Massimo Campanini è ben noto agli studiosi di filosofia islamica medievale per alcune belle versioni commentate e ottimamente introdotte di Averroè (Il discorso decisivo, Milano 1994), di al-Farabi (La città virtuosa, Milano 1996), di Avempace (Il regime del solitario, 2002), tutte uscite dalla Rizzoli-BUR. Ma non ha trascurato la filosofia più recente, come dimostra questo agile volumetto dal prezioso e densissimo contenuto dedicato agli sviluppi del pensiero in terre musulmane dalla fine dell’‘800 ai nostri giorni. Il volume ne prende in esame le più varie correnti e sfaccettature, dagli esordi (al-Afghani, Muhammad ‘Aduh, Muhammad Iqbal) ai Fratelli Musulmani e gli odierni sviluppi del radicalismo (cap. VI); dal laicismo cresciuto nell’ambito di una critica e di un rinnovamento del pensiero arabo (cap. II) alle forme di persistenza del pensiero tradizionalista (cap. III); dalla critica «storicista» all’ermeneutica coranica (cap. IV) agli sviluppi dell’islam politico tra «socialismo arabo» alla Nasser e l’ islamica «teologia della liberazione» di un Hanafi (cap. V), sino all’interessante finale excursus sul pensiero femminista (cap. VII) che ci presenta le complesse figure di una Zaynab al-Ghazali «femminista» nell’ottica del radicalismo, di una Amina Wadud che proclama una sorta di «jihad di genere» e della fine e appassionata studiosa Fatima Mernissi (di cui ci occupiamo in questa stessa rubrica di recensioni).
Sin all’inizio l’Autore ci spiega il perché di un titolo che ignora il termine filosofia a favore di pensiero. La tradizione filosofica araba, ricca e variegata, in buona parte frutto di una attenta rielaborazione del lascito greco (non a caso filosofia in arabo si dice falsafa) che poi sarà restituito «con gli interessi» alla Scolastica, forma un capitolo fondamentale della storia della stessa filosofia occidentale, com’è ben noto a qualunque studioso - o anche solo curioso - dell’argomento. Il pensiero filosofico della latinità medievale ampiamente si nutrí dell’«araba rielaborazione» del pensiero greco: il duro confronto tra professori averroisti e anti-averroisti nelle Università di Parigi, Bologna e Padova, per fare solo un esempio, ne è testimonianza importante; cosí come gli stessi sviluppi del pensiero scientifico moderno hanno nell’algebra di al-Khwarezmi, nell’ottica di Alhazen, nella medicina di Rhazes o di Avicenna, nell’opera di tanti altri alchimisti, astronomi, farmacologi arabi quantomeno i propri capitoli iniziali. Poi, dopo il XIV secolo, dopo Averroè e lo storico-filosofo Ibn Khaldun, sembra esserci il vuoto. Non che in questo lungo periodo si cessi di pensare in terre islamiche, al contrario. Ma il pensiero prende direzioni diverse, la falsafa decade a favore del pensiero mistico, della speculazione gnostica o «teosofica» che, almeno nell’oriente iranico, si sviluppa impetuosamente anche sul lascito di alcuni aspetti esoterici del pensiero di Avicenna e del «filosofo dell’illuminazione» Sohravardi. Aspetti che verranno presto in vario grado integrati nel pensiero teologico sciita, per dare vita a correnti e a scuole di pensiero che arrivano sino ai nostri giorni. Questo ramo orientale della «filosofia islamica» fu ampiamente indagato da Henry Corbin che con vigore sostenne la tesi che la filosofia non era mai morta, bensí aveva trovato migliori condizioni più a est, in terre iraniche appunto. Massimo Campanini rubrica questi sviluppi come «teosofia», dunque un tipo di pensiero in sostanza altro rispetto alla tradizione della falsafa, come a dire pensiero religioso più che filosofico in senso stretto. In terre arabe invece, la parte più viva del pensiero è raccolta e sviluppata dal sufismo speculativo cresciuto sul lascito di un altro grande «teosofo» arabo-andaluso, Ibn ‘Arabi. Ma di che «teosofia» si tratta? Gli studiosi musulmani preferiscono parlare di ‘irfan, di ma’rifa, termini derivanti dalla radice araba ‘arafa (=conoscere) e che sono di solito tradotti con gnosi, gnosticismo, teosofia e simili. Il punto è che per molti pensatori musulmani medievali filosofia e ‘irfan risultano intimamente connessi: si pensa tipicamente che la filosofia, come scienza generale della natura e «scienza del linguaggio» (logica, dialettica, ecc.), sia la necessaria propedeutica al raggiungimento delle vette della gnosi, ovvero dell’‘irfan che non è solamente conquista speculativo-illuminativa ma anche conquista etica, stile di vita. In questo, mi pare, l’‘irfan è degno erede della migliore tradizione filosofica greca, è proprio «filosofia» del conio migliore…
