Eguaglianza e diversità culturali e religiose. Un percorso costituzionale
(Itinerari. Diritto)EAN 9788815110510
L'autore osserva che l'eguaglianza vera, sostanziale, non può non tener conto della differenza, implica il rispetto della diversità. «Il rispetto della diversità - scrive - è il nome nuovo, l'attuale declinazione del principio di eguaglianza» (p. 10). L'eguaglianza - soggiunge - «non è omologazione, rimozione o distruzione delle differenze, che formano le diverse identitàdelle persone; non è incompatibile, ma anzi deve convivere con il rispetto di esse proprio per essere fedele alla sua essenza» (p. 51). Osserva anche che la laicità nella società multiculturale può rappresentare l'idea-guida con cui governare le differenze culturali e religiose, «a condizione, naturalmente, che essa sia reinterpretata e decostruita; che venga non, per dir così, santuarizzata, ma duttilmente piegata sui problemi che è chiamata a risolvere » (p. 15).
Propone la laicità, reinterpretata in senso pluralista ed inclusivo, come norma di riconoscimento nello Stato costituzionale di diritto, per garantire le differenze culturali e religiose «senza che ne soffra la tutela dei diritti fondamentali contro ogni maggioranza: soprattutto, la dignitàdella persona umana e la sua libertà di coscienza» (p. 16). Il libro mette alla prova dei diritti alcuni temi cruciali: dalle radici cristiane ai simboli religiosi, dalla separazione alla sussidiarietàtra comunità culturalreligiose e poteri pubblici. Colaianni sottolinea che le ereditàculturali, religiose e umanistiche sono importanti per costruire l'identitàdel soggetto Europa, ma non sono sufficienti a garantirla «perché contraddittorie [...] e perché da verificare nella persistenza del loro contributo, cioè della loro attualità, al fine di evitare che si risolvano in elementi controproducenti» (p. 72). Sottolinea anche che il mancato riferimento alle radici cristiane «non signi fica disconoscimento ma neppure rinuncia dell'Europa a disegnare la propria identità e a connotarla con dei valori comuni. Significa solo che l'identità non va dichiarata rinviando ad autoritàesterne, in base al passato [...] e una volta per tutte, ma va riconosciuta se e nella misura in cui si manifesti effettivamente e attualmente: posizione che tende a valorizzare [...] il messaggio evangelico di favore per ``chi fa la volontà del Padre mio'' rispetto a ``chi dice: Signore, Signore'' (Mt 7,21), cioè per chi riesce ad essere all'altezza della fede, o di una cultura, che non può essere ereditata ma deve essere conquistata con un incessante lavoro su di sé» (p. 73). Osserva che l'Unione ha scelto di rispettare le diversitàe che questa scelta non significa che non si può affermare - e costruire - un' ``unità nella diversità'', come è scritto nello stesso preambolo.
«Ma questa unità - afferma - non può essere assicurata da una pur rigogliosa radice come quella cristiana» (ibid.). E cita San Paolo: «se la radice è santa i rami son santi» (Rm 11,16). Ma se invece che alla santità, «si mira - scrive - all'efficacia, alla bontàdel progetto ideale e istituzionale, forse è più utile rammentare che non è dalle radici che si riconosce l'albero ma ``dai suoi frutti'' (Lc 6,44). Cioè dalla capacità di costruire un'unità a livello più profondo, non solo tra i cittadini europei ma anche con le generazioni future e la Terra: è solo grazie a frutti del genere che questa ``grande avventura'' può fare dell'Europa - secondo una scintillante frase del preambolo - ``uno spazio privilegiato della speranza umana''»(ibid.). Per quanto riguarda l'esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica - la «piccola guerra dei crocifissi» (F. MARGIOTTA BROGLIO, Il fenomeno religioso nel sistema giuridico dell'Unione Europea, in AA.VV., Religioni e sistemi giuridici. Introduzione al diritto ecclesiastico comparato, il Mulino, Bologna 1997, p. 203), che si è alimentata, di recente, per il tramite dell'ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di l'Aquila, con la quale si ordinava la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola materna di Ofena, frequentata dai figli di Adel Smith, rappresentante dell'Unione musulmani italiani -, Colaiannni osserva che «non casualmente la soluzione affidata all'autonomia scolastica torna periodicamente ad affacciarsi nel dibattito de iure condendo», perché «manca nel nostro ordinamento una norma pregiudicante il processo mediatorio» (p. 100). Ma il mediatore sarebbe la stessa amministrazione scolastica, che «finirebbe per operare caso per caso, laddove si dia il problema: nella migliore delle ipotesi istituto per istituto, se non classe per classe all'interno dello stesso istituto» (ibid.).
