Monasteri. Icona del mondo celeste. La teologia spirituale di Gregorio Palamas
(Teologia spirituale)EAN 9788810541357
«Poiché infatti crediamo che la venerabile e antica tradizione delle chiese orientali sia parte integrante del patrimonio della chiesa di Cristo, la prima necessità per i cattolici è di conoscerla per potersene nutrire e favorire, nel modo possibile a ciascuno, il processo dell’unità». Con queste parole Papa Giovanni Paolo II apriva la Lettera Apostolica Orientale lumen (2 maggio 1995) evidenziando l’ineludibile e necessario rilievo che la tradizione dell’Oriente cristiano deve avere nella Chiesa.
Nello stesso documento, il Papa sottolineava come il fulcro essenziale di quella tradizione sia l’esperienza monastica in quanto «il monachesimo non è stato visto in Oriente soltanto come una condizione a parte, propria di una categoria di cristiani, ma particolarmente come punto di riferimento per tutti i battezzati, nella misura dei doni offerti a ciascuno dal Signore, proponendosi come una sintesi emblematica del cristianesimo» (Orientale lumen, 9). Il libro di Luca Bianchi – Frate Minore Cappuccino, docente di “Spiritualità patristica” all’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum – presenta la teologia spirituale di Gregorio Palamas (1296-1359), rivestendo, alla luce della Orientale lumen, un doppio motivo di interesse.
Innanzitutto offre un’indagine sulla teologia della Chiesa Orientale attraverso uno dei suoi rappresentanti più significativi. In secondo, ma non secondario, luogo, il teologo dell’Oriente cristiano sul quale si pone l’attenzione è un monaco del monte Athos che ha segnato in modo incisivo la spiritualità della Chiesa d’Oriente, in cui il monachesimo è parte essenziale. Gli studi su questo importante autore – ritenuto, per la sua importanza, il Tommaso d’Aquino della Chiesa d’Oriente – come ricorda nella Prefazione l’arcivescovo Ioannis Spiteris – si sono moltiplicati in questi ultimi decenni (e tra queste pubblicazioni molte sono dello stesso Spiteris), ma hanno sempre indagato il filone polemico, monastico o dottrinale, di Palamas.
Egli, infatti, si pone da un lato come strenuo difensore della spiritualità monastica esicasta, accusata di essere messaliana e, dall’altro lato, si confronta con tematiche prettamente speculative, come la teologia della grazia increata o la distinzione in Dio tra sostanza incomunicabile ed energie increate comunicabili. Lo sguardo di Bianchi, ed è qui che si trova l’originalità della ricerca, non affronta direttamente le questioni teologiche, ma ne indaga il retroterra e le conseguenze attraverso lo studio della spiritualità monastica, offerta dal grande monaco orientale, colta nella sua ampia poliedricità e non solo su un suo aspetto peculiare, seppure importante, come l’esicasmo. L’obiettivo, quindi, è di offrire una dottrina del monachesimo di Palamas.
Si tratta di un ambito della ricerca, come ha rilevato Spiteris nella Prefazione, ancora poco frequentato dagli studiosi del cristianesimo orientale, anche dagli stessi specialisti, confermando così l’importanza del lavoro di Bianchi. Occorre aggiungere che negli ultimi anni si registra una sempre maggiore attenzione nel focalizzare il rapporto tra teologia e spiritualità, in particolare l’ispirazione o il fondamento spirituale che soggiace a una teologia o, più concretamente, in che misura una spiritualità particolare diventi fonte di riflessione per un teologo. Ne sono nate diverse e note monografie che indagano la spiritualità ignaziana fonte di K. Rahner o di H. U von Balthasar, quella francescana fonte di Bonaventura, la domenicana fonte di Tommaso, legate all’appartenenza religiosa del singolo teologo, ma anche, più recentemente e meno note, trasversali, come il rapporto tra spiritualità monastica e H. U. von Balthasar (mi riferisco al volume G. Meiattini, Monachesimo e teologia.
