Yoga
(Farsi un'idea)EAN 9788815109842
Lo yoga è un'antichissima disciplina indiana per la spiritualità ed è una pratica assai diffusa nel mondo occidentale contemporaneo, che si è dimostrata utile per il benessere psicofisico e per lo sviluppo della conoscenza di sé . Lo yoga «non è una religione o una filosofia, anche se può presentare aspetti sia dell'una sia dell'altra, e neppure può essere inquadrato in una categoria come la mistica [...]: è un sentiero di perfezionamento che, se si mantiene tale, merita di essere definito come spiritualità» (pp. 10-11). Lo yoga è un fenomeno trasversale, presente nell'induismo, nel buddhismo e nel jainismo. L'etimo risale a un'antica radice indiana, yuj, ``aggiocare'', ed è corrispondente a quello dell'italiano gioco: la parola «veicola significati di soggiogamento, sottomissione, e di unione» (p. 11).
Anche se molto diffuso nel mondo spirituale indiano, non può essere usato come sinonimo di ``spiritualità indiana'', «perché esistono forme di spiritualità (ritualistiche, devozionali) in cui lo yoga assume un rilievo limitato, mentre l'uso di questo termine appare pienamente giustificato per pratiche ascetiche di qualunque tipo» (p. 12). Dal punto di vista indiano, tutte le forme dell'esistenza sono trascinate nel processo di un divenire infinito (samsara), in cui si passa da una vita a un'altra e quindi da una morte all'altra: una catena che può essere sentita come dolorosa e dalla quale si sente la necessità di liberarsi; l'individualità umana non è il nostro io permanente, ma uno tra gli infiniti modi di essere in un divenire infinito; il divenire è retto da una legge universale e costante, quella del karman. Si può spezzare la catena di nascite, morti, rinascite, ``rimorti'', mediante la prassi ascetica. A seconda del dio di cui si proclamano devoti si può parlare di asceti visnuiti, che si possono riconoscere soprattutto per la presenza di segni verticali sulla fronte, spesso molto simili alle nostre U o V, di asceti sivaiti, che hanno sulla fronte segni orizzontali o una falce di luna. Gli asceti sono tenuti al rispetto di un insieme di regole, i cui garanti sono i maestri di vita e di saggezza, i guru, dai quali si ottiene l'iniziazione spirituale. «In genere godono di un prestigio eccezionale, perché considerati padri che fanno nascere nella vita dello spirito, ben superiori, quindi, ai genitori che danno la vita del corpo» (p. 23).
Comunque in India ci sono persone che hanno raggiunto da sole, i cosiddetti nirguru (``senza maestro''), quei traguardi spirituali a cui solitamente immette l'iniziazione impartita da un guru. Lo yoga «affonda le sue solidissime radici in un passato indefinitamente remoto» (p. 39). Una prima grande ipotesi ha collegato lo yoga con lo sciamanesimo, cioè con quell'insieme di credenze e di pratiche al cui centro si colloca lo sciamano, un estatico, che ha insieme funzioni mediche, sacerdotali, profetiche. Si può ammettere che l'antica civiltà dell'Indo «può essere stata una delle matrici dello yoga» (p. 31). Tracce di yoga si possono trovare nei testi vedici più antichi, dove compare il tapas (``ardore''): gli asceti sono chiamati anche tapasvin (``possessori di tapas''). Due Upanisad fanno riferimenti espliciti allo yoga. Tra i grandi movimenti extravedici, il jainismo «presenta una sostanziale adesione allo yoga, e anzi accentua fino a limiti estremi il rigore ascetico» (pp. 35-36). Il buddhismo è particolarmente vicino allo yoga; «anche nello yoga buddhista il punto di partenza è costituito da una seria preparazione morale, lo sila» (p. 66). Nel buddhismo le regole di vita «s'inquadrano in una visione equilibrata e non estremistica dell'ascetismo, che resta rigido ma senza toccare la durezza per esempio di quello jainico, mirando piuttosto a una serena e seria ricerca spirituale non impedita da preoccupazioni mondane, ma neppure da parossismi autoflagellatori» (p. 67). Il Mahabharata, un testo di grande rilievo dell'induismo, abbonda di riferimenti allo yoga. Anche nel tantrismo è presente lo yoga: insiste sulla necessità e sul primato della pratica (sadhana), nella quale hanno un ruolo essenziale riti, formule sacre e lo yoga, «però non necessariamente fondato su un'ascesi di rinuncia, quanto piuttosto collegato con la ``fruizione'' (bhoga), peraltro da vivere secondo particolari modalità , vale a dire instaurando con la realtà naturale nelle sue varie forme un rapporto diverso. Vengono cioè rivalutati gli istinti vitali, [...], e viene istituito con la realtà un rapporto che da un lato rivaluta e consacra aspetti della natura come ad esempio la sessualità - nelle forme tipicamente umane del desiderio e della passione - dall'altro assoggetta tutto al dominio dello yogin, non più in fuga inorridita dal mondo, ma signore veramente libero nel mondo e sul mondo» (p. 78).
