Preti e suore oggi
-Come riconoscere e prevenire i problemi
(Persona e psiche)EAN 9788810809419
I due autori, come si evince dal titolo, affrontano la questione dei "problemi" legati alla vita sacerdotale e consacrata, che hanno delle ricadute nell'ambito del proprio ministero o servizio. Il testo si apre con un principio di base: «Guai a dire che chi soffre di un disturbo psichico "non lascia segnali" o "non ci eravamo accorti di niente"» (12). Una buona volta, dobbiamo riconoscere che "non ci sono scuse": il consacrato in difficoltà o con problemi lascia tracce del suo disagio e qualcuno deve farsene carico (se l'interessato non agisce per primo).
Come si riconoscono i segni di disagio del consacrato? Un segnale è lo «stringere i denti per andare avanti, sperando che nessuno se ne accorga, evitando le situazioni che potrebbero mettere allo scoperto le sue contraddizioni» (21), facendo il "minimo indispensabile" o gettandosi in un "attivismo sterile" o in una "sindrome di protagonismo". Un altro segnale viene dal «modo di rapportarsi con il carattere vocazionale ed esistenziale del proprio servizio» (41). Vale a dire che l'essere a disposizione ventiquattro ore su ventiquattro è pura retorica, quando il consacrato deve «fare i conti con una realtà umana che è lontana da quell'ideale religioso che non riesce più a incarnare» (41-42). In questo caso, il disagio si esprime in soluzioni di ripiego come «l'iper-attivismo, il negativismo, l'insoddisfazione continua, la doppia vita» (42). Un terzo ambito da monitorare riguarda la preparazione (ovviamente non solo teologica) del consacrato: un "prete impreparato" sostengono gli autori è un "prete disagiato", perché «i segnali di disagio sono ben tangibili quando primeggia un clima di ignoranza che non è solo di tipo intellettuale ma riguarda soprattutto la mancanza di intuito e di creatività, l'incapacità di farsi plasmare dalle novità, di saper far tesoro dell'esperienza, di correggersi imparando dai propri errori» (54). Un quarto segnale o insieme di segnali proviene dalle piccole azioni quotidiane in contraddizione con la propria scelta vocazionale, come «arrabbiarsi con gli altri preti, uno scatto d'ira durante il consiglio pastorale, rispondere male a chi viene a chiedere, cercare una persona amica con cui sfogarsi ogni sera, sentirsi più distesi e rilassati dopo qualche bicchiere di vino in più [.] Apparentemente non sono eventi destabilizzanti, ma possono incidere sul senso di coerenza interiore quando sono normalizzati e diventano uno stile di vita pervasivo» (85). I classici segni di trascuratezza della vita spirituale sono da tenere in gran considerazione, come il «disinteresse per la vita di preghiera, poca attenzione alla liturgia, disaffezione nella celebrazione dei sacramenti, paura del confronto in una direzione spirituale» (132). Da monitorare con attenzione è tutto l'ambito delle relazioni, perché «nei conflitti interpersonali, le persone fanno emergere la componente patogena del loro carattere, perché generalmente i rapporti tesi mettono sotto pressione la struttura della personalità e ne accentuano i caratteri più fragili o comunque rendono vulnerabile il loro sistema di adattamento» (147). Ma perché è così importante lavorare sul disagio dei consacrati? Perché non potrebbe essere sufficiente "gestire" il disagio, tenendosi semplicemente al di qua di certi comportamenti "scandalosi"? Ecco, un altro principio molto importante del volume: «Purtroppo "normalizzando la devianza" si rischia di screditare proprio lo spirito profetico che si vorrebbe preservare, perché viene a essere pregiudicata la radicalità e la chiarezza della dedizione apostolica, giustificando [.] un modus vivendi e un'ambiguità che non nuoce solo al singolo caso difficile ma alla missione stessa del sacerdozio e all'azione comune della Chiesa» (99-100). Le contraddizioni personali attenuano la forza di una proposta evangelica e poco alla volta ne "corrodono" la vocazione.
Per prevenire o affrontare il disagio, cosa fare? Molto dipende dal consacrato stesso, chiamato a vigilare su di sé ed a coltivare «una sana consapevolezza» delle sue relazioni e dei suoi comportamenti, per accorgersi di ciò che avverte, «senza far finta di niente, senza false giustificazioni [.] Infatti, l'intuizione che ci sia qualcosa di ambiguo in alcune azioni può essere di stimolo per attivare la propria capacità critica e riflessiva [.] Intuire che c'è qualcosa che va oltre i singoli episodi significa chiedersi "ma che cosa sta succedendo?", "dove mi portano questi comportamenti?"» (61). Il passo successivo è quello di prendere sul serio il proprio disagio, una volta percepito e individuato, sapendo «dare un taglio a comportamenti sbagliati», non in sintonia con le motivazioni vocazionali (165). È d'aiuto «il confronto con la gente», che richiama il consacrato «alla grave responsabilità di qualificare i suoi comportamenti e i suoi vissuti emotivi, perché corrispondano alla missione educativa» (133), che gli viene dalla propria vocazione. Imprescindibili sono anche il recupero delle motivazioni di base, la curiosità culturale, un contesto di relazioni fraterne, la cura del proprio stile di vita. Ma un'importanza del tutto particolare appartiene alla formazione permanente ed è questo l'appello lanciato dai nostri autori. La formazione permanente diventa una «questione di vita o di morte, di senso o di perdita di senso, per riallineare la propria identità psico-affettiva con l'identità carismatica, e ristabilire un processo di crescita che è connaturale a ogni essere umano, soprattutto quando si ha a che fare con un lavoro di grande responsabilità umana e spirituale sulla gente» (129). Formazione permanente significa che «ogni persona impari a scoprire il senso appellativo della propria esistenza [.] Imparare a farsi formare dalla vita di ogni giorno, dalla sua propria comunità e dai suoi fratelli e sorelle, dalle cose di sempre, ordinarie e straordinarie, dalla preghiera come dalla fatica apostolica, nella gioia e nella sofferenza, fino al momento della morte» (176).
Il libro di Crea e Mastrofini si colloca sulla scia di altre pubblicazioni su questo tipo di tematiche. Senza attendersi rivelazioni spettacolari e rimedi straordinari, bisogna riconoscerne l'attualità e l'utilità. Ci auguriamo che questo volume possa aiutare soprattutto i consacrati a prendersi cura di sé e, come sollecitano provocatoriamente gli autori, a "smetterla di trascurare sé stessi".
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2013
(http://www.rassegnaditeologia.it)
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