Studi sulla «rappresentanza» nel diritto romano
(Univ.Palermo-Fac. di giurisprudenza)EAN 9788814141737
1. – L’autrice, che già si era impegnata in vari scritti dedicati alle c.d. actiones adiecticiae qualitatis ed alla figura del procurator, collegata a quelle del mandatario e dell’institor, presenta ora, in unico volume, una sorta di sintesi complessiva, con specifico riferimento alla esperienza storica del diritto romano dall’età preclassica a quella classica, attinente a tale realtà, del fenomeno di c.d. rappresentanza che meglio le appare raffigurabile, al di là dell’uso di un suo moderno concetto tecnico unitario oltretutto quanto mai controverso e di difficile configurazione, in termini generici di sostituzione negoziale (e processuale). Fenomeno che non si presterebbe ad essere descritto in chiave diacronica col passaggio da una sorta di rappresentanza indiretta ad una diretta, ma si individuerebbe in termini di agire in nome altrui nel senso del prodursi degli effetti di un atto in capo a soggetto diverso da quello che lo ha posto in essere, dovendosi piuttosto tener conto degli interessi a detto schema sottostanti, evolventesi da una originaria prospettiva potestativa, ispirata ad un particolare assetto familiare, alla emersione del concetto di officium, variegato in relazione a particolari strutture sociali di tipi individuati nel contesto di un sistema classico di elaborazione di singole figure a carattere giuridico tra le quali non mancherebbero peraltro di applicarsi criteri di omologia effettuata in sede giurisprudenziale e giurisdizionale.
All’individuazione preliminare di queste nozioni è indirizzato il I capitolo (pp. 1-29) di premessa metodologica e di obiettivi dell’indagine. Non vi è quindi affrontato il regime delle legis actiones né quello, anch’esso peraltro non unitario, giustinianeo. E si rinvia ad ulteriore volume l’analisi della successiva tradizione romanistica e dei riflessi che essa ha lasciato sulle dottrine e legislazioni moderne in fatto di rappresentanza. Il punto di partenza dell’indagine è costituito dal recepire l’idea di una antica sorta di indifferenziazione tra titolarità di una situazione sostanziale e legittimazione a disporne. Ne sarebbe comunque emersa una singolarità di figure di sostituzione negoziale, pur nel contesto di un loro intersecarsi che risulterebbe particolarmente significativo nel caso costituito dal regime dell’actio ad exemplum institoriae o quasi institoria, sotto il duplice aspetto del confluire in esso del sistema civilistico con quello economico dei traffici commerciali, e della plausibile saldatura di ipotesi di acquisto tramite altri e di impegno obbligatorio avverso gli stessi.
2. – Il II capitolo (pp. 31-103) ripresenta il tema, già dall’autrice monograficamente approfondito, della struttura formulare delle c.d. actiones adiecticiae qualitatis, esaminandone ora il regime sotto l’aspetto peculiare del fenomeno rappresentativo. Si tratterebbe di regime che affonda le proprie radici nella struttura potestativa della familia romana venendosi quantomeno inizialmente a realizzare gli atti negoziali ad opera di schiavi o soggetti a potestà paterna – salvo ricevere definizione ad opera dell’editto pretorio integrato da interventi giurisprudenziali e di funzionari imperiali – e che, almeno in riferimento alle actiones exercitoria e institoria, trova applicazione a negozi conclusi nel contesto dell’esercizio di una attività commerciale più o meno ampiamente circoscritta. L’obbligo fatto valere tramite tutte le azioni c.d. adiettizie farebbe pur sempre capo al titolare della potestà o comunque al preponente, anche quando preposto, in ipotesi di actio exercitoria, institoria e quod iussu, fosse divenuto un soggetto sui iuris, il cui obbligo verso il terzo contraente si sarebbe affiancato autonomamente all’obbligo pretorio fatto valere avverso il preponente.