La triplice prospettiva di H. U. von Balthasar, Eupress, Lugano 2012). Il lavoro di Bianchi, posta la spiritualità monastica di Palamas quale orizzonte della ricerca, si presenta come lettura organica e tematica delle opere spirituali dell’Autore studiato, del quale, quindi, non viene analizzato tutto il corpus propriamente speculativo-dottrinale. Il cap. I (La spiritualità del monachesimo bizantino e in particolare dell’esicasmo) propone una sintesi del monachesimo presente nel mondo bizantino, con una particolare attenzione alla tradizione esicasta la quale, pur nella polisemia del termine hesychia, indica la modalità con cui realizzare l’unione con Dio, che si manifesta come quiete interiore.
In questo capitolo, inoltre, particolarmente interessanti e attuali sono le molteplici affermazioni in cui sottolinea come «la spiritualità monastica si identifica con la spiritualità cristiana» (19), per cui i monaci non si sono mai considerati depositari di una sapienza o di una salvezza esclusiva ed elitaria, ma volevano semplicemente mettere in pratica il vangelo, legge di vita per tutti i cristiani. Il cap. II (Gregorio Palamas) offre una fondata e attenta analisi della vita di Gregorio Palamas. Dopo aver presentato sinteticamente il Trecento bizantino, lacerato da lotte interne e dalla costante minaccia turca, Bianchi offre un ritratto di Palamas che si basa sia sulle fonti storiche antiche, a partire dalle stesse opere di Palamas e dagli scritti di autori coevi, sia sulla storiografia scientifica moderna.
Ne esce un ritratto che ben illumina la vicenda umana e il percorso monastico e intellettuale del monaco e teologo orientale. Il cap. III (Le fonti del pensiero spirituale di Palamas) rivela come l’autore studiato sia sempre stato oggetto di una «aspra polemica tra gli estimatori e gli avversari del grande maestro esicasta: per gli uni egli era un fedele continuatore della tradizione dei Padri greci, anzi un Padre lui stesso, degno di stare accanto ai suoi gloriosi predecessori; per gli altri era un pericoloso innovatore, “inventore” di una teologia estranea alla grande riflessione precedente» (71-72). Questo conflitto di interpretazioni si trova anche in ambito cattolico in cui si registra, tuttavia, una evoluzione, a cui velatamente allude anche Bianchi.
Se fino a pochi decenni fa Palamas era visto come un innovatore poco accordabile con la tradizione greca, ora il giudizio è più stemperato (grazie agli studi degli stessi teologi ortodossi) e al Nostro viene riconosciuta la continuità, che potremmo chiamare dinamica, con la tradizione, ossia senza esserne un ripetitore meccanico. Bianchi non affronta la diatriba sulle ermeneutiche contrastanti su Palamas, né offre, perché già disponibili, una puntuale indagine sulle fonti patristiche dirette del grande esicasta – in cui emergono Massimo il Confessore, Dionigi l’Areopagita e Giovanni Crisostomo – ma presenta, e qui si ha ancora un aspetto originale del suo lavoro, alcuni autori cronologicamente vicini a Palamas e poco conosciuti: Niceforo l’Esicasta, Teolepto di Filadelfia e Gregorio il Sinaita per poi verificarne, nel capitolo successivo, affinità e discontinuità con lo stesso Palamas. Nel cap. IV (Le opere analizzate) Bianchi affronta gli scritti di Palamas che sono stati classificati come “di spiritualità” (Meyendorff) o “Scritti ascetici” (Christou), ossia quelle opere che non sono né propriamente di speculazione teologica, né semplici omelie. Unica eccezione è l’omelia 53 che, pur essendo inserita nella collezione delle omelie, Bianchi la analizza sia per la sua ricchezza tematica sia, soprattutto, per il contenuto (monastico) e per i destinatari (monaci). Di ogni opera presa in esame vengono specificate le circostanze di composizione e l’analisi del contenuto. Il cap. V (La spiritualità monastica nelle opere ascetiche di Palamas) è uno dei punti culminanti della ricerca di Bianchi, in cui vengono delineate l’immagine di monaco e di vita monastica di Palamas.
