La casa di Dio non ha misura. Interrogativi sui luoghi e sugli arredi sacri
(Studi e ricerche di liturgia)EAN 9788810406991
La Sacrosantum Concilium, accogliendo molte istanze del «movimento liturgico » dei decenni precedenti, condusse a ripensare i riti e gli spazi in cui celebrarli. Molti ricordano ancora gli anni, immediatamente seguenti il Concilio Vaticano II, quando furono «girati» gli altari e fu introdotto o recuperato l’ambone quale luogo ordinario della proclamazione della Parola. L’urgenza di rendere significanti le celebrazioni secondo questo rinnovato progetto liturgico portò ad interventi architettonici diffusi ma nello stesso tempo affrettati, non sempre ben meditati. La migliore comprensione del dettato conciliare