Il presbitero religioso nella Chiesa
-Saggio storico-teologico d'interpretazione
(Teologia viva)EAN 9788810409787
Un terzo del clero mondiale appartiene a un ordine o a una congregazione religiosa. Tuttavia nella Chiesa raramente ci si è soffermati a riflettere sullo specifico dei consacrati ordinati. L’a. è mosso dal desiderio d’indagare la differenza tra il presbitero secolare e quello religioso e di verificare se, nel momento in cui si definisce il carisma religioso, il sacramento dell’ordine si riduca a una dimensione secondaria. Scopo del saggio è inoltre abbozzare una concezione pluriforme del ministero ordinato che appaia pertinente sotto il profilo teologico, pastorale e canonico. L’intento è contribuire all’evoluzione della concezione del presbitero nella Chiesa italiana affinché, conservando l’unità sacramentale, si rispettino le differenze che nascono dai carismi ecclesiali riconosciuti dalla Chiesa.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2010 n. 16
(http://www.ilregno.it)
Più che al singolare, il tema del religioso presbitero andrebbe sempre presentato al plurale: i religiosi presbiteri. Infatti è molto diversificata la tipologia che vi si inscrive, come diversificate sono le espressioni in cui storicamente si è realizzata la vita consacrata. Ai suoi inizi il monachesimo nasce in forma laicale, e in seguito si munisce di monaci sacerdoti che assolvano alle esigenze della liturgia comunitaria.
Nel medioevo, nascono ordini mendicanti misti, come nella fraternitas di Francesco d’Assisi (dove il criterio di appartenenza non è dato dal sacerdozio, ma non perché questo sia considerato irrilevante), oppure fin dall’inizio composti di chierici, come i frati predicatori di Domenico di Guzman. In epoca tridentina la Compagnia di Gesù è ancora composta essenzialmente di sacerdoti, e così in epoca moderna i Salesiani di Giovanni Bosco. Dopo il Vaticano II, l’ansia di recuperare l’ispirazione originaria ha portato nel caso di alcune forme di vita consacrata (come appunto il monachesimo e il francescanesimo) a reagire contro il fenomeno di una clericalizzazione forzata, ma non anche al recupero della esatta fisionomia di un presbitero all’interno del suo istituto religioso d’appartenenza. Va inoltre considerato che, se da un lato la vita religiosa si è sempre più sostanziata di sacerdozio, dall’altro lato la figura del presbitero diocesano ha fatto propria la spiritualità dei consigli evangelici, che sono però lo specifico appunto della vita religiosa.
Così, gli interventi della Chiesa postconciliare sulla vita religiosa hanno dedicato attenzione al presbitero appartenente a un Istituto religioso: se ne trovano tracce in ad es., nelle direttive Mutuae relationes (1978) e Potissimum Institutioni (1990), nonché nell’esortazione postsinodale Vita consecrata di Giovanni Paolo II (1996). Ma per converso hanno anche presentato l’obbedienza, la povertà e la castit à come paradigma anche per il presbitero incardinato in una diocesi: dal decreto conciliare Presbyterorum Ordinis (nn’ 15- 17), attraverso l’esortazione Pastores dabo vobis di Giovanni Paolo II (nn’ 27-30), fino alla lettera con cui nel 2009 Benedetto XVI ha indetto l’anno sacerdotale ancora presentando san Giovanni Maria Vianney esemplare per obbedienza, castità e povertà. Insomma l’identità del religioso presbitero è un problema da approfondire, insieme a quello - gemello ma non identico - delle connessioni tra vita religiosa e sacerdozio.
La sua rilevanza è prima di tutto teologica, ma anche pastorale, se rimane che il clero della Chiesa cattolica è a tutt’oggi ancora costituito per un terzo da sacerdoti appartenenti a istituti religiosi. È in questo solco che si colloca il volume del gesuita Rossano Zas Friz de Col. Il primo capitolo è dedicato alla condizione attuale del presbitero religioso nella Chiesa. Presenta la riflessione teologica sul ministero ordinato dal Vaticano II al nostro tempo, ripercorrendo gli anni immediatamente postconciliari del dibattito sull’identità sacerdotale fino agli anni .80, quelli della svolta ecclesiologica, e agli anni .90, in cui si tematizza con decisione il legame del ministero ordinato con l’ambito della Chiesa particolare. Si giunge così al Terzo millennio in cui si diffonde una prospettiva «plurale» del ministero ordinato. Ma più che una ricchezza concettuale, alla base può esservi l’insufficienza della riflessione teologica sull’argomento. Pertanto nel secondo capitolo l’A. offre i presupposti storici, e poi nel terzo capitolo i presupposti teologici per la posizione del problema.