Giustamente Campanini fa rilevare come tutto il pensiero filosofico da Avicenna ai nostri giorni, in terre arabe o iraniche, si caratterizzi come un pensiero che ha sempre nella rivelazione coranica e nell’insegnamento del profeta Maometto (hadith), nelle sacre scritture insomma, il suo punto di partenza (o di confronto) imprescindibile. E proprio per questa particolare caratteristica, perché non si potrebbe parlare di «filosofia araba» senza collegarla direttamente o indirettamente a un lessico e a una topica, a tematiche e a problemi di tipo religioso, che l’Autore preferisce parlare genericamente di «pensiero» piuttosto che di «filosofia» islamica.
Questa medesima impostazione si ritrova anche tra i «pensatori» musulmani contemporanei con l’aggiunta di una significativa attenzione alla praxis; ovvero, tutto il pensiero islamico contemporaneo, partendo dall’analisi dei drammatici ritardi accumulati dalle società musulmane, si propone di essere un «pensiero d’azione» volto programmaticamente alla trasformazione della cultura e della società musulmana contemporanea, magari con un occhio attento ai grandi principi sortiti dalla rivoluzione francese, dalla rivoluzione liberale o persino dalla rivoluzione d’Ottobre. Di qui due grandi temi che dominano il dibattito: l’ermeneutica coranica, di cui gli autori denunciano spesso l’arretratezza a partire dal problema della «storicità» del testo, ignorata dal mainstream degli esegeti tradizionalisti e furiosamente negata dal verbo dei fondamentalisti; l’altro tema, strettamente connesso, è l’estensione o sfera d’azione del messaggio: codice di tutta la vita spirituale e sociale, politica e religiosa come vorrebbero soprattutto i fondamentalisti a partire dallo slogan «L’islam è insieme religione e stato»; o piuttosto, secondo altri, libro che parla e che deve parlare solo alle coscienze individuali, non diversamente da come oggi perlopiù si intende il rapporto tra la Bibbia e la massa dei suoi moderni lettori. Ma la prima scelta, ecco un aspetto interessante, non è patrimonio esclusivo del fondamentalismo, del tradizionalismo più conservatore; vi sono infatti fior di autori «progressisti» che si richiamano al Corano per estrarne i principi stessi di una moderna «democrazia», dei moderni «diritti umani», persino della emancipazione o «liberazione della donna». Qui a mio avviso, si trova forse l’aspetto più interessante e più coraggioso del pensiero islamico contemporaneo. Tra quelle tendenze radicali o tradizionaliste che semplicemente rifiutano l’Occidente e quelle laicheggianti che, invece, ne sposano le forme della modernità politica relegando l’islam a una questione tutta privata e intima, si situa una terza interessante area di pensiero che tenta una sorta di «inculturazione» delle forme occidentali della politica a partire non dalla negazione bensí da una compiuta rilettura della tradizione islamica. Si va cosí a ripescare concetti come «democrazia», o «divisione dei poteri» o «pluralismo» facendo leva sulla lettura di numerosi passi e concetti coranici in cui, ad esempio, si parla di shurà (=consiglio, consultazione), ikhtilaf (diversità/discordanza di opinioni), ijma’ (consenso comunitario); oppure si riscopre e si riformula originalmente l’idea di «uguaglianza» o di «libertà» attraverso l’accentuazione del concetto di hakimiyya o «sovranità» assoluta di Dio che, da un lato, pone tutti gli uomini senza distinzione di razza o di censo sullo stesso piano in quanto creature e «servi di Dio»; dall’altro, nella negazione radicale di qualsiasi altra «sovranità» altra da quella divina esalta la libertà (e il diritto alla libertà) dell’individuo di rifiutare i moderni «idoli».
