena, dal momento che anche chi non ha mai creduto, o non crede più, potrebbe restare impressionato dinanzi alle celebrazioni: Paul Claudel — il poeta delle festività della Chiesa, suggestivamente definite «Corona della benignità dell'anno di Dio» sentì irrompere nel cuore la fede che aveva abbandonato, al canto del Magnificat dei Vespri di Natale a Parigi nella cattedrale di Notre-Dame.
Ma il credente non si limita a imparare dalle feste: egli è chiamato a condividerle, e così esse divengono il vissuto della sua fede, e quindi il luogo e il tempo in cui ne fa esperienza.
Potremmo, allora, parlare dell'"affezione" delle feste, che si iscrivono nella mente, nei sentimenti e nella vita di chi vi prende parte. Ognuna di esse si presenta con la sua grazia, perché venga accolta e crei una conformità.
Una piccola guida per l'Anno della Fede
Se è fondato quanto abbiamo detto, non deve sorprendere se abbiamo composto questo "florilegio" di feste offrendolo come un'umile e minuta guida, quasi un "breviario", per l'Anno della Fede.
1. Ma a questo punto ci vorremmo soffermare un attimo proprio a parlare della fede, per domandarci anzitutto: «Chi è il credente?», e per rispondere: «Il credente è colui che sente la Parola di Dio, la ascolta e la accoglie».
Come Abramo, come la Vergine Maria, che aderirono alla chiamata di Dio, gli affidarono la loro vita, si posero fedelmente al suo servizio, ottenendo, così, il dono della giustificazione: «Abram credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gn 15,6); «Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Le 1,38).
L'iniziativa della fede non proviene, quindi, dall'uomo, ma deriva da Dio, che per pura grazia apre all'uomo il suo intimo mistero, perché ne divenga partecipe ed entri così in comunione con lui, Padre, Figlio e Spirito Santo. La fede è un dono di luce, che Dio stesso accende nell'anima. Ecco perché a proposito della fede si parla di «occhi dell'anima».
Indubbiamente la fede comporta l'adesione dell'intelletto alle verità rivelate da Dio, ma queste verità sono accolte perché si crede in lui e a lui personalmente ci si affida, ossia perché lo si ama. Senza l'amore, che si traduce nell'obbedienza e nella fedeltà della vita, la fede non nasce e, se è nata, si spegne.
Anche perché la grande e suprema verità della Rivelazione è l'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, una Rivelazione e un amore che si raccolgono e trovano il loro compimento in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, crocifisso, morto, risorto e glorioso, destinato a tutti gli uomini prima ancora che il mondo fosse creato.
Gesù Cristo, il Crocifisso glorioso, è la Prima e l'Ultima Parola di Dio. In lui Dio ha detto tutto e si è manifestato tutto. In particolare si è rivelato come Padre, Figlio e Spirito Santo. E infatti i misteri principali della fede sono:
— l'Unità e Trinità di Dio;
— la passione, la morte e la risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo.
Di conseguenza il credente è colui che accoglie Gesù e si pone alla
sua sequela; colui che si ritrova in lui e da lui attinge i tratti della propria identità.
L'affezione a Cristo è la misura della fede, che è fiducia o abbandono confidente.
Ma a chi è donata la grazia della fede?
Dobbiamo rispondere: a tutti gli uomini, a cominciare dal primo che sia apparso sulla terra, fino all'ultimo, che concluderà il genere umano. Anzi, ogni uomo è chiamato da Dio alla vita proprio perché dall'eternità lo ha eletto a essere «figlio nel Figlio».
In ogni momento della storia chi segue la verità e fa il bene che gli appaiono alla coscienza, chi non li tradisce, preferendo la menzogna, aderisce a Gesù Cristo Salvatore e ne riceve la grazia, anche se egli ancora non lo conosce per nome e ancora non lo sa. Gesù stesso si è definito come la Verità (Gv 14,6), mentre Tommaso d'Aquino scrive che ogni verità, chiunque sia colui che la proclama, è sempre dono dello Spirito Santo. E quello che vale per la verità vale anche per il bene. E aggiungiamo che Dio solo conosce chi abbia la fede o chi ne sia privo.