Non si sarebbe pertanto trattato di azioni con trasposizione di soggetti nell’ambito della relativa formula, tra intentio, rivolta all’autore del negozio eventualmente con fictio libertatis ove si fosse trattato di soggetto a potestà, e condemnatio rivolta all’avente potestà o al preponente alla conclusione del negozio stesso, bensì di obbligazione personale e diretta propria dell’avente potestà o preponente menzionata nell’intentio, mentre l’origine fattuale, menzionata in demonstratio o intentio di actio in factum concepta o eventualmente praescriptio, dell’obbligazione pretoria sarebbe costituita dal negozio del soggetto a potestà o preposto, compiuto nei limiti fissati per le rispettive azioni. Non si tratterebbe comunque di fenomeni di rappresentanza processuale, o di agere alieno nomine, da parte dell’avente potestà o preponente, in qualità di defensor del soggetto a potestà o preposto, autore del negozio. Sarebbero bensì casi di sostituzione negoziale ( e processuale) genericamente intesa nel senso che un soggetto agirebbe, in base a praepositio o iussum, per incarico e nell’interesse di altro soggetto sul quale ricadrebbe la responsabilità nascente dal contratto concluso dal primo, ma non si potrebbe parlare di rappresentanza in senso proprio sia per la assoluta irrilevanza della qualità del soggetto che conclude l’atto negoziale sia per la specificità degli ambiti entro i quali far valere le rispettive azioni.
In particolare sarebbe peraltro da considerare che l’ambito, e relativi limiti, di applicazione delle azioni exercitoria e institoria e di quella quod iussu sono tali da essere conosciuti, o conoscibili, obiettivamente tramite adeguata pubblicità dell’attività da svolgere e del soggetto chiamato ad effettuarla, a tutela dell’affidamento del terzo, quando non anche a seguito di esplicita portata a conoscenza del terzo con cui il negozio è concluso dal preposto all’esercizio di una concreta attività commerciale o incaricato della conclusione di un singolo negozio, per cui sembrerebbe potersi parlare in tal senso di agire in nome, oltreché nell’interesse, del preponente o conferente l’incarico: diversamente dovrebbe dirsi per l’actio de peculio et (aut) de in rem verso ove sarebbe sufficiente la obiettiva esistenza di un peculio riconosciuto al soggetto a potestà o di un arricchimento da parte dell’avente potestà per cui si esulerebbe dal fenomeno della rappresentanza. L’autrice finisce peraltro per ammettere che si possa forse parlare propriamente di rappresentanza nel caso di iussum espressamente effettuato al terzo di porre in essere un dato negozio obbligatorio con incaricato che sia persona libera. 3. – Dell’origine, della funzione e dei poteri del procurator in età preclassica tratta il III capitolo (pp. 105-127).
Ammessa, sulle orme dello Schlossmann e dell’Angelini, la originaria connotazione sociale ed economica del procurator quale posto al vertice dell’organizzazione produttiva fondiaria a livello di latifondo come si prospetta tra II e I secolo d. C., talché è nella lex agraria del 111 a. C. la prima menzione, tecnica, del procurator a proposito dell’Ager Africanus, l’autrice ne riconosce peraltro l’assunzione della figura tipica a categoria giuridica strettamente legata alle strutture organizzative potestative della familia romana Ciò troverebbe conferma nella menzione nel testo degli interdetti de vi e de vi armata riferiti da Cic. pro Tullio 19.44 e 55 del procurator in quanto soggetto libero che, alla stessa stregua della familia servorum, pone in essere atti aventi diretta e immediata efficacia nella sfera giuridica del dominus. Indirettamente proverebbe poi per la contrapposizione delle funzioni del procurator a quelle di preposti ad attività di negotiationes il testo dell’editto coevo quod publicanus vi ademerit quodve familia publicanorum, che non fa menzione del procurator. Il carattere familiare e potestativo di questi troverebbe infine conferma nella sua assimilazione operata dai giuristi alle figure del tutor e del curator nonché soprattutto nella definizione fornitane da Cic. pro Caecina 20.57 quale is qui legitime procurator dicitur, omnium rerum eius qui in Italia non sit absitve rei publicae causa, quasi quidam paene dominus, hoc est alieni iuris vicarius, secondo l’interpretazione tradizionale riferibile soprattutto al Bonfante, vista anche alla luce dei paragrafi limitrofi della pro Caecina 20.55 e 58, ove inoltre il procurator è contrapposto comparativamente al libertus nullo tuo praepositus negotio.