Gli elementi fondamentali del monachesimo che vengono posti in luce sono sintetizzabili in tre ambiti: la vita monastica come vita unificata, l’esicasmo e la dimensione escatologica. La vita unificata che offre il monachesimo viene declinata assieme alle tematiche: la fuga mundi, la verginità, l’appartenenza solo a Dio, l’esperienza di Dio, la vita eremitica, la divinizzazione e il cristocentrismo. Per l’esicasmo si affronta il percorso del cammino spirituale, dalla purificazione interiore (dell’intelletto) alla preghiera fino all’incontro/unione con Dio. La dimensione escatologica, invece, viene compresa a partire dalla preghiera nell’esperienza di Dio, nell’orizzonte della verginità in vista della divinizzazione. Il modello del monaco (esicasta), per Palamas, che propone Bianchi, è offerto da Maria perché ha potuto accogliere Dio.
Le varie tematiche, quindi, sono trasversalmente intrecciate rispetto ai tre elementi fondamentali. Con il cap. VI (L’originalità del pensiero spirituale di Palamas) Bianchi, dopo aver presentato un confronto con alcuni autori contemporanei di Palamas, sottolinea gli aspetti peculiari del pensiero palamita. Un primo guadagno è offerto dalla valenza escatologica del monachesimo e conferma la tesi fondamentale dal presente studio, ossia, come riporta il titolo del libro, l’equivalenza tra vita monastica e mondo celeste di cui il monastero diventa icona. Tra le altre significative sottolineature poste in rilievo in questo capitolo si registrano la vita monastica come cammino di unità verso la divinizzazione, la prospettiva ecclesiale del monachesimo e il rapporto tra Palamas e Cabasilas.
Una particolare attenzione merita quanto Bianchi, sempre in questo capitolo, rileva sul rapporto tra “spiritualità liturgica” e “spiritualità terapeutica” – tematica oggetto di discussione nell’ambito degli studiosi della teologia greca, almeno dagli anni ’90 del XX secolo – e la posizione di Palamas. Il tema si può sintetizzare nel modo seguente. Dall’età patristica si evidenziano due tipi di spiritualità cristiana. Da un lato una spiritualità eucaristica (o liturgica), quindi comunitaria ed escatologica, promossa dai Padri pastori, come Ignazio di Antiochia e Ireneo di Lione. Dall’altro lato una spiritualità individuale, centrata sull’ascesi (contro le passioni), orientata alla perfezione morale e all’unione mistica dell’anima (o della mente) al Logos, prospettiva presente nella scuola alessandrina e da questa, attraverso Evagrio Pontico, nel monachesimo.
Se la prima guarda in avanti, verso l’escatologia, la seconda guarda indietro, verso il paradiso terrestre perduto. Se nella prima le istituzioni, le mediazioni e il culto hanno valore in quanto anticipano la realtà piena che sarà quella escatologica; nella seconda le realtà istituzionali e comunitarie perdono valore, perché il ritorno al paradiso perduto si ottiene attraverso l’ascesi individuale e l’unione con il Logos. Se per la prima l’Eucaristia e i sacramenti sono “il fine” a cui si tende; nella seconda sono “il mezzo” mediante il quale l’anima si purifica. L’apporto di Palamas, monaco, era sempre stato colto nella seconda prospettiva, quella monastica, anche se con sfumature diverse dai vari studiosi, ma negli ultimi anni si era registrata un’ermeneutica più sacramentale e liturgica e meno monastica e ascetica.
Il lavoro di Bianchi ribadisce l’orizzonte “terapeutico” di Palamas nelle opere rivolte ai monaci ma, al tempo stesso, osserva che nei testi i cui destinatari sono i laici (come le omelie), il monaco greco offre una spiritualità sacramentale, confermando, così, la ricchezza e la poliedricità dell’autore studiato. Per concludere, il lavoro di Bianchi si presenta ben architettato e documentato, anche se, ed è l’unica osservazione critica che ci permettiamo, ci si sarebbe aspettati qualche chiarimento sul significato di una parola molto importante per la spiritualità greca, la theoria, spesso, sbrigativamente, tradotta nella teologia occidentale con “contemplazione”, mentre in realtà presenta un valore semantico specifico e denso. Per la riflessione teologica, comunque, lo studio di Bianchi offre ampi stimoli che superano la semplice comprensione di un importante autore greco come Palamas, soprattutto perché invitano ad un intellectus fidei che abbia nel proprio percorso l’esperientia fidei, per giungere così ad una sapere della fede che non sia semplicemente scientia ma che diventi sapientia fidei.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2012
(http://www.pul.it)
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