Sorprende forse, nell’amplissima e approfondita disamina di personalità e correnti fatta da Campanini, qualche assenza: ad esempio il pensiero del fondamentalista pakistano Mawdudi, appena sfiorato, eppure si tratta di un pensatore che ha notevole influsso anche sul fondamentalismo arabo-mediterraneo. Ancor più inspiegabile mi pare l’assenza di un capitolo su Tareq Ramadan, «euro-musulmano» e una delle grandi e originali voci del riformismo musulmano recente, protagonista forse del più serio tentativo di «ri-pensare» il diritto islamico in chiave moderna, all’interno di un discorso che si volge ai suoi correligionari immigrati in Francia, Germania, Inghilterra, ecc. per invitarli a «essere musulmani europei» [titolo-manifesto di un suo famoso libro tradotto anche in italiano e recensito in Studia Patavina 1 (2005) 333].
Il volume di Campanini, completo di indici (ma manca una bibliografia orientativa), si raccomanda a tutti coloro che vogliono avere una informazione seria e approfondita su quanto va muovendosi nella intellighenzia musulmana contemporanea e credo costituisca in questo senso uno dei contributi più preziosi sfornati dall’editoria italiana negli ultimi anni.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
L'autore traccia un profilo del pensiero islamico contemporaneo e ne sottolinea i contenuti ricchi e fecondi. Rileva che esso si rapporta con il pensiero e la filosofia occidentali, ma sviluppa proprie linee originali di ricerca ripensando il turath, l'eredità , il passato, la tradizione, discutendo i temi della laicità e della democrazia, rifondando l'ermeneutica del testo sacro, scoprendo la dimensione della storicità , attraverso figure, anche femminili, rappresentative di un islam proiettato nel moderno. Rileva che il pensiero islamico contemporaneo «ha sempre dovuto fare i conti con l'Islam, innanzitutto» (p. 10), è stato cioè costretto a «confrontarsi, in positivo o in negativo, con l'Islam» (p. 11), e «ha dovuto misurarsi con le categorie, ad un tempo aliene e comuni, della modernità occidentale» (p. 10), laicismo, nazionalismo, democrazia, storicismo e materialismo, che «mettevano in discussione il fatto che l'Islam sia religione e mondo ad un tempo, interiorità ed esteriorità , costituito da atti di culto ed atti sociali» (p. 12).
Rileva inoltre che il pensiero islamico contemporaneo si è sviluppato «a partire dal confronto storico con l'Occidente e a partire da categorie filosofiche mutuate dall'Occidente » (p. 13), quindi, ha dovuto porsi il problema «non solo di pensare se stesso, ma anche di pensare l'altro» (ibid.), mentre la filosofia occidentale «si è nutrita di elementi solo endogeni [...], ha avuto sviluppi esclusivamente endogeni » (ibid.). Campanini passa in rassegna i filosofi/pensatori/intellettuali contemporanei rilevando che «molti reagirono alla prepotente modernità ed efficienza dell'Occidente con un sentimento di ammirazione e di imitazione che, qualche volta, assunse i caratteri dell'acquiescenza» (p. 21) e che «un numero ancora maggiore reagì cercando di comprendere come l'Islam potesse interloquire con l'Occidente e la modernità anche da una posizione di forza rivendicando la propria specificità» (p. 22). Osserva che dopo il culmine della filosofia islamica nei secoli IX-XIV, seguono i secoli XIV-XVIII di declino e che nel XIX secolo si ha la rinascita islamica, i cui due poli sono stati l'India, in cui emergono le figure di Sayyid Ahmad Khan e di Ameer `Alì, e l'Egitto, in cui emerge la figura di Taha Husayn, figure che riconoscevano la superiorità dell'Occidente, accettavano la modernità occidentale, quindi, volevano modernizzare l'Islam imitando l'Occidente.