4. – Alla figura del procurator omnium bonorum in età classica è successivamente dedicato il IV capitolo (pp. 129-218). L’autrice inizia col sottolineare la complessità delle varie figure di procurator comparenti nelle fonti classiche, da analizzarsi nel rapporto dialettico tra società e diritto attraverso una evoluzione storica, che da una originaria natura civilisticopotestativa tende ad evolversi nella prospettiva dell’officium, in particolare con lo sviluppo della disciplina pretoria del procurator ad litem e l’avvicinamento alla figura del mandato. Ritiene peraltro che in età classica si sia conservata la figura del procurator omnium bonorum “quasi dominus”, secondo la teoria particolarmente sostenuta dal Bonfante, del quale accoglie, salvo aggiungervi ulteriori argomenti, l’esegesi di D. 3.3.63 di Modestino, D. 20.6.7.21 di Gaio, D. 13.7.11.7 di Ulpiano, D. 13.7.12 di Gaio e D. 19.13.25 di Ulpiano, ove sarebbe frutto di interpolazione la regola per cui siffatto procurator non potrebbe alienare o dare a pegno senza mandato speciale a compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e in particolare alienare, salvo che cose deteriorabili, o costituire in pegno, salvo mandato generale ad amministrare da parte di chi solesse ricevere a mutuo dietro pignoramento, beni del dominus negotii.
Anche tenendo conto di più recente dottrina, che l’autrice non considera, era parso ultimamente a me non potersi escludere che già Gaio fosse pervenuto a riconoscere al preposto ad amministrazione generale la facoltà di alienare e pignorare beni del preponente in base ai normali criteri di gestione usualmente seguiti dal medesimo e che in età dei Severi, consolidatosi il riconoscimento di mandato generale tra dominus e procurator omnium rerum o bonorum, si sia pervenuti a restringere i poteri dispositivi di quest’ultimo in assenza di esplicito conferimento a lui di libera administratio o addirittura, con Modestino, di mandato speciale ad alienare. Pienamente condivisibile è viceversa la critica che l’autrice rivolge alla tesi di Angelini secondo la quale, in particolare in base a D. 2.14.12 di Ulpiano, D. 3.6.7 pr. di Paolo, D. 20.6.7.1 di Gaio e D. 46.2.20.1 di Paolo, il procurator avrebbe costituito una mera figura socio-economica mentre procurator omnium rerum o bonorum sarebbe stato un procurator cui fosse conferito dal dominus mandato generale di amministrazione, peraltro di per sé senza concessione espressa da parte del dominus di poter effettuare alienazioni o pignoramenti. E pur ammesso con l’Angelini che D. 50.16.109 di Modestino non sia sufficiente a provare in età classica la spettanza al procurator, o al tutor, di illimitati poteri di alienazione di cose dominicali, il testo medesimo, secondo l’autrice, non proverebbe di per sé nemmeno che il procurator fosse del tutto sprovvisto di siffatti poteri in assenza di mandato generale o speciale ad hoc. Mentre sembrerebbe riconosciuta in D. 5.4.9 di Paolo (e Alfeno) la capacità di alienare al procurator omnium bonorum pur sprovvisto di specifico atto di autorizzazione alla vendita, nel mutilo Gai 2.64 l’affinità, quale soggetto non dominus investito della facoltà di alienare, rispetto all’agnatus furiosi curator, del procurator parrebbe far pensare a procurator omnium bonorum o al quale sia stata concessa libera (rerum) administratio, e D. 17.160.4 nonché P. Freib. 9, B.G.U. 300 e P.Oxyr. 227 avrebbero riprodotto prassi ellenistiche tendenti a far risultare per iscritto l’elenco tassativo della competenza riconosciuta a procuratores in ordine a svariati atti, come da Gai 4.84 sarebbe del resto da ammettere l’esistenza di procurator litis, a ciò autorizzato da solo mandato specifico.
