Epistolario Clemente Rebora
(Scienze religiose) [Con sovraccoperta]EAN 9788810415191
Con questo terzo volume si conclude l’edizione aggiornata, svolta con tanta accuratezza, da Carmelo Giovannini sui documenti epistolari di Clemente Rebora.
La pubblicazione, dopo la Prefazione di Antonio Autiero (pp. V-VIII), l’Indice (p. 3), una Nota all’edizione (pp. 5-9), riporta 1024 Documenti (pp. 11-619) relativi agli ultimi 12 anni di Rebora, segue: una Bibliografia delle opere citate nelle note (pp. 621-623), l’Indice dei destinatari (pp. 625-627) e l’Indice dei nomi presenti nel testo delle lettere (pp. 629-634).
Ci si trova di fronte prevalentemente alla particolare dimensione ascetico-mistica e all’intenso impegno pastorale del Rebora religioso e sacerdote: certamente il vertice di quell’evoluzione esistenziale che si è potuto cogliere da quanto emergeva nei due volumi precedenti, come ebbi modo già di esporre nelle sintetiche annotazioni fatte in Studia Patavina 53 (2006) 296-298 e 55 (2008) 683-685.
Negli scritti di questo periodo esistenziale, le caratteristiche che si evidenziano e colpiscono maggiormente in Rebora sono innanzi tutto: la sua ricerca di aiuti per poveri - ai quali dedica anche proventi personali: v. lettere n° 290 e 296 (d’ora in poi si indicherà solo il numero) - e per i carcerati, il suo costante impegno a seguire le problematiche spirituali di singole persone - come risulta, in particolare, dalle numerose lettere inviate a Maria Rina Pasqué, alle sorelle Coari e ad altri corrispondenti su problematiche strettamente di ordine ascetico -, un forte senso dell’obbedienza ai superiori della sua congregazione rosminiana, una devozione speciale alla Madonna di Lourdes, dove si reca anche più volte in pellegrinaggio provvedendo, poi, a distribuire l’acqua «miracolosa» reperita colà (n° 152ss.), o alla Madonna del Santuario di Pinè. Giungerà, anzi, ad esprimere il desiderio che al suo nome di «Clemente» sia aggiunto quello di «Maria» (n° 427).
Non è da trascurare, inoltre, il suo acuto senso della celebrazione eucaristica quotidiana fino al punto da soffrire intensamente quando la malattia glielo impedisce, ed è da aggiungere: il suo intenso ed assiduo apporto alla predicazione, a corsi di esercizi spirituali e ritiri a varie associazioni e gruppi in diverse aree italiane, per lo più proprio lui appositamente ricercato ed invitato, non senza qualche difficoltà o malinteso, per non dire disapprovazione, da parte di vescovi, come, ad es., nel 1950 con mons. Giacinto Tredici vescovo di Brescia (n° 316, 318, ss).
Le lettere accennano anche ad alcune difficoltà generali di quegli anni in Italia: le truppe tedesche che occupano il Collegio di Domodossola agli inizi del 1945 (n° 3) con il conseguente primo mitragliamento locale (n° 7), l’alluvione del Polesine nel ’51, il tutto, per altro, letto sempre in un’ottica quasi di fideismo ma che aiuta ancor più a capire quanto grande sia l’evoluzione esistenziale del poeta.
E non manca, neppure, qualche indicazione politica sull’Italia del primo dopo guerra (n° 16, 17, 147, 148).
Da non sottovalutare nemmeno le relazioni o espressioni riportate su ecclesiastici - don Carlo Gnocchi, don Zeno Saltini fondatore della comunità di Nomadelfia, il «venerato» don Giovanni Calabria, i cardinali Ildefonso Schuster ed Elia Dalla Costa, mons. Mistrorigo, allora canonico della cattedrale di Vicenza e poi vescovo di Treviso, don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana, padre Pio da Pietralcina - o laici, come: Giovanni Papini, il «santo sindaco» di Firenze Giorgio La Pira, Piero Bargellini, ecc..