In altri termini, uno non è privo della fede a prescindere dalla propria volontà e libertà. E la ragione di tutto questo, come sappiamo, è che la salvezza è radicalmente dono di Dio, è sua grazia, predestinata all'uomo fin dall'eternità.
Da qui l'importanza della purezza della coscienza e della sua educazione alla verità. Vengono in mente i versi di Manzoni: «II santo Vero mai non tradir» (In morte di Carlo Imbonati). Tradire il Vero sarebbe in ogni caso tradire Gesù Cristo, il quale rimane sempre l'unico Salvatore, assolutamente di tutti e in tutti i tempi, senza bisogno di essere in qualche modo aiutato e meno ancora sostituito. Tutti sarebbero in ritardo su di lui e affatto impotenti a salvare. È detto perentoriamente da san Pietro: «Non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12).
La fede, che coinvolge l'intelletto e tocca la volontà, richiede le opere, non perché queste divengano motivo di vanto e di pretesa, ma perché è la coerenza della condotta alla Parola di Dio a rivelare che l'affidamento a lui è reale, autentico, e non si stempera in parole.
Senza dimenticare che l'imprescindibile alimento della fede è la preghiera, come rendimento di grazie per il prezioso dono ricevuto, come adorazione della SS. Trinità per il suo abbraccio di misericordia, come lode del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e come domanda del loro soccorso quotidiano.
Ora, lo accennavamo sopra, nel percorso dell'anno liturgico tutti questi aspetti della fede sono strettamente e felicemente annodati e
INTRODUZIONE
L'ANNO LITURGICO
La Chiesa celebra la memoria del Signore in obbedienza al suo mandato: «Fate questo in memoria di me». Lo fa principalmente nell'Eucaristia e poi in ogni celebrazione che dall'Eucaristia diparte e irraggia.
Ma non si tratta di una memoria che volga la Chiesa verso un passato irrecuperabile, trascorso per sempre, né di segni di eventi definitivamente tramontati.
Nei riti celebrati con fede:
essa incontra realmente il Signore;
ritrova il suo Corpo e il suo Sangue offerti in sacrificio sulla croce;
accoglie il dono della sua risurrezione;
riceve lo Spirito effuso a Pentecoste,
— e ravviva, così, la speranza nella venuta del Risorto glorioso.
L'azione liturgica è il «sacramento» dell'opera della salvezza, che è sempre "incombente", ed è aperta e disponibile alla Chiesa, che prende parte alla liturgia rievocando con ammirazione e stupore le «meraviglie di Dio», e per esse lodando e rendendo grazie.
Nella liturgia il mistero di Cristo si trova "raffigurato" e "rappresentato". Ma occorre sottolineare tutto il senso e la forza della raffigurazione o "rappresentazione" liturgica. Essa va intesa come "presenza reale" e attuale disponibilità per i credenti nel modo sacramentale.
Ma non sono i riti a generare la presenza del mistero, bensì è "l'energia" del mistero a generare i riti, a infondere in essi la presenza, l'efficacia e la fecondità: il mistero della Pasqua di Gesù, la sua signoria, l'evento salvifico in quanto definitivo e irrepetibile, dotato della capacità della «redenzione eterna» (Eb 9,12), è in grado di accompagnare la storia degli uomini e di essere il "luogo" dove si ritrova il Signore, al quale pertíene sempre e precedentemente l'iniziativa.
Esattamente a motivo di questa precedenza, i riti cristiani non sono originari e autosufficienti; non sí ripiegano e non si esauriscono in se stessi: i segni, i gesti, le parole, le cose, i campi della sacra liturgia sorgono sotto l'impulso urgente del mistero di Cristo, che li attrae, li suscita, li trasforma e li plasma. In essi batte il cuore di Cristo.
Se la loro genesi può essere di varia connotazione culturale, legata alla diversità dei tempi e della provenienza, il loro senso prossimo risulta da una "conversione", che li rende omogenei a essere segni di Cristo e memoria della sua opera di salvezza, per cui si riscontrano
come "ricolmi" di quel "mistero", al quale essere iniziati e con il quale entrare in comunione.