Ancora a mandato specifico si riferirebbe in D. 6.1.41.1 di Ulpiano l’espressione cum procurator voluntate domini vendidit vel tradidit, piuttosto che ipotizzare trattarsi di brano interpolato, mentre io sarei propenso a ritenere che detta espressione facesse piuttosto riferimento all’ipotesi affine, pur con le dovute differenze, precedentemente fatta nel testo di servus habens liberam peculii administrationem, ove la generale concessione al procurator di libera administratio rerum, risalente alla voluntas domini, avrebbe fatto venir meno l’esigenza di incarico specifico. Ancora ad ipotesi di incarico specifico, sempre secondo l’autrice, si riferirebbero CI. 2.12 (13).16 di Diocleziano e Massimiano e CI. 8.15.1 di Severo e Antonino, ove in effetti nel primo testo si parla di procurator o actor praedii, non di un procurator generale, mentre nel secondo la voluntas domini specifica avrebbe potuto trovare giustificazione nel trattarsi di pignorare la casa abitativa del dominus. Di procurator cui generaliter libera administratio rerum concessa est, legittimato ad exigere, novare e anche permutare senza bisogno di specifica autorizzazione, è poi parola in D. 3.3.58 di Paolo: di procurator omnium bonorum, o che si può presentare tale, che ha la omnium bonorum administratio è ancora detto, in D. 13.7.11.5 e D. 46.3.12 di Ulpiano, poter novare, mentre il requisito dell’usus domini perché il procurator possa novare troverebbe per l’autrice in base a Pauli Sent. 5.8 già in età postclassica l’anticipo di un regime giustinianeo risalente a precedenti prassi ellenistiche. La spettanza al procurator di ampi poteri dispositivi in ordine al patrimonio del suo dominus troverebbe da ultimo conferma nella facoltà di pagare i di lui creditori (cfr. D. 46.3.87 di Celso e D. 12.6.6 pr. di Paolo) nonché di determinare con patto effetti svantaggiosi, oltre che vantaggiosi, nella sfera giuridica del dominus negotii (cfr. D. 2.14.10.2 e D. 2.14.12 di Ulpiano) e di essere a questi equiparato, alla pari di tutor e curator, in ordine alla figura dell’institor da lui preposto (cfr. D. 14.3.5.18 di Ulpiano e D. 14.3.6 di Paolo).
In conclusione, secondo l’autrice, solo non prima del II secolo d. C. si sarebbe venuta da un lato affermando, nei rapporti interni tra procurator omnium bonorum e dominus, la applicabilità, accanto all’actio negotiorum gestorum, dell’actio mandati, d’altro lato si sarebbe riconosciuta, accanto a quella del procurator poenae dominus, la diversa figura di un preposto a libera administratio o administratio bonorum, coinvolgente più o meno ampi poteri in ordine ad una pluralità di atti più che non ogni potere in ordine all’intero patrimonio o a porzioni di patrimonio del dominus negotii sino ad ammettersi, oltre alla figura del procurator litis, quella di procurator con mandato singolo di per sé non inglobante l’autorizzazione verso terzi a negoziare per conto e in nome del dominus, salvo affermarsi da ultimo un restringimento dei poteri spettanti allo stesso procurator omnium bonorum in anticipazione, sulla scorta di consuetudini ellenistiche, del requisito dell’autorizzazione specifica per l’alienazione e il pignoramento, introdotto in testi classici per interpolazione giustinianea alla luce di un regime tendente alla parificazione del verus procurator ad un mandatario, generale o speciale.
5. – Sulla classicità del procurator ad litem e più in generale del procurator unius rei si sofferma ancora brevemente il V capitolo (pp. 219-231). In base a Gai 4.84 e 4.86 sarebbe da ritenersi che dalla originaria spettanza al procurator omnium bonorum del potere di rappresentare in giudizio il dominus litis, con l’affermarsi della possibilità di farsi sostituire nel processo da semplice mandatario, dal quale il pretore avrebbe richiesto, a tutela di controparte, la garanzia cautelare del riconoscimento degli effetti del processo da parte del mandante, vero o presunto che fosse, si sarebbe affermata la figura a sé stante del procurator ad litem come sostituto processuale agente alieno nomine nei cui confronti si sarebbe configurata una trasposizione di soggetti, tra l’intentio menzionante il procurator e la condemnatio invece il dominus litis. Mentre la qualifica di procurator sarebbe stata di per sé indicativa della legittimazione a stare in giudizio per altri, il mandato avrebbe costituito atto puramente interno tra procurator e mandante. Ammessa la classicità del procurator ad litem come incaricato di un compito specifico, si sarebbe potuta ammettere più in generale la figura del procurator unius rei quale incaricato di effettuare singoli atti sul presupposto di un semplice mandato a efficacia obbligatoria, ove tuttavia il conferimento della qualifica di procurator avrebbe comunque comportato l’attribuzione di poteri, in campo negoziale come processuale, non spettanti di per sé al semplice mandatario o altro soggetto agente nell’interesse altrui in base a iussum o praepositio.
