Questo agile volumetto di Pier Luigi Petrillo, docente di diritto pubblico presso l’Università di Siena, colma certamente un vuoto d’informazione e più di una curiosità. Il titolo quanto mai generico non inganni: l’argomento è in realtà molto particolare, ovvero si tratta di una illustrazione del sistema giuridico e costituzionale della Repubblica Islamica d’Iran quale si è formato a partire dalla rivoluzione degli ayatollah del 1979. Pur facendo uso di un linguaggio giuridico, il testo si tiene lontano dai tecnicismi mantenendosi sempre sulla linea dell’alta divulgazione, e risulta perciò utile al pubblico più largo.
Dopo un breve capitolo introduttivo volto a lumeggiare la situazione geopolitica e storica dell’Iran, e un altro capitolo dedicato alla storia costituzionale (dalla prima rivoluzione costituzionalista degli anni 1905-06 sino alla rivoluzione teocratica del 1979), l’Autore entra subito in medias res con una serie di densi capitoli dedicati a «I fondamenti dello Stato Islamico» (cap. 3) e a «L’organizzazione dello Stato e gli strumenti giuridici della decisione politica» (cap. 4), in cui sono dettagliatamente illustrate le fonti del diritto e i vari organi della complessa struttura costituzionale della teocrazia iraniana: dalla Guida suprema (ieri Khomeyni, oggi l’ayatollah Khamenei), il Consiglio dei Guardiani, il Consiglio degli Esperti, parlamento, governo ecc. Quel che emerge in sostanza è un originale sistema costituzionale che tenta, invero acrobaticamente, di coniugare i moderni principi e strumenti della sovranità popolare (elezioni a suffragio universale, parlamento, divisione dei poteri) con la «sovranità» di Dio così come questa si manifesta nella Legge religiosa (shari’a) e nel suo massimo garante individuato nella Guida. La quadratura del cerchio di quello che sembra un compito a prima vista impossibile è affidata a un organo specifico, il nominato Consiglio dei Guardiani, formato esclusivamente da stimati giureconsulti, in maggioranza religiosi, incaricati di verificare la «conformità ai principi e precetti islamici» delle leggi licenziate dal Parlamento. In sostanza il Consiglio dei Guardiani svolge una funzione paragonabile a quella della nostrana Corte Costituzionale che esprime pareri di conformità al dettato costituzionale delle leggi, ma con una significativa differenza: mentre infatti la Corte Costituzionale entra in gioco solo se interpellata (da un magistrato o da altri soggetti pubblici nell’esercizio delle loro funzioni), il Consiglio dei Guardiani esercita un sistematico controllo preventivo sulle leggi che non possono venire promulgate se non dopo che vi sia stato apposto il «visto» di conformità ai principi islamici. Il fatto che i Guardiani siano in misura preponderante di estrazione religiosa o direttamente nominati dalla stessa Guida suprema, garantisce la stabilità del sistema e l’ancoraggio islamico della legislazione prodotta.
