Città del Vaticano
(Si governano così)EAN 9788815131515
Il minuscolo Stato della Città del Vaticano (SCV), centro della cattolicità, è forse meno noto sotto il profilo giuridico di quanto sembri a prima vista. I visitatori che percorrono piazza San Pietro o entrano nei musei vaticani probabilmente non conoscono fino in fondo la realtà giuridica di questa entità statuale. L’agile volume di Francesco Clementi viene incontro a quanti aspirano ad una conoscenza chiara ed essenziale degli aspetti costituzionali di questo Stato, singolare risultato in un plurisecolare processo storico e giuridico. L’autore, docente di Diritto pubblico comparato presso l’Università di Perugia, presenta la sintesi efficace di una ricerca che potrebbe svilupparsi in molteplici, articolate direzioni. «Quarantaquattro ettari. Poco più di un buon campo da golf» (p. 9), esordisce ironicamente il nostro autore.
Eppure i pontefici degli ultimi secoli, come dimostra la storia del Risorgimento, hanno costantemente riaffermato la necessità di questo territorio, definito in forma statuale, a garanzia della indipendenza della chiesa. I documenti del Vaticano II nei quali sono affrontati i grandi temi relativi al rapporto tra la chiesa e gli stati, non fanno riferimento alla Città del Vaticano, tanto meno alle domande che la sua esistenza suscita inevitabilmente alla coscienza credente. Dal 1929 i pontefici hanno determinato il graduale consolidamento delle strutture e delle istituzioni dello SCV, tanto da rimuovere nei cattolici ogni possibile dubbio sulla necessità “ecclesiale”, o meglio ancora “evangelica”, della sua esistenza. I sette capitoli del volume di Clementi si soffermano in particolare sugli ordinamenti di questo Stato, per comprenderne il funzionamento soprattutto in riferimento alla sua finalità spirituale. L’autore mette in risalto fin dall’inizio il legame inscindibile tra la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano, richiamato dal Codex iuris canonici (can. 361). «L’ordinamento canonico - spiega Clementi - penetra e integra fortemente quello vaticano», tanto che «non di rado organi della Santa Sede coincidono con quello dello Stato» (pp. 43-44, passim).
Il Sommo Pontefice è la potestà suprema della Chiesa e nello stesso tempo il sovrano dello SCV. Il collegio cardinalizio, anche se soltanto in tempo di Sede vacante, provvede sia alla elezione del pontefice sia al governo quotidiano dello Stato. La Segreteria di Stato e le rappresentanze diplomatiche svolgono contemporaneamente compiti politici e pastorali. Proprio questo intreccio giuridico-ecclesiastico ha sempre attirato l’attenzione degli studiosi, che si sono divisi intorno alla valutazione della soggettività internazionale dello SCV. Al di là delle diatribe dei giuristi e degli storici, taglia corto Clementi, «a ottant’anni dalla sua nascita è un fatto incontestabile (…) che lo SCV abbia una sua distinta soggettività di diritto internazionale rispetto alla Santa Sede. Tuttavia, tale soggettività e tale capacità giuridica sono evidentemente assai limitate, giacché questo stato - non bisogna dimenticarlo - non è di tipo originario, ma derivato, creato cioè appositamente come strumento a servizio della Santa Sede a livello internazionale» (p. 46). Pertanto, se la Santa Sede è il vero soggetto di diritto internazionale che rappresenta la chiesa universale, lo SCV è caratterizzato da uno status che permette ad esso di entrare de iure nella dinamica delle relazioni internazionali con gli altri stati, stipulando accordi, convenzioni, concordati. Forse l’aspetto più singolare dello SCV, fortemente sottolineato dal nostro autore (un aspetto che non manca di suscitare una legittima curiosità, ridimensionata soltanto dall’attenta comprensione della natura particolarissima di questo Stato) consiste nel fatto che esso rappresenta nel mondo occidentale l’ultima forma esistente di stato assoluto. Nella nuova Lex fundamentalis, approvata nel 2001, leggiamo che il Sommo Pontefice è il sovrano assoluto del suo stato, avendo «la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario» (art. 1, comma 1). Il lettore di Montesquieu potrà rimanere interdetto, se non fosse che la struttura dello SCV non può non fondarsi su una ecclesiologia plurisecolare nella quale il pontefice è la fonte del diritto che non ammette separazione di ambiti e distinzione di prerogative.