«Se si considera la condizione/vocazione/missione ecclesiale particolare di colui che riceve il sacramento dell’ordine come una dimensione integrante del sacramento, e se si considera che un carisma religioso è ecclesiale in virtù della sua approvazione canonica (diocesana o pontificia), in realtà non si hanno soltanto una forma secolare e una forma religiosa di ministero ordinato, ma un ministero ordinato francescano, domenicano, salesiano, ignaziano, paolino, prende sia per la sua relazione con Cristo sia per la sua relazione con la Chiesa, poiché non cambia la relazione con Cristo che è lo stesso per tutti i sacerdoti, allora le differenze tra i presbiteri saranno date dalla relazione con la Chiesa: qui, nella ricchezza delle varie articolazioni ecclesiologiche, troverà spazio lo specifico dell'incardinazione del presbitero in una diocesi o in un istituto religioso. E dunque «a partire da questa interpretazione, ogni presbitero può incorporare nella grazia del sacramento dell’ordine la grazia carismatica/ ecclesiologica della sua Chiesa particolare d’appartenenza, nel caso del presbitero secolare o, nel caso del presbitero religioso, il carisma del suo istituto» (83). Il quarto capitolo rilegge il documento della CEI sulla formazione dei presbiteri (2007) appunto sotto la visuale del religioso presbitero.
L’A. obietta specialmente la mancanza di chiarezza sull’origine della differenza tra i presbiteri delle diverse appartenenze ecclesiali. La teologia che ispira il documento dipende da una concezione dell’ordine fondata sul carattere sacramentale. «In questo modo, tralasciando la dimensione ecclesiale-carismatica del sacramento, le differenti forme del ministero ordinato si livellano e ne consegue che, dalla teoria e dalla pratica dei vescovi, l’unica forma di sacramento è quella diocesana vincolata alla Chiesa particolare, e la differenza con i religiosi è soltanto accidentale» (93s). Il volume di R. Zas Friz de Col costituisce un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia occuparsi del presbiterato nella teologia cattolica, in genere, e, ovviamente, in particolare del presbitero religioso. Tale preziosa ricerca è una conferma che il metodo teologico deve avere certamente un approccio dall’alto, deduttivo, ma anche dal basso, induttivo, che cioè consideri la vita concreta della Chiesa, con la ricchissima fenomenologia di esperienze che lo Spirito Santo vi ha suscitato nel corso dei secoli e vi ispira tuttora.
Lo stesso A. più volte sottolinea che la figura del religioso presbitero è stata insufficientemente studiata, e la sua opera contribuisce a colmare la lacuna. Implicitamente suggerisce, però, che altri approfondimenti siano ancora possibili e necessari. Un ambito, a nostro parere, è dato dal criterio di specificazione, che l’A. indica giustamente nella dimensione ecclesiologica del presbiterato. Riteniamo però che elementi distintivi del sacerdozio dei religiosi potrebbero stare anche nella dimensione cristologico-trinitaria. Non ci riferiamo chiaramente a differenze nella dottrina ma nella spiritualità: il modello cristologico offerto al sacerdote è soprattutto quello di Cristo capo, pastore, maestro, ma altri elementi potrebbero venire dalle accentuazioni delle sensibilità dei fondatori. Ad es. il Cristo povero e umile, che esercita nel servizio la sua autorità nel quadro giovanneo della lavanda dei piedi, viene offerto come modello da Francesco d’Assisi ai sacerdoti del suo ordine, ma ben deve essere un modello per ogni sacerdote puramente e semplicemente. Inoltre, la considerazione effettiva dei differenti modi di essere (e operare) dei sacerdoti, a seconda dell’istituto di appartenenza, potrebbe gettare ulteriore luce sulla tematica.
La differente fisionomia di un benedettino sacerdote rispetto a un gesuita può aiutare a comprendere meglio anche gli addentellati teologici della problematica. Quanto più fosse vasta la gamma dei modelli analizzati, tanto più chiara potrebbe essere ciò che è comune e ciò che è distinto. All’approfondimento del tema, infine, potrebbe essere di aiuto anche il riferimento agli interventi di Benedetto XVI durante l’anno sacerdotale, nonché ai numerosi contributi offerti durante lo stesso anno da più istituzioni (come il secondo seminario di studi organizzato dalla CISM nel 2010), e che gradualmente vengono Pubblicati.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 1/2012
(www.rassegnaditeologia.it)
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