Osserva inoltre che intellettuali più radicali furono Jamal al-Din al-Afghani, che non riteneva che l'Islam dovesse imitare l'Occidente ed era convinto che si dovesse tornare a recuperare lo spirito dei salaf (di qui il movimento noto appunto come salafiyya), degli ``antichi'', la prima generazione dei musulmani che erano vissuti col Profeta, e il suo discepolo Muhammad `Abduch, intento a islamizzare la modernità . Sottolinea che in India sir Muhammad Iqbal «fu il principale teorico degli inizi del Novecento che abbia mirato alla ricostruzione del pensiero religioso islamico in un'ottica che possiamo considerare analoga a quella di `Abduh di islamizzazione della modernità ''»(p. 30). La ricostruzione - aggiunge - «avviene bensì attraverso un continuo confronto critico con la tradizione filosofica dell'Occidente, ma è innervata dalla persuasione che i musulmani possano trovare nell'esplorazione della loro più autentica tradizione gli elementi necessari e sufficienti per una rinascita che sia loro propria e originale» (p. 33). Campanini analizza, poi, il rinnovamento del pensiero arabo in Malek Bennabi, Muhammad `Aziz Lahbabi, Zaki Najib Mahmud, Muhammad `Abid al-Jabri, nei pensatori laicisti Sadiq Jalal al-`Azm, Fu'ad Zakariyya, Muhammad Sa'id al-`Ashmawi, Bassam Tibi, Abdou Filali-Ansary, e in Hasan Hanafi. Sottolinea la dimensione tradizionale della filosofia islamica in età contemporanea, «interpretata in modo esemplare dall'iraniano sciita Seyyed Hossein Nasr» (p. 73), quindi, una delle questioni fondamentali, quella del rapporto dell'Islam con la storicità , col passato, condizionato dalla metastoricità del Corano e dall'utopia retrospettiva. Rileva che la tesi del Corano increato (sostenuta dagli ashariti), che ha prevalso sulla tesi del Corano creato (sostenuta dai mutaziliti), sottrae il messaggio coranico ad ogni dimensione di evoluzione e di adattabilità storica.
Rileva inoltre che l'utopia retrospettiva nel pensiero islamico significa costruire il futuro riproducendo cioÁ che è accaduto nel passato: l'epoca di Maometto e dei califfi ben guidati. Osserva che si è mitizzato, così, il passato e che conseguenza di questa mitizzazione è stata lo sviluppo di un sentimento di autosufficienza. Questa - scrive - «impedì ai musulmani di evolvere e, nel tempo, li rese inermi di fronte all'aggressiva modernità scientifica e tecnologica dell'Occidente, che infatti li ha sottoposti a colonizzazione culturale ed economica» (p. 87). L'autosufficienza - osserva - ha portato i musulmani a un atteggiamento di chiusura che, «in alcune frange estremistiche contemporanee, si è tradotto nel rifiuto radicale dell'Occidente» (ibid.). Sottolinea che l'utopia retrospettiva ritiene il sistema giuridico-normativo dell'Islam delle origini valido anche nel XXI secolo, senza tener conto delle mutate circostanze storiche, quindi, un sistema immodificabile.