Ma che ne è della sua precedente dimensione poetica?
Questo terzo volume permette di cogliere in diversi riferimenti autografici proprio il riemergere della creatività in quest’ambito.
Dapprima, è forse la spinta derivante dal fratello Piero - che cura un’edizione di poesie di Clemente con la Vallecchi nel 1947 - a far sì che «un Clemente Rebora morto e seppellito» (n° 48 e ss.), dopo un lungo silenzio, riprenda anche la sua produzione lirica, sia pure con notevoli apporti critici od errata-corrige sui testi che vengono via via predisposti per la stampa (n° 54, 61, 211, 531, 722, ecc.) ed un considerevole disagio, se non proprio «ripugnanza», in relazione agli accenni bio-bibliografici che si vogliono introdurre a suo riguardo (n° 57 e 58).
In seguito, frutto quasi sempre di obbedienza ai superiori (n° 59), appaiono altre sue composizioni ne La Fiera Letteraria (n° 211, 478, 501, 505, 652, 803, 807, 853 n.1), benché rimanga sempre «la spina che quelle espressioni possano nuocere» (n° 211), in La Rocca (n° 657 e 879), a volte addirittura preferita (n° 801), in Ricerca e nella rivista rosminiana Charitas.
Le missive riportano anche appunti su «Gianni» Scheiwiller (n° 905) - proprio colui che nel 1961 curerà e pubblicherà l’edizione generale delle poesie reboriane - perché nel 1955 edita il poemetto «Curriculum Vitae» che varrà al Rebora il «Premio Cittadella» (n° 983): unico riconoscimento ufficiale per la sua produzione letteraria, ben al di là della nomina, giuntagli l’anno precedente, a socio corrispondente dell’«Accademia degli Agiati» di Rovereto (n° 768), nomina, questa, accettata solo per obbedienza ai superiori.
La sua rinata espressività poetica, com’è più volte attestato, non verrà meno neppure nel periodo conclusivo della sua esistenza, tanto che nel 1957 potranno essere pubblicati i suoi «Canti dell’infermità».
Da rilevare, per altro, come sia sottolineato dal Rebora stesso anche il fatto che ci siano persone che si radunano «come comunità cattolica» proprio per leggere le sue poesie (n° 351), benché egli non manchi di precisare ancora che «quella qualsiasi vena poetica che mi era stata donata, è esaurita» (n° 360) e che i versi ora sono «spremuti» dalla preghiera (n° 362, 366, 417), pur riconoscendo che «il dono della poesia è il più vicino all’anelito della creazione» (n° 219).
Non sono da ignorare, infine, tutte le indicazioni che emergono circa il suo apporto in articoli e radiotrasmissioni in base allo studio delle lettere di Antonio Rosmini fatto nella circostanza della celebrazione del centenario dalla morte (1955), «perché - annota sempre Rebora - non sia soltanto celebrazione esterna ma rinnovellamento (...) dello spirito suo e del nostro Istituto» (n° 878, 898, 899).
Quel poco che ho qui esposto penso che sia sufficiente a dare una prima idea, sia pure molto sintetica, dell’importanza e dell’interesse che presenta anche questo terzo volume, senza dimenticare che pur esso è arricchito ulteriormente dalle tante osservazioni e note introdotte dal curatore Giovannini, a cui va dato atto di un esito estremamente positivo del suo importante lavoro.
Ripropongo solo un piccolo appunto già manifestato per i precedenti volumi: forse, non sarebbe stato male aver inserito nell’Indice dei nomi presenti anche i nomi dei «luoghi» comunque frequentati da Rebora e delle «associazioni, enti o istituzioni» a lui interessate, ma è un dettaglio che potrà essere sempre superato facilmente con una lettura, sia pure veloce, di tutti i testi riportati.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2010, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)