6. – Ai complessi e problematici rapporti tra il mandato e la figura del procurator è intitolato il VI capitolo (pp. 233-299). Pur presentando più ampie connotazioni comuni, originariamente sociali prima che giuridiche, quali si riportano al concetto del fidem praestare debere (cfr. Cic. Top. 10.42), procura e mandato sono figure che già in diritto preclassico apparirebbero caratterizzate da specifica individualità, maggiormente legata per il procurator omnium bonorum a carattere potestativo di tipo familiare, per cui certe regole sue proprie, in particolare quanto all’acquisto del possesso e della proprietà tramite possesso, non si sarebbero mai estese al mandatario, e a sua volta il mandato, originariamente corrispondente all’idea dell’officium, ricollegata a quelle dell’amicitia nonché della gratuità (cfr. Cic. pro Roscio Amer. 38.111 e 39.112 e ancora Paolo in D. 17.1.1.4), si sarebbe sviluppato, nell’ambito dei rapporti commerciali, in termini di contratto consensuale sanzionato da azioni di buona fede, salvo determinarsi, nel corso dell’età classica, avvicinamento di regime tra procura e mandato. Fortemente rimaneggiato sarebbe peraltro D. 3.3.1 pr., dal quale risulterebbe raggiunta da parte di Ulpiano la prima equiparazione tra mandatario e procuratore: in realtà il testo si sarebbe riferito nell’originale al solo procurator ad litem, salvo subire generalizzazioni ad opera dei compilatori, risalendo ad Ulpiano, malgrado precedenti diversità di opinione, il riconoscimento della figura del procurator nel mandatario a stare in giudizio per conto altrui, e non invece, come sarebbe stato ammesso solo in diritto giustinianeo, in un qualsiasi mandatario unius rei.
Di fronte alla particolare varietà di regime del mandato nelle fonti in merito alla capacità di acquisto al dominus negotii di possesso, ed anche di proprietà tramite il possesso, ad opera di terzi, l’autrice propende a ritenere limitata in origine siffatta possibilità al procurator omnium bonorum, alla pari del tutor e del curator, anche a favore di dominus insciens mentre essa si sarebbe potuta estendere, con il passaggio della figura del procurator da posizioni potestative ad ipotesi di agere alieno nomine in virtù di un officium, ad altri soggetti operanti come intermediari: anzitutto più in generale al procurator, come già ammesso da Nerazio in D. 41.1.41 e riconosciuto sia pure in modo problematico in Gai 2.95, ove la lacuna finale porterebbe ad essere integrata con riferimento al procurator anziché a qualsiasi persona libera, in quanto non soggetta alla potestà del dominus negotii, o extranea, in quanto estranea alla famiglia di lui (cfr., per altre testimonianze in merito, D. 41.1.13.pr. ancora di Nerazio e D. 41.3.47 di Paolo ad Neratium, D. 41.2.18 di Celso, D. 41.2.1.20 di Ulpiano, D. 41.2.49.2 di Papiniano, D. 41.2.34.1 di Ulpiano, Pauli Sent. 5.2.2 e CI. 7.32.8 dell’a. 290). Apparirebbe comunque interpolata l’ammissione dell’acquisto del possesso, e tramite questo anche della proprietà, per l’intermediazione di qualsiasi persona libera in D. 41.1.20.2 di Ulpiano, CI. 7.32.1 di Severo e Antonino e D. 13.7.11.6 di Ulpiano, messi a raffronto con Gai 2.95, Pauli Sent. 5.2.2, I. 2.1.5 e CI. 4.27.1 pr. dell’a.290. Non mancano del resto testi dai quali risulta che l’acquisto del possesso tramite semplice mandatario non determina alcun acquisto dello stesso possesso al mandante, e di conseguenza nessun acquisto diretto della proprietà: cfr. D. 41.1.59 di Callistrato, D. 17.1.8.10 di Ulpiano e D. 41.3.13.2 di Paolo; l’autrice non esclude peraltro che in età classica si sia potuti giungere a riconoscere poteri acquisitivi al procurator mandatario, cioè a quel procurator (unius rei) che fosse stato investito dell’incarico di svolgere compiti specifici, e non solo più di quello (omnium bonorum) cui fosse stata affidata l’amministrazione di tutti i beni del dominus.