Un effetto a macchia di leopardo, «aggravato dal fatto che nella mediazione non si tratterebbe di un effetto necessitato dai limiti soggettivi del sindacato di costituzionalità diffuso, subiti dalla pubblica amministrazione, bensì di un effetto positivamente voluto da questa per giunta nell'esercizio dell'autonomia costituzionalmente riconosciutagli» (ibid.). Colaianni sottolinea, infine, la sussidiarietà(entrata nominativamente nel nostro lessico giuridico con il Trattato di Maastricht, richiamata poi dalla legge n. 59 del 1997 come criterio ispiratore della distribuzione delle funzioni amministrative tra Stati ed enti territoriali) tra comunitàcultural-religiose e poteri pubblici, il concorso tra pubblico e privato. «La relazione tra eguaglianza e diversità, tra Stato e gruppi cultural-religiosi - scrive - non è soltanto una actio finium regundorum [...], quella relazione è fondamentalmente anche ``concorso'': termine il più ampio, comprensivo delle tante modalitàcon cui esso ormai si svolge, dalla semplice concomitanza di attività, e quindi dalla compresenza di soggetti diversi negli stessi settori, alla partecipazione, alla convergenza, alla cooperazione, al sostegno reciproco e, [...], anche alla concorrenza» (p. 195).
Il diffuso orientamento concorsuale - scrive inoltre - «non dipende da semplici cedimenti dei pubblici poteri all'invasività delle formazioni sociali, in particolare di quelle di tendenza culturale o religiosa, perché si inserisce in un contesto di ``perdita del centro'' e di trasformazione della sovranità, proprio delle società pluralistiche» (p. 200). La sovranitàcessa di essere espressione di un onnipotente soggetto o potere costituente, unico ed incommensurabile detentore della sovranità, «ma nel nuovo scenario di conflittualità sociale rappresenta piuttosto il risultato dell'esercizio di poteri sovrani, tali in quanto autorizzati dalla Costituzione, attribuiti alle formazioni sociali» (p. 201). L'autore osserva che la privatizzazione di prestazioni pubbliche comporta un rischio per la tutela dei diritti fondamentali «giacché l'autonomia dei privati [...] tende a farne dei sistemi normativi autoreferenziali, governati da una logica propria e potenzialmente rispettosa dei diritti fondamentali solo nella misura in cui risultino con essa compatibili» (p. 205).
E soggiunge: «è compito del legislatore garantire uno standard accettabile di eguaglianza, libertà, uniformità delle condizioni di vita - per dirla con l'art. 72 GG - imposto dai diritti fondamentali: cioè determinare e garantire su tutto il territorio nazionale, come prescrive il nuovo art. 117, lett. m, Cost. i ``livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali''. Privatizzazione [...] non è deregulation ed anzi è il contrario» (ibid.). Osserva inoltre che il limite di fondo del concorso tra pubblico e privato religioso è il principio supremo della laicità dello Stato, che comporta almeno due conseguenze nel campo della sussidiarietà. La prima è la paritàdi trattamento delle confessioni. «Stringere rapporti solo con la confessione maggioritaria, sia pure a motivo della maggiore e più efficiente offerta sussidiaria, implicherebbe una lesione del principio di eguale libertàdelle confessioni» (p. 217). La seconda conseguenza è che non si può statalizzare la concezione confessionale della sussidiarietà. «In particolare, non sarebbe corretta una concezione della sussidiarietà anziché biunivoca, come quella costituzionale, unidirezionale come quella che si trova sviluppata nei documenti del magistero ecclesiastico: secondo cui determinate attivitàsono iure proprio della famiglia (e della Chiesa) ed il pubblico svolge rispetto ad esse un ruolo esclusivamente sussidiario: sostegno senza ingerenze nell'iniziativa e nella responsabilità» (pp. 217-218).
Tratto dalla rivista "Sapienza. Rivista di Filosofia e di Teologia" n. 2/2010
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