Averroè
(Universale paperbacks Il Mulino)EAN 9788815118844
L'autore mette in luce i principali aspetti del pensiero di Averroè , importante protagonista della cultura medievale, filosofo arabo-spagnolo (andaluso), celebre in Occidente soprattutto per i suoi commentari al pensiero di Aristotele, e individua nella natura ``militante''del suo progetto filosofico e culturale, strettamente connesso al progetto politico e culturale almohade, il tratto più moderno e perspicuo dell'intera sua opera. Gli Almohadi, una dinastia berbera che aveva unificato il Maghreb e l'Andalus alla metà del XII secolo, favorirono la ricerca filosofica e speculativa (non è un caso che Ibn Tufayl e Averroè fossero intimi dei sovrani e che sovrani come Abu Ya'qub Yusuf praticassero le scienze e la filosofia).
Averroè entrò nella corte almohade il 1153, dove svolse una lunga e prestigiosa carriera di magistrato, nel 1182 divenne medico privato del califfo e collaborò al progetto culturale almohade. Fu «un esponente di punta dell'intellighenzia almohade» (p. 21). Campanini sottolinea che due grandi opere averroiste si muovono nella direzione del progetto culturale e politico degli Almohadi: L'inizio del dotto impegnato nello sforzo di riflessione personale e la fine del dotto equilibrato nelle questioni del diritto e il Commentario alla Repubblica di Platone. Sottolinea anche che Averroè è autore di testi filosofici e teologico-giuridici: Trattato decisivo sulla connessione della Legge religiosa e la filosofia; Svelamento dei metodi di prova concernenti i principi della religione; Incoerenza dell'incoerenza dei filosofi. Nel primo sostiene che la filosofia non solo è lecita secondo la Legge religiosa ma addirittura obbligatoria e prescritta per coloro che hanno le capacità intellettuali per applicarvisi. Nel secondo discute quali siano i metodi migliori per argomentare a favore dei principali assunti teologici. Nel terzo testo Averroè si confronta con il teologo asharita al-Ghazali e ribatte alle sue accuse mosse contro la filosofia. Al-Ghazali, infatti, nell'Incoerenza dei filosofi aveva attaccato la filosofia, accusando i filosofi di essere miscredenti quando affermano che il mondo è eterno, quando sostengono che Dio non è in grado di conoscere i particolari e quando negano la resurrezione fisica dei corpi.
L'autore rileva pure che Averroè è autore di commentari ad Aristotele. Si tratta di commentari ``minori'' (jawami) e ``medi'' (talakhis), ma anche di grandi commentari o commentari letterali (tafasir), «opere rigorosamente filosofiche» (p. 41). Furono i commentari a renderlo famoso in Occidente. Dante lo cita come «colui che il gran commento feo» (Inferno, IV, 144). Campanini evidenzia le due maggiori eredità che Averroè ha tratto da Aristotele: «il realismo epistemologico e il materialismo--naturalismo » (p. 47). Sottolinea che secondo il realismo averroista il pensiero corrisponde alla realtà . Passa poi ad esaminare la dottrina controversa della ``doppia verità ''. Questa, come venne intesa dalle autorità ecclesiastiche (il vescovo parigino Stefano Tempier condannò l'averroismo nel 1277), consisterebbe nel considerare opposte la verità filosofica e quella religiosa e nel ritenere la prima più vera della seconda. «Si tratta - scrive Campanini - di un principio estraneo ad Averroè o addirittura contrario a quanto da lui sostenuto » (p. 59), se si considera come, «proprio nel Trattato decisivo, tenti di dimostrare che verità filosofica e verità religiosa non si elidono » (pp. 64-65).
