Le molte identità del Medio Oriente
(Intersezioni)EAN 9788815079114
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DETTAGLI DI «Le molte identità del Medio Oriente»
Tipo
Libro
Titolo
Le molte identità del Medio Oriente
Autore
Lewis Bernard
Traduttore
Arganese G.
Editore
Il Mulino
EAN
9788815079114
Pagine
168
Data
2000
Collana
Intersezioni
COMMENTI DEI LETTORI A «Le molte identità del Medio Oriente»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Le molte identità del Medio Oriente»
Recensione di Carlo Saccone della rivista Studia Patavina
Agile libretto, suddiviso per temi, consente di fare il punto sotto la guida di uno dei più noti islamologi di area anglosassone su tutta una serie di parole-chiave: stato, razza, religione, patria ecc.
L’A., uno storico con grande propensione all’indagine linguistica e filologica, facendo un po’ la storia di ogni singolo concetto e spaziando autorevolmente su tutte le epoche dell’islam, mostra una straordinaria erudizione sempre sorretta da giudizi argomentati e da finezza di valutazioni.
La tesi, evidente sin nel titolo, va contro un pregiudizio ampiamente diffuso anche tra categorie colte, quella di un Medio Oriente monolitico, arabo-islamico a tutto tondo, e ormai tutto immerso irrimediabilmente nelle spirali del fondamentalismo, con l’unica felice oasi del moderno stato di Israele. Ecco, il Medio Oriente, al contrario, e fin da questa stessa vaga espressione geografica, è tutt’alta cosa: un bel crogiuolo di razze, di fedi, di lingue, di atteggiamenti, di mentalità. E non solo perché accanto ai gruppi maggioritari, arabi turchi e persiani, si trovano minoranze consistenti come i curdi e i berberi, dotati di storia, lingua e cultura propri; non solo perché si parlano appunto molte diverse lingue, e popoli e razze diverse si ritrovano ampiamente mescolati all’interno della stessa cornice statuale (si pensi all’Iran con: persiani, azeri, curdi, arabi, turkmeni, baluchi ecc.). La questione fondamentale messa a fuoco da Lewis è quella identitaria e della fedeltà a diverse identità presenti (talora conflittualmente) nello stesso stato o gruppo etnico. Quando si prende un cittadino egiziano, ad esempio, dobbiamo pensare a una identità nazionale che dalla fine dell’800 almeno –con la riscoperta dell’eredità faraonica- sembra a tratti prendere il sopravvento sulle identità religiose (islamici, copti); il caso del Libano è ancora più macroscopico: identità statuale labile (tra due vicini ingombranti come Siria e Israele), quella linguistica (araba) minacciata dall’uso del francese e ora dell’inglese nelle classi colte, e quella religiosa composita (musulmani, cristiani, drusi e altre minoranze). Il caso della Turchia ci prospetta una situazione differente: una identità tradizionale –quella di paese musulmano e “mediorientale”- si scontra con un preciso indirizzo politico-ideologico che da Ataturk in poi vuole la Turchia stato laico e “europeo” costi quel che costi; lo stesso dilemma identitario ha vissuto l’Iran dello scià Reza Pahlavi che, alla fine, si è risolto con un netto recupero dell’identità islamica e persino anti-europea con la rivoluzione dell’ayatollah Khomeyni. Recupero definitivo? E che dire -sottolinea Lewis- della smodata passione della gioventù iraniana per la musica popolare americana, per gli internet-café, per tutto quello che arriva dal Grande Satana americano?