Mentre l’acquisto del possesso nonché, tramite suo e il decorso dell’usucapione, l’acquisto della proprietà per mezzo del procurator omnium bonorum apparirebbe operare anche a vantaggio del dominus negotii ignorans (cfr. D. 6.2.7.10 di Ulpiano, D. 41.1.13.1 di Nerazio, D. 41.1.20.2 di Ulpiano e D. 41.2.41 di Nerazio), per l’acquisto della proprietà, e non del semplice possesso, tramite procurator unius rei occorrerebbe un mandato preventivo o una ratihabitio successiva (cfr. D. 41.2.49.2 di Papiniano, D. 41.3.47 di Paolo e CI. 7.32.1 dell’a. 196), richiedendosi quindi la scientia del dominus negotii ancorché manchi un atto di autorizzazione esterna a fondamento della possibilità per l’intermediario di acquistare nomine domini: solo in età postclassica e poi giustinianea si sarebbe pervenuti a porre sullo stesso piano acquisto del possesso e della proprietà (cfr. CI. 7.32.8 dell’a. 290 e D. 41.2.42.1 che sarebbe interpolato).
7. – Nel VII capitolo (pp. 301-331) sono specificamente considerati testi nei quali le figure del procurator, dell’institor e del mandatario appaiono tra di loro distinte anche ai fini del regime ad esse rispettivamente applicabile. Anzitutto D. 14.3.5.10 di Ulpiano ove del furto compiuto dai discipuli di una taberna instructa il fullo non risponde se ha lasciato a sorvegliarli un procurator, mentre ne risponderebbe se avesse lasciato all’esercizio dell’attività commerciale un institor: solo nel secondo caso, per l’affidamento che con la praepositio institoria si sarebbe creato presso i clienti, il fullo risponderebbe, oltre che per gli impegni verso di loro contrattualmente assunti dall’institor, per i rischi connessi ai furti da parte degli addetti all’impresa che l’autrice obiettivamente considera fuori di ogni collegamento soggettivo con una di lui propria condotta illecita (cfr. D. 47.5.9. pr. di Ulpiano). Ancora da D. 14.3.5.18 di Ulpiano e D. 14.3.6 di Paolo si evincerebbe che il procurator (omnium bonorum) è legittimato a nominare un institor con effetto diretto nella sfera giuridica del dominus negotii, anche a carico dello stesso procurator. Quanto al mandatario, a differenza dell’institor, i limiti dei suoi poteri, a carattere essenzialmente interno, sarebbero rimessi alla rigorosa loro delimitazione da parte del mandante (cfr. D. 17.1.5. pr. di Paolo), al di là di una determinazione lasciata, in funzione dell’affidamento ricavabile dalla praepositio procuratoria rispetto ai terzi, alla valutazione concreta di elementi oggettivi di economia o di interesse: compatibile con questa natura, e relativo regime, del mandato, sarebbe il mandato generico a negotia gerere se riguardasse una pluralità di atti individuati nella loro specificità o nel genere, ma non, a opinione dell’autrice, se si trattasse di mandato generale concernente qualsiasi tipo di atto (in tal senso sarebbero interpretabili Gai 3.155, D. 17.1.2.1 di Gaio 2 cott., D. 3.3.46.7 di Gaio 3 ad ed. prov., D. 17.1.62 di Scevola e D. 17. 1.31 di Giuliano); nel corso del II secolo d. C. si sarebbe bensì pervenuti ad applicare le azioni di mandato tra dominus negotii e procurator omnium bonorum, ma non a ritenere essenziale il riconoscimento di contratto di mandato tra i due soggetti, anche se verrebbero più spesso a riconoscersi cumulate nel procurator mandatario entrambe le due qualifiche.
8. – Nel capitolo VII (pp. 333-362) si studia l’actio ad exemplum institoriae o quasi institoria, in quanto comportante l’estensione tra dominus e procurator della disciplina pretoria della responsabilità del preponente per obbligazioni assunte dall’institor, sulla base di singoli testi riflettenti un’opinione papinianea circa la individuazione di presupposti che rendono in proposito applicabile in via analogica l’actio institoria in vista dell’affidamento prodotto nei terzi contraenti. Un primo testo di Papiniano, D. 14.3.19 pr., prevede la responsabilità a carico di chi abbia preposto un procurator a ricevere denari a mutuo, ove non vi sarebbe tipica praepositio institoria per mancanza dei caratteri di una organizzazione stabile a svolgere suddetta attività come viceversa si avrebbe se avvenisse apud mensam (cfr. il successivo § 1 del frammento). Un secondo testo di Ulpiano che si richiama a Papiniano, D. 17.1.10.5, prevede il caso di un mandato al procurator di ricevere una somma a mutuo, ove si riconoscerebbe la responsabilità del mandante nei confronti del fideiussore che fosse stato a conoscenza del mandato conferito, per cui si sarebbero verificati gli estremi dell’affidamento da parte di terzi; analoghi estremi sarebbero verificabili in D. 3.5.31 (30) pr., di Papiniano, ove si sarebbe avuto mandato scritto, portato a conoscenza di creditore e fideiussore, a libertus o amicus di ricevere un mutuo: in entrambi i testi sarebbe incerto se si fosse trattato di responsabilità sanzionata da actio ad exemplum institoriae o di actio mandati contraria o negotiorum gestorum.