Il capitolo seguente, «Gli strumenti della partecipazione politica» (cap. 5) è forse il più interessante dell’intero volume, anche nell’ottica dello studioso di politologia, perché ci mostra alcune delle modalità di funzionamento della società politica in regime di teocrazia. Vi troviamo un sistema politico che non conosce solamente i partiti, il cui numero è peraltro limitato dai vincoli generali del sistema che per esempio esclude a priori i partiti anticlericali, atei ecc., e soprattutto dalla «tagliola» di una commissione del Ministero degli Interni che ne autorizza o nega la costituzione. Più dei partiti è influente il sistema dei grandi «schieramenti politico-religiosi», qualcosa di molto simile a dei cartelli elettorali semipermanenti, che ricordano - sottolinea il Petrillo - il sistema politico nord-americano più che quello dei paesi europei. Si tratta insomma di gruppi d’interesse e di pressione politica molto informali, che si riuniscono intorno a capi carismatici e che diventano visibili soprattutto nell’imminenza di consultazioni elettorali. Grosso modo si distinguono quattro grandi schieramenti: 1. Gli ultra-conservatori che attualmente esprimono la maggioranza parlamentare e l’attuale presidente Ahmadinejad; hanno come figura religiosa di riferimento quella dell’ayatollah Yazdi, espressione di tendenze rigoriste e neo-messianiche, ostili a qualsiasi contaminazione con l’Occidente (gli avversari politici li bollano spregiativamente con l’appellativo di… «crociati»!). 2. I conservatori tradizionalisti che si riconoscono intorno alla figura della Guida suprema l’ayatollah Khamenei, e che hanno la loro tradizionale base d’appoggio tra il ceto dei commercianti medio-grandi, dei proprietari e degli ulema, non pregiudizialmente ostili ma sempre molto prudenti nelle aperture all’Occidente. 3. I modernisti che hanno avuto il loro grande nume nell’ex presidente Khatami, religioso coltissimo e di idee liberali; recentemente sono stati tra i promotori della c.d. «Onda Verde» che ha scosso l’Iran dopo la contestatissima rielezione di Ahmadinejad. La borghesia tecnocratica che manda i figli a studiare all’estero, gli studenti e il ceto impiegatizio urbano, il clero più «illuminato» e le donne impegnate, tutti costoro costituiscono la base popolare di questo schieramento che fa dei «diritti e delle libertà individuali» la propria bandiera; 4. I pragmatici infine, che fanno riferimento a un altro ex presidente, il nominato ayatollah Rafsanjani, personaggio discusso appartenente a una delle grandi famiglie dell’oligarchia religioso-finanziaria del Paese. Questi ultimi, come il gruppo precedente, passano per filo-occidentali e denunciano i danni prodotti all’Iran dalla sua chiusura verso l’Occidente; però prevale fra i «pragmatici» la tendenza al compromesso e al piccolo cabotaggio, e l’attenzione ai diritti e alle libertà individuali è direttamente funzionale più ai grandi interessi più che non alle ideologie.
Questi grandi schieramenti informali alimentano poi una serie infinita di associazioni religiose, politiche, culturali «collaterali» che agiscono un po’ come organi di una vivacissima e variegata «società civile», certo una società impregnata di valori e soprattutto di linguaggio religioso, ma che nasconde tra le sue pieghe tendenze diversissime e spesso dichiaratamente antagoniste rispetto all’establishment. Queste associazioni in concreto, facendo capo a un leader politico o religioso di qualche rilievo, tendono a comportarsi più come «patronati» che non come «partiti», tendono a riconoscere o a riunirsi «intorno a un leader giudicato in grado di proteggerli e tutelarli più che di rappresentarli». Se si tiene presente che questi grandi «patronati» sono poi a loro volta in posti di rilievo nella gestione delle più ricche fondazioni e quindi grandi distributori di posti e sussidi, si comprende come il legame con gli aderenti configuri talora più un rapporto di «clientela» che non di «rappresentanza». Nell’insieme - osserva il Petrillo - tra partiti, patronati e associazioni di vario genere, si osserva un tasso di partecipazione politica elevatissimo e una notevole mobilità elettorale che ha portato in questi trent’anni dalla Rivoluzione a diversi ribaltamenti politici.
I capitoli successivi sono dedicati alla questione delicata dei «Diritti e libertà» (cap. 6) e del «Sistema giudiziario» (cap. 7). Anche qui si osserva una situazione contraddittoria. Da un lato si ha il riconoscimento formale fin dalla Carta Costituzionale di tutti i diritti fondamentali in un’ottica che sembra pienamente recepire i contenuti della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e i principi dello stato liberale; dall’altro però, il sistema mette in atto tutta una serie di meccanismi e contrappesi che, nell’ottica di garantire la sicurezza e la sopravvivenza dello Stato Islamico, di fatto limita fortemente questi diritti o ne condiziona negativamente lo sviluppo. Un esempio da manuale è nella legge sulla stampa che, mentre riconosce in teoria piena libertà, di fatto la vanifica in gran parte attraverso un cavilloso sistema di autorizzazioni preventive e di sanzioni successive che, spesso arbitrariamente, colpiscono duramente la stampa ostile al potentato del momento. Anche il sistema giudiziario, pur organizzato secondo principi moderni, soffre del medesimo tipo di limitazioni e contraddizioni. In più, deve fare i conti con strutture parallele semi-anarchiche come quelle dei Guardiani della rivoluzione (i famosi pasdaran) e altre milizie che spesso agiscono al di fuori della stessa legalità dello Stato Islamico, operando arresti arbitrari e «punizioni» degli avversari politici, come ben mostrato nel corso delle oceaniche proteste dell’Onda Verde, il movimento popolare-progressista che contestò la regolarità della rielezione dell’attuale presidente Ahmadinejad.