Nel Trattato decisivo viene detto esplicitamente che tra religione e filosofia vi è ``connessione'', in arabo ittisal. La verità per Averroè è unica, anche se «cambiano i registri linguistici sui quali si predica l'unica verità» (p. 68): filosofia e religione parlano della medesima verità con linguaggi diversi. «è proprio il linguaggio a costituire la chiave di volta della soluzione averroista a tutto il problema della relazione tra filosofia e religione» (p. 66). Per Averroè , ognuna delle tre categorie in cui gli uomini si dividono intellettualmente, i filosofi, i teologi e la massa, si esprime in un linguaggio a essa idoneo: il dimostrativo per i filosofi, il dialettico per i teologi e il retorico per il volgo. La differenza tra teologi e filosofi, dunque, è «pura questione semantica» (p. 65). Campanini è dell'avviso che si tenda a ``enfatizzare l'aspetto linguistico'' (p. 67). «Ciò non significa per Averroè - afferma - che la verità sia un mero gioco linguistico, quanto piuttosto che la verità ha un carattere essenzialmente interpretativo » (p. 67). La verità , appunto, «è svelata da un'interpretazione linguistica» (p. 68). Non è vero che, per Averroè , l'essere è linguaggio, «quanto piuttosto che l'essere è reso comprensibile attraverso il linguaggio » (p. 67).
Campanini sottolinea che la connessione tra la filosofia e la religione è il progetto di Averroè , «progetto che costituisce la chiave di lettura di tutto il suo pensiero » (p. 82). Sottolinea altresì la modernità del cordovano nell'aver «vissuto sulla sua pelle la contraddizione tra una razionalità illuministica e il dovere della fedeltà religiosa» (p. 109). E aggiunge: «egli non voleva né derogare dalla ragione né abbandonare la rivelazione. Per non farlo, [...], cercava di giustifi- care l'unità della verità facendo ricorso al linguaggio » (ibid.). L'autore rileva altresì che Averroè ebbe una profonda influenza nella filoso fia ebraica medievale. Tra il XIII e il XV secolo si sviluppò , infatti, una fiorente scuola di averroismo ebraico, cosa che ebbe luogo anche nel pensiero latino e cristiano, mentre Averroè influì poco nel mondo islamico a lui contemporaneo e immediatamente successivo. E Á accaduto però che «in età contemporanea ha riconquistato il posto che gli spetta nel pensiero e nella filosofia araba e islamica, diventando uno dei maestri della razionalità islamica, e uno dei filosofi da imitare al fine di contribuire alla rinascita del mondo arabo e islamico nel suo complesso» (p. 113). Per Campanini già «nella seconda metà dell'Ottocento cominciarono ad agitarsi, all'interno dello stesso mondo islamico, le dispute sul valore della filosofia averroista e più in generale sul valore dell'Islam» (p. 135). La più importante di queste dispute vide opporsi il cristiano Farah Antun e il mufti musulmano Muhammad `Abduch. Il primo considerava Averroe Á come un filosofo puro e quindi non riconosceva in lui alcuna connessione tra religione e filosofia. Il secondo vedeva in Averroè il filosofo e il razionalista, il rappresentante più efficace dell'atteggiamento positivo verso il sapere e la scienza dell'Islam più autentico.
Campanini osserva che Al-Jabri, professore all'Università di Rabat, considera Averroè un razionalista assoluto. Osserva che questa è «la diffusa tendenza del pensiero arabo contemporaneo» (p. 140). Proprio nella prospettiva di una lettura razionalistica di Averroè ricorda due importanti Convegni sul filosofo di Cordova. Il primo, patrocinato dal ministero della Cultura egiziano, intitolato Averroè e i lumi, e il secondo, organizzato dall'organizzazione culturale dei paesi arabi, dall'Unesco e dalla Bayt al- Hikma di Tunisi a Tunisi nel 1998, ottavo centenario della morte del filosofo, in cui si evidenzia «come il mondo arabo e islamico [... ] abbia voluto trovare proprio nella figura di Averroè un punto di riferimento indispensabile, in certo modo travalicando ed enfatizzando lo stesso ``razionalismo'' averroista » (pp. 141-142), che «non è composto solo dalla ragione filosofica, ma anche dagli elementi caratteristici della ragione teologica e giuridica islamica alla luce dei quali, anzi, è più comprensibile » (p. 142).
Tratto dalla rivista "Sapienza. Rivista di Filosofia e di Teologia" n. 1/2010
(http://www.edi.na.it)
-
11,00 €→ 10,45 € -
15,00 €→ 14,25 € -
18,00 €→ 17,10 € -
17,00 €→ 16,15 € -
13,00 €→ 12,35 € -
19,00 €→ 18,05 € -
11,00 €→ 10,45 €