Lo yoga tantrico «richiede che ci sia un guru alla partenza per questo complesso cammino, e poi come guida nelle sue varie tappe. Ed è necessario che l'ingresso nella disciplina sia costituito da una vera e propria consacrazione (diksa)» (p. 85). Vari sono i tipi di yoga di cui parlano i testi tantrici. Il tantrismo e la cultura indiana in genere, oltre al corpo fisico, riconoscono un corpo sottile percorso da una quantità enorme di canali; tra di essi quelli più importanti per lo yoga sono tre: ida, pingala e susamna. Franci sottolinea l'aspetto più conturbante dello yoga tantrico: una serie di pratiche chiamate pancatattva o pancamakara (``delle cinque categorie'' o delle ``cinque m''; il nome sanscrito di queste categorie comincia con m: madya -``liquore inebriante''-, mamsa -``carne''-, matsya -``pesce''-, mudra -``sigilli'' o ``gesti'' o ``cereali''?-, maithuna -``accoppiamento sessuale''). «Si tratta di pratiche che assumono caratteristiche fortemente scandalose rispetto alla moralità corrente e anche rispetto alle usanze e ai valori tradizionali degli asceti » (pp. 89-90). Nella visuale dei suoi seguaci induisti, il tantrismo si può definire come quinto Veda (come un corpus sacro che si aggiunge, dopo il Veda tradizionale ripartito in quattro specializzazioni), più adatto in una fase del divenire ciclico che è di profonda decadenza spirituale e in cui il modello normativo delle antiche pratiche vediche non è più possibile rispettare. Il tantrismo rappresenta dunque «un sentiero spirituale nuovo - specificamente adatto agli esseri umani di un'età di trasformazioni, anche politiche, di instabilità e di crisi dei vecchi statuti morali - ma anch'esso sacro» (p. 84).
Tutto lo yoga è yoga del corpo, ma c'è uno yoga che al corpo rivolge un'attenzione assolutamente primaria: il hathayoga, che significa ``yoga della forza, dello sforzo''. Ad esso si collegano versioni più coinvolte nel mondo della natura e della società (ricerca del benessere, dell'efficienza), tra queste anche quelle forme di yoga popolare che sconfinano nella magia. Il hathayoca è presentato come propedeutico allo yoga classico. Lo yoga classico è codificato negli Yogasutra (``Aforismi sullo yoga'') attribuiti a Patanjali: è un darsana (``filosofia, scuola di pensiero'') e figura nel ristretto novero delle sei ``filosofie e scuole di pensiero''. Si articola in otto anga (``membra''). I primi due, di carattere preparatorio, costituiscono un'imprescindibile purificazione morale e fisica. Seguono l'anga dei modi di sedere (asana), cioè delle posizioni del corpo, e quello del pranayama (``controllo del respiro''). Il processo di controllo psicofisico si completa con il pratyahara, la ``ritrazione'' delle facoltà di conoscenza dal mondo esterno. I tre restanti anga sono interamente mentali: dharana, ``concentrazione'' su un solo oggetto, dhyana, ``meditazione'', samadhi, ``composizione'', comunemente tradotto con ``enstasi'', per indicare una condizione di riassorbimento dello spirito in se stesso, al contrario dell'estasi che è un rapimento mistico fuori di sé . Con il hathayoga è collegata l'alchimia. Lo yoga, specialmente quello tantrico, «è una forma di alchimia, perché mira a trasporre il nostro essere in una condizione di supremazia assoluta, paragonabile a quella dell'oro tra i metalli, e l'alchimia è una forma di yoga, perché si propone di far raggiungere ai suoi cultori, per altre vie, le medesime mete trasformative che si propone lo yoga» (p. 100). Allo yoga fisico si collegano la medicina e le arti marziane. Sullo yoga hanno profondamente inciso l'islam, il cristianesimo e il colonialismo europeo, soprattutto britannico. A Swami Vivekananda si deve la diffusione dello yoga in Occidente. Nel 1893 si recò al Parlamento mondiale delle religioni riunito a Chicago e ottenne un grandissimo successo. «Da qui e da sue successive conferenze si può far datare la diffusione mondiale dello yoga » (p. 106). Diffusero lo yoga Sri Aurobindo e Ramana detto il Maharsi. «Non possiamo non vedere Gandhi come uno yogin che pratica e insegna alti valori di rinuncia, distacco e autocontrollo » (p. 111). Nel secondo dopoguerra lo yoga «è diventato un fenomeno di significativa importanza sociale» (p. 114), grazie a Gopi Krishna, Maharshi Mahesh Yogin e B.K.S. Iyengar, «uno dei maestri più noti dello yoga contemporaneo » (p. 115). «Ormai lo yoga è un fenomeno mondiale, i suoi maestri non sono più soltanto indiani, ma di ogni possibile origine » (p. 116).
Di yoga si hanno varie versioni: lo yoga come disciplina di palestra, lo yoga terapeutico per la cura di malattie come l'ansia, lo yoga del riso (Laughter yoga), oltre lo yoga come via di ricerca spirituale e tecnica introspettiva di miglioramento e perfezionamento. «Ispirazioni yogiche, o più genericamente della spiritualità indiana, sono percepibili nella galassia New Age e Next Age. Nel frastagliatissimo panorama spirituale del nostro tempo [...] lo yoga è spesso una componente essenziale » (p. 120). In collaborazione con le scienze pedagogiche, lo yoga «può dare un contributo rilevante a una formazione umana completa, attenta alle varie componenti della persona e al valore della capacità di libera riflessione critica» (p. 123).
Tratto dalla rivista "Sapienza. Rivista di Filosofia e di Teologia" n. 1/2010
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