Tuttavia la magistratura spesso interviene efficacemente ad arginare gli arbitri, per esempio i carcerieri accusati di torture sono finiti a loro volta dietro le sbarre; giornalisti ingiustamente arrestati sono stati rimessi in libertà. Ma spesso l’opposizione sfrutta abilmente quell’arte di arrangiarsi che non è solo una italica prerogativa. Così, giornali chiusi d’autorità riaprono il giorno dopo con un nome diverso per venire richiusi e poi riaperti con lo stesso sotterfugio in continuazione… e il gioco può durare anni. Gli internet-café sono diventati affollati luoghi di informazione alternativa e di riunione non autorizzata per giovani oppositori. Una miriade di associazioni promuove piccoli spazi di dibattito e libertà, in sostanza tollerati dall’establishment almeno finché non crescono troppo. Stupisce in effetti la massiccia partecipazione popolare e soprattutto dei giovani (il 70% della popolazione ha meno di 35 anni) al dibattito politico e alle manifestazioni di piazza, qualcosa che sembra vistosamente contraddire l’immagine stereotipata di una «dittatura teocratica» che ancora domina nei media occidentali.
Ma vi sono anche altri fenomeni che in qualche modo scardinano le basi di ogni giudizio affrettato o sommario, per esempio la grande vivacità dell’Iran sul piano culturale: si pensi al suo cinema, ormai conosciuto a livello planetario, ma anche a fatti apparentemente meno importanti come le serate di poesia tradizionale o contemporanea organizzate dalle librerie delle principali città che possono attirare anche migliaia di entusiasti spettatori. E si pensi soprattutto alla vera esplosione di movimenti femministi di ogni tendenza, e persino di un «femminismo islamico» che rivaluta alcune figure chiave della storia sciita (Fatima, Zeynab), proponendole a modello di una nuova donna, credente e osservante ma insieme pienamente consapevole dei diritti e del suo ruolo nella società. Insomma, sotto il manto della teocrazia, tutto è in movimento. Gli effetti sociali si vedono: ai tempi dello scià le studentesse universitarie erano in minoranza, oggi sono in netta maggioranza sui colleghi maschi; le donne guidano macchine e taxi, e occupano molti posti di responsabilità nella burocrazia statale; in alcune professioni come quelle mediche, docenti o giornalistiche concorrono con i colleghi maschi ad armi pari, a differenza di quanto accade nella maggioranza dei paesi arabi; in Parlamento siedono più donne di quante se ne vedano nella gran parte dei parlamenti europei. Paradossalmente - ha osservato più di uno studioso - proprio il velo (chador), proteggendo e garantendo il «decoro islamico», ha consentito a masse femminili provenienti da ambienti poveri, rurali e suburbani, di uscire di casa, istruirsi e andare a lavorare anche in ambienti promiscui. È un esempio quest’ultimo di come sia facile avere una lettura distorta e etnocentrica: il velo, visto dall’Europa figlia della Rivoluzione francese, è un ostacolo e una umiliazione; visto dalla generazione attuale di giovani iraniane, può essere persino uno strumento di emancipazione.
Dalla lettura di questo libro si esce con una strana impressione, non del tutto negativa, sul paese. Anche nell’Iran degli ayatollah, tra mille e una contraddizione, la società va avanti e si sta familiarizzando con le forme moderne della Politica e del Diritto; anche nella teocrazia più potente del mondo islamico, pur tra le repressioni e le censure, cresce incontenibile una nuova coscienza democratica e dei diritti, di cui spesso si fanno paladini i religiosi o loro consistenti settori. Il Paese insomma, da molti media occidentali tacciato di ritorno al «medioevo», in realtà pur tra mille contraddizioni sta facendo il suo duro apprendistato attraverso la Modernità e i suoi feticci.
Tratto dalla Rivista Studia Patavina 2011 n. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)