Un ultimo testo, ancora di Ulpiano con riferimento a Papiniano, D. 19.1.13.25, riconoscerebbe la responsabilità di fronte ad utilis actio ad exemplum institoriae actionis del dominus negotii per vendita conclusa dietro suo mandato da procurator che avesse anche prestato cauzione: l’autrice ipotizza trattarsi di cautio indirizzata a ricollegare la singola compravendita ad una più complessa attività commerciale affidata al procurator, piuttosto che di una cautio de rato; in ogni caso non sarebbero mancati gli estremi dell’affidamento fornito al terzo compratore.
9. – Segue nel IX capitolo (pp. 363-390) l’interpretazione di D. 19.1.13.25 in cui si prospetta la possibilità non solo di attribuire l’actio ad exemplum institoriae al terzo compratore dal procurator contro il dominus negotii, ma anche un’azione utilis ex empto al dominus negotii nei confronti del terzo compratore dal procurator. Già in D. 14.3.1 Ulpiano riferisce, senza almeno esplicitamente aderirvi, l’opinione di Marcello secondo cui si sarebbe dovuta dare azione diretta al preponente institore per diritto da questi acquisito avverso un terzo libero, non soggetto a potestà, col quale avesse contrattato, al di là della possibilità per il preponente di agire di mandato o di negotiorum gestio contro lo stesso institor: sarebbe viceversa dovuto ai compilatori giustinianei il collegamento di tale opinione al seguente frammento 2 di Gaio, allo scopo di limitarne la portata, in via sussidiaria, all’ipotesi in cui il preponente non avesse potuto altrimenti far valere la propria pretesa nei rapporti interni con il preposto. L’esigenza di concedere al preponente un’azione diretta contro i terzi contraenti con il preposto appare essere riconosciuta, in D. 14.1.1.18 di Ulpiano, nella prassi giudiziaria extra ordinem del praefectus annonae e dei praesides provinciarum a vantaggio dell’exercitor navis avverso i terzi contraenti con il magister non soggetto a potestà, presumibilmente dietro influsso di diritti provinciali ellenistici operante specie nell’ambito dei traffici marittimi. Ad analoga istanza si potrebbe allora ritenere avesse sopperito l’opinione papinianea riferita da Ulpiano in D. 19.1.13.25.: ammessa, nell’ipotesi considerata, l’estensione analogica dell’actio institoria al terzo compratore dal procurator avverso il dominus negotii sul presupposto dell’affidamento da parte del compratore in base alla cautio fornitagli dal procurator, potrebbe essere genuina, secondo l’autrice, pure la concessione, per ragioni di equilibrio tra le parti contraenti trattandosi di contratto di compravendita a efficacia obbligatoria bilaterale ed a prestazioni corrispettive, al dominus negotii contro il terzo compratore dal procurator di un’azione di vendita non tanto ad exemplum institoriae actionis quanto adattata al caso (utilis) con richiamo (ex empto) alla compera da parte del convenuto. Non si tratterebbe quindi di una innovazione giustinianea diretta ad estendere il fenomeno della rappresentanza, quanto piuttosto di una tendenza sistematrice delle opinioni classiche in termini di rapporto tra regola ed eccezione.