Si comprende, da questo profilo, l'assoluta novità e incomparabilità del rito cristiano. Esso predica l'appuntamento fedele di Cristo, la sua potenza escatologica, per la quale non può essere delimitato in una circoscrizione particolare o definito in un tempo ridotto. Il tempo e lo spazio, che hanno storicamente circoscritto la sua nascita e la sua esistenza, non hanno più potere su di lui; al contrario, sono essi che vengono come pervasi dalla sua "potestà" (Mt 28,18), per la quale nella memoria emerge la presenza.
La Chiesa, che gestisce i segni liturgici, non antecede Gesù Cristo e non si sovrappone al suo mistero; al contrario, essa si pone nell'atteggiamento obbedienziale della fede, e quindi ravviva la memoria di lui, che incessantemente le si affida.
La liturgia, per questa conversione, appare ogni volta con la natura di un "miracolo", destinato a stupire, dovuto alla possibilità di Dio e alla "garanzia" di Gesù Cristo, il Signore. Pur in diversa forma e applicazione, valgono nella liturgia, a partire dall'Eucaristia, le parole dell'angelo a Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà santo sarà chiamato l figlio di Dio [...]. Nulla sarà impossibile a Dio» (Le 1,35.37). Ogni celebrazione dovrebbe, di conseguenza, lasciare ammirati e come "increduli'', tanto essa eccede ogni pensiero e desiderio della nostra natura.
Sarebbe indice sicuro di una liturgia malata l'assenza in essa di questo genere di stupore. Al contrario, per questo stupore la liturgia costituisce il momento contemplativo e lirico del mistero) e la sua forma poetica, il suo canto, che manifesta l'emozione e l'impressione di fronte alla grazia.
Sant'Ambrogio parlerebbe di «fides canora» (inno Dio, creatore degli esseri Dens, creator omnium I).
Presenza ed epifania della signoria di Cristo nella sua "imminenza" rituale, la liturgia, con la Forza e il senso stesso del suo "linguaggio", conduce ed eleva alla Grazia, essendo nata dalla Grazia e come Grazia.
La liturgia è la donazione visibile, attuale e incessante che Gesù fa di sé, disponendosi nel "luogo" e nel "tempo" dei credenti; perciò i credenti, con la loro fede commemorante e celebrante, in questo luogo e in questo tempo lo ritrovano, passando e "innalzandosi" oltre e al di sopra dell' "apparenza".
Il tempo è incluso nell'eterna signoria di Cristo. Diversamente, la liturgia non sarebbe "sacramento". Si ridurrebbe alle risorse e all'attività, sia pure nobili e anche teologiche, dell'uomo; si configurerebbe soltanto come un segno del desiderio, che però non riesce a essere salvifico, poiché la salvezza viene solo dal Redentore e Signore, che nel "sacramento" ha lasciato il suo Corpo e il suo Sangue e quindi in esso ogni grazia che nei santi segni è sempre lui stesso a elargire.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
I PROFETI A GRAN VOCE ANNUNZIANO
Gesù non arriva d'improvviso. La sua apparizione è attesa. Adamo è appena tristemente caduto, che già l'avvento di un Salvatore è misericordiosamente annunziato (Gn 3,15). A questo scopo sarà eletta la stirpe di Abramo. Il Redentore nascerà in seno a quella stirpe, e il succedersi delle sue generazioni ne sarà il simbolo e la predizione. La storia d'Israele sarà, così, una storia di attesa e di speranza, e a tenerle vive e ferventi saranno suscitati da Dio i profeti, fin che essa verrà compiuta con la nascita di Cristo e la grazia trapasserà da lui a tutte le genti.
A cantare questa attesa e questa speranza, nei giorni immediatamente prenatalizi, è l'inno di Lodi Acclamano a gran voce, i profeti (Magnis propheta vocibus): «Acclamano, a gran voce, i profeti/ che Cristo sta per venire,/ preludendo la grazia della lieta salvezza/ con cui ci ha redenti».
Al risonare di questi antichi e fedeli presagi di gloria, la luce inonda le prime ore di preghiera, e l'anima si accende di esultanza «Risplende il nostro mattino/ e i nostri cuori si gonfiano di gioia»: la gioia, perché il Signore non è venuto a punire, ma a detergere pietosamente le ferite, riscattando ciò che era perduto.
Ma la memoria della prima venuta ci preavverte che un altro avvento è imminente e che «Cristo è alle porte», «per coronare i suoi santi/ e aprire il regno dei cieli».