Esamina il rapporto dell'Islam con la storia e con la modernità e rileva che esso è al centro del pensiero di Fazlur Rahman, persuaso di rifondare la relazione dell'Islam con la modernità a partire dal Corano. Secondo Rahman, il Corano è un libro storico nel senso che affronta le circostanze storiche in base a principi generali che è indispensabile applicare nella realtà attuale. Anche Nasr Hamid Abu Zayd, nel rapporto dell'Islam con la modernità , parte dal Corano, inteso come testo, in arabo nass, e ne evidenzia i due aspetti strettamente collegati: la sua linguisticità e la sua storicità . Si rende conto che nel corso del tempo il concetto di nass è stato fossilizzato e il Corano è diventato mushaf, ``libro'', confondendo l'aspetto esteriore e letterale con l'aspetto vivente del contenuto; si rende conto altresì che la lettura del Corano come testo diviene una lettura obbligata, quasi ``metafisica'', e avanza la proposta di considerare il Corano come un discorso, che non veicola un'unica lettura, ma incita al confronto, alla dialettica, all'intersecarsi delle opinioni, e ogni sua affermazione contestualizzata (per esempio, la condanna degli ebrei contestualizzata al loro comportamento ostile al Profeta). A proposito del testo, Campanini osserva che `Abdolkarim Soroush trasporta la questione del testo sul piano della conoscenza di esso e rileva che per questo pensatore il testo rimane invariabile mentre la conoscenza che se ne ha cambia, che la religione è immodificabile e la conoscenza religiosa è in costante dinamismo, cioè sottoposta a storicizzazione e temporalizzazione.
Sempre per quanto riguarda il rapporto dell'Islam con la storia, Campanini rileva che per Muhammad Arkoun l'Islam ha sviluppato un insieme di conoscenze che hanno costituito il suo pensabile e ha lasciato al di fuori un ampio spazio di impensato, la laicità o storicità , la sessualità . Si è precluso, così, l'accesso alla modernità , ritenuta impensabile e irriducibile al pensiero tradizionale e quindi respinta. Questo, per il pensatore algerino, è stato il fattore più grave dell'arretratezza del mondo islamico. E' necessaria - secondo Arkoun - una nuova lettura del Corano, che deve essere effettuata attraverso gli strumenti delle scienze umane moderne: la linguistica, la sociologia, la psicologia, l'antropologia e soprattutto la storia. Campanini sottolinea che il problema del rapporto degli intellettuali arabi e islamici con la modernità e l'Occidente è al centro del pensiero di `Abdallah Laroui. Rileva che «le sue diagnosi sono spesso assai acute» (p. 118) e che «manca in qualche caso la terapia, cioè un tentativo di costruire un nuovo outlook arabo e musulmano» (ibid.). Campanini tratta, poi, il rapporto Islam e politica in Muhammad Mahmud Taha, che definisce «un grande protagonista del rinnovamento del pensiero arabo-islamico nel Novecento » (p. 131).
Sottolinea che per questo pensatore l'islam è democratico e socialista. Espone lo stesso rapporto nel suo discepolo `Abdullahi al-Na'im, rilevando che egli denuncia l'inadeguatezza della shari'a e propone una revisione che egli denomina ``riforma''. Esamina lo stesso rapporto in Ahmad Moussalli, che tratta la questione dei diritti e della democrazia. Illustra la teologia della liberazione in Hasan Hanafi e in Farid Esach e il pensiero islamico radicale, il cosiddetto integralismo o fondamentalismo islamico. Campanini dice che «è meglio evitare definizioni come ``integralista'' o ``fondamentalista'' perché troppo connotate in senso cristiano e quindi occidentale »(p. 159). Precisa inoltre che il pensiero islamico contemporaneo «non coincide col terrorismo, sebbene alcuni pensatori radicali, come Sayyid Qutb, [...], siano stati scelti come matres à penser da alcuni gruppi estremisti e terroristi» (ibid.). Chiude il libro il pensiero femminile: Hudà Sha'rawi, Zaynab al-Ghazali, Maryam Jamila, Amina Wadud, Fatima Mernissi, tutte impegnate per la causa dell'Islam e della liberazione delle donne.
Tratto dalla rivista "Sapienza. Rivista di Filosofia e di Teologia" n. 1/2010
(http://www.edi.na.it)
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