10. – Il X capitolo (pp. 391-412) mira a disegnare, con richiamo alle linee direttive dell’indagine precedentemente svolta, l’approccio romano, in chiave di evoluzione storica, ai problemi connessi con l’agire in nome altrui, in funzione dell’ulteriore sviluppo del fenomeno della rappresentanza. L’autrice torna ad insistere sulla opportunità, da un lato, di utilizzare la ricerca incentrata sull’esperienza storica dall’età preclassica a quella classica del diritto romano per la migliore comprensione del fenomeno dall’ambito della compilazione giustinianea, attraverso la successiva tradizione romanistica, sino ai diritti attuali che ne derivano, in fatto di elaborazione dogmatica e di concreto regime; dall’altro, sulla necessità di non lasciarsi fuorviare nell’indagine storica da moderne impostazioni sistematiche teorizzanti. Presupposta la inscindibilità della regolamentazione giuridica dal sottostante substrato sociale ed economico alle cui istanze in evoluzione essa è di volta in volta chiamata a dare risposta, è apparso essenziale il mutamento di prospettiva da un originario incidere su sfera giuridica non propria tramite un agire negoziale (e processuale) effettuato in virtù di una propria posizione potestativa ad una operatività in merito orientata all’idea dell’esercizio di un officium con conseguente affacciarsi della nozione dell’agire per conto, e in nome, di altri, senza che con ciò si voglia necessariamente richiedere una nozione di spendita del nome altrui con conseguente determinarsi nella controparte di una più o meno elastica aspettativa di avere a che fare, quanto agli effetti dell’agire, con persona diversa dal soggetto agente.
Si tratterebbe di posizioni potestative che impingono nella struttura e organizzazione della risalente compagine civilistica della familia romana, nell’ambito della quale nel corso del l’età preclassica si sarebbero andate individuando figure tipiche di sostituzione negoziale (e processuale) a sfondo sociale ma già contraddistinte da determinate caratteristiche di regime giuridico. Con il mutare delle condizioni economiche e sociali, tramite l’opera della giurisprudenza interpretativa ma anche suggerente l’intervento dell’organo giurisdizionale del pretore, si sarebbe fatto luogo al passaggio da una tipicità promanante dal costume sociale ad una tipicità più decisamente orientata da interventi giurisprudenziali e giurisdizionali che non mancano, specie nel corso dell’età classica, di effettuare accostamenti, oltre che descrittivi, anche analogici tra una figura e l’altra, sempre tenendo conto degli interessi concreti cui doversi far fronte, pur non trascurando le esigenze di un’armonica visione di insieme del fenomeno, in un contesto di diritto casistico di orientamento giurisprudenziale. In questo quadro si passerebbe dalla unitaria figura del procurator omnium bonorum o rerum a pluralità di procuratores unius rei, in primis il procurator ad litem, in ordine ai quali si sarebbe richiesta da controparte, in mancanza di una visibilità tipica sociale delle singole figure, cautela nell’accertarsi dei poteri loro attinenti: così dalla figura del mandatario con incarico specifico al riconoscimento di un mandato generico, e poi anche generale, alla base della praepositio del procurator omnium bonorum; infine dalla figura tipica di praepositio institoria all’esercizio di un’azienda commerciale alla sua estensione a casi di procuratores e mandatari per singoli affari, in presenza peraltro di una conoscenza, da parte del terzo contraente, dell’incarico ad essi affidato. Si sarebbe addirittura pervenuti a riconoscere reciprocità, hinc et inde, di effetti obbligatori tra l’autorizzante una compravendita ed il terzo contraente, sia pure solo ai limiti dell’età classica e nella decisione di un caso di specie.
Data la massa dei problemi affrontati, il libro non ha la pretesa di esaurire la trattazione del fenomeno in esame, a parte il rinvio ad un secondo volume della sua ulteriore considerazione nella tradizione giuridica romanistica da Giustiniano alle moderne codificazioni europee, né di approfondire la capillare conoscenza, in fatto di fonti e di letteratura su di esse, di ogni specifico aspetto degli argomenti presi in considerazione. Ne risulta peraltro una interessante ed equilibrata prospettazione, metodologicamente ben impostata, delle linee direttive lungo le quali si afferma e si evolve, in chiave di esigenze sociali e di rispondenza ad esse di soluzioni tecnico-giuridiche, il complesso fenomeno, rivisitato sulla base di fondamentali figure tipiche di sostituzione negoziale e processuale, delle quali sono persuasivamente sottolineate la contraddistinta caratterizzazione di base e le successive tendenze al loro reciproco avvicinamento per rilevarne, unitamente a residue differenze, progressive estensioni analogiche del rispettivo regime.
Tratto dalla rivista "Studia et Documenta" n. 1/2010
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