Così, nei confronti dello SCV il Pontefice promulga leggi o delega provvisoriamente l’esercizio del potere ad altri enti senza che la sua autorità assoluta sia messa in discussione. Il volume di Clementi, tenendo costantemente presente tutto questo, descrive il funzionamento dei vari organismi dello SCV alla luce delle norme attualmente in vigore e finisce per delineare un quadro sintetico assai efficace per il lettore che richiede un’esposizione chiara e scorrevole in cui il linguaggio tecnico-giuridico sia limitato al necessario. Così sono descritti i poteri della Segretaria di Stato, della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, del Governatorato. La monarchia papale appare come un organismo in continua evoluzione, secondo i tempi e le esigenze. Una certa curiosità può nascere in chi non è addetto ai lavori dalla lettura del capitolo dedicato al Sistema giudiziario. Anche uno stato minuscolo e “spiritualmente” orientato è provvisto di un diritto civile, penale e amministrativo. Si tratta di una organizzazione complessa, che si ispira in parte agli stati moderni. Così veniamo a sapere che nel 1989 Giovanni Paolo II ha istituito l’Ufficio del lavoro della Sede apostolica «destinato alla realizzazione e al consolidamento di una vera e propria comunità di lavoro, i cui pilastri portanti sono quelle caratteristiche del lavoro umano quali si possono dedurre dalle encicliche [e che vedono] il lavoro come prerogativa della persona…» (Motu proprio “Nel primo anniversario”): evidentemente anche nel moderno stato pontificio sono previste vertenze sindacali.
Un’attenzione particolare merita l’ultimo capitolo del volume (“Diritti e libertà”). L’autore osserva che per quanto lo SCV sia una monarchia assoluta, non per questo è del tutto assimilabile agli stati di antico regime, data la singolarità della sua ragion d’essere. Per capire quale sia la natura dei diritti riconosciuti ai membri di questo stato occorre tenere presente che i cittadini vaticani sono pochissimi (585, secondo i dati statistici dell’ottobre 2008) e che la cittadinanza viene espressamente richiesta in ragione dell’ufficio che l’interessato è chiamato a svolgere. Cittadini vaticani, dunque, si diventa. Ma uno stato sui generis non può non riconoscere diritti altrettanto sui generis. Osserva Clementi: «I diritti che l’ordinamento giuridico vaticano attribuisce ai cittadini dello Stato appaiono, per chi adotta la lente del costituzionalismo moderno, sostanzialmente diritti senza libertà, giacché esistono solo e in quanto vengono concessi da un sovrano assoluto. Si tratta, quindi di diritti derivati o in via diretta dal sovrano, oppure in via indiretta attraverso le strutture giuridiche ordinamentali che esercitano i poteri in suo nome. Di certo, dunque, l’assetto di monarchia assoluta e la conseguente assenza di libertà depotenziano tali diritti e li deprimono proprio perché li svuotano da dentro dell’anima, lasciandoli comunque subordinati alla volontà altrui» (p. 112). Le norme relative alla permanenza nello SCV, all’ordinamento economico, commerciale e professionale e finanche alla pubblica sicurezza - descritte sinteticamente nel volume - sono coerenti con la singolarità e la finalità dello stato del papa, destinato - almeno in Occidente - ad essere l’ultimo monarca assoluto.
Sicuramente il libro di Clementi risponde a molte domande formulate dal lettore poco esperto di diritto canonico e internazionale, e non manca, nello stesso tempo, di suscitare la “madre di tutte le domande”: per la coscienza credente l’esistenza dello Stato della Città del Vaticano non è prima di tutto un problema teologico? L’ottantesimo anniversario dei Patti Lateranensi, ricordati in Italia senza particolare solennità, non sembra aver riproposto questo interrogativo, di cui per altro è evidente la dimensione ecumenica. Forse è un segno dei tempi, ma di quali tempi?
Tratto dalla rivista Firmana n. 49/2010
(http://www.teologiamarche.it)
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