Lo stesso concetto di democrazia assume nei paesi del Medio Oriente una valenza identitaria. Quale democrazia scegliere? Esemplificando con due casi opposti: quella “occidentale” della moderna Turchia, importata pari pari dall’Europa, o quella islamica basata su una rivalutazione e attualizzazione del concetto coranico di shurà (=consiglio/consultazione) come s’è vista nell’Afghanistan dei taliban? E lo “stato di diritto” su quale legge dovrà basarsi: su quella tradizionale del profeta a partire dalla shari‘a o sulla tradizione giuridica importata dalla colonizzazione europea? O su un qualche mix delle due, di cui si sono visti i prodromi nel diritto anglo-musulmano dell’India coloniale? Oggigiorno, anche stati che hanno reintrodotto la shari‘a (Sudan, Iran), che l’hanno sempre avuta (Arabia Saudita) o sono lì lì per farlo, devono fare i conti con la necessità di riflettere sul problema che la modernità pone all’antico diritto islamico e con i conseguenti problemi culturali, politici e, in generale, di “identità”.
Ma è la stessa questione dello Stato, dello stato nazionale, che pone tuttora problemi identitari delicatissimi. L’unica umma o comunità religiosa sovra-nazionale, pensata da Maometto, a partire dalla decolonizzazione deve fare i conti con i l moderno concetto –europeo, naturalmente- di “stato nazionale” e, soprattutto, nella realtà, con quegli stati spesso con confini tracciati a penna e righello sulla carta geografica dagli ex-colonizzatori: si pensi alla Palestina artificialmente separata dalla Giordania durante il mandato inglese o al Libano, creazione del mandato francese. O al Kuwait. Questi stati, grandi e piccoli -osserva il Lewis- sorti dallo smembramento dell’impero ottomano all’indomani della I guerra mondiale, nonostante le sirene della ricorrente propaganda panisilamica, pan-araba, pan-turca ecc. resistono: si sono anzi consolidati al di là di ogni aspettativa. Producono in abbondanza simboli e ideologie, ricostruiscono –per distinguersi e differenziarsi reciprocamente- una propria storia: l’Iraq guarda al glorioso passato di Babilonia, l’Egitto a quello dei faraoni, la Siria al passato aramaico. Gli stessi fondamentalisti rivoluzionari iraniani, giunti al potere con le bandiere “internazionaliste” dell’islam, scrivono poi nella loro costituzione che il presidente della nuova repubblica islamica deve essere non solo di nascita ma persino di origini iraniche!
Un libro insomma che offre molto e interessante materiale di riflessione sull’islam contemporaneo e che aiuta certamente ad andare al di là delle molte, talora sconsiderate, semplificazioni che ci porgono i moderni mass media.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
L’A., uno storico con grande propensione all’indagine linguistica e filologica, facendo un po’ la storia di ogni singolo concetto e spaziando autorevolmente su tutte le epoche dell’islam, mostra una straordinaria erudizione sempre sorretta da giudizi argomentati e da finezza di valutazioni.
La tesi, evidente sin nel titolo, va contro un pregiudizio ampiamente diffuso anche tra categorie colte, quella di un Medio Oriente monolitico, arabo-islamico a tutto tondo, e ormai tutto immerso irrimediabilmente nelle spirali del fondamentalismo, con l’unica felice oasi del moderno stato di Israele. Ecco, il Medio Oriente, al contrario, e fin da questa stessa vaga espressione geografica, è tutt’alta cosa: un bel crogiuolo di razze, di fedi, di lingue, di atteggiamenti, di mentalità. E non solo perché accanto ai gruppi maggioritari, arabi turchi e persiani, si trovano minoranze consistenti come i curdi e i berberi, dotati di storia, lingua e cultura propri; non solo perché si parlano appunto molte diverse lingue, e popoli e razze diverse si ritrovano ampiamente mescolati all’interno della stessa cornice statuale (si pensi all’Iran con: persiani, azeri, curdi, arabi, turkmeni, baluchi ecc.). La questione fondamentale messa a fuoco da Lewis è quella identitaria e della fedeltà a diverse identità presenti (talora conflittualmente) nello stesso stato o gruppo etnico. Quando si prende un cittadino egiziano, ad esempio, dobbiamo pensare a una identità nazionale che dalla fine dell’800 almeno –con la riscoperta dell’eredità faraonica- sembra a tratti prendere il sopravvento sulle identità religiose (islamici, copti); il caso del Libano è ancora più macroscopico: identità statuale labile (tra due vicini ingombranti come Siria e Israele), quella linguistica (araba) minacciata dall’uso del francese e ora dell’inglese nelle classi colte, e quella religiosa composita (musulmani, cristiani, drusi e altre minoranze). Il caso della Turchia ci prospetta una situazione differente: una identità tradizionale –quella di paese musulmano e “mediorientale”- si scontra con un preciso indirizzo politico-ideologico che da Ataturk in poi vuole la Turchia stato laico e “europeo” costi quel che costi; lo stesso dilemma identitario ha vissuto l’Iran dello scià Reza Pahlavi che, alla fine, si è risolto con un netto recupero dell’identità islamica e persino anti-europea con la rivoluzione dell’ayatollah Khomeyni. Recupero definitivo? E che dire -sottolinea Lewis- della smodata passione della gioventù iraniana per la musica popolare americana, per gli internet-café, per tutto quello che arriva dal Grande Satana americano?
Lo stesso concetto di democrazia assume nei paesi del Medio Oriente una valenza identitaria. Quale democrazia scegliere? Esemplificando con due casi opposti: quella “occidentale” della moderna Turchia, importata pari pari dall’Europa, o quella islamica basata su una rivalutazione e attualizzazione del concetto coranico di shurà (=consiglio/consultazione) come s’è vista nell’Afghanistan dei taliban? E lo “stato di diritto” su quale legge dovrà basarsi: su quella tradizionale del profeta a partire dalla shari‘a o sulla tradizione giuridica importata dalla colonizzazione europea? O su un qualche mix delle due, di cui si sono visti i prodromi nel diritto anglo-musulmano dell’India coloniale? Oggigiorno, anche stati che hanno reintrodotto la shari‘a (Sudan, Iran), che l’hanno sempre avuta (Arabia Saudita) o sono lì lì per farlo, devono fare i conti con la necessità di riflettere sul problema che la modernità pone all’antico diritto islamico e con i conseguenti problemi culturali, politici e, in generale, di “identità”.
Ma è la stessa questione dello Stato, dello stato nazionale, che pone tuttora problemi identitari delicatissimi. L’unica umma o comunità religiosa sovra-nazionale, pensata da Maometto, a partire dalla decolonizzazione deve fare i conti con i l moderno concetto –europeo, naturalmente- di “stato nazionale” e, soprattutto, nella realtà, con quegli stati spesso con confini tracciati a penna e righello sulla carta geografica dagli ex-colonizzatori: si pensi alla Palestina artificialmente separata dalla Giordania durante il mandato inglese o al Libano, creazione del mandato francese. O al Kuwait. Questi stati, grandi e piccoli -osserva il Lewis- sorti dallo smembramento dell’impero ottomano all’indomani della I guerra mondiale, nonostante le sirene della ricorrente propaganda panisilamica, pan-araba, pan-turca ecc. resistono: si sono anzi consolidati al di là di ogni aspettativa. Producono in abbondanza simboli e ideologie, ricostruiscono –per distinguersi e differenziarsi reciprocamente- una propria storia: l’Iraq guarda al glorioso passato di Babilonia, l’Egitto a quello dei faraoni, la Siria al passato aramaico. Gli stessi fondamentalisti rivoluzionari iraniani, giunti al potere con le bandiere “internazionaliste” dell’islam, scrivono poi nella loro costituzione che il presidente della nuova repubblica islamica deve essere non solo di nascita ma persino di origini iraniche!
Un libro insomma che offre molto e interessante materiale di riflessione sull’islam contemporaneo e che aiuta certamente ad andare al di là delle molte, talora sconsiderate, semplificazioni che ci porgono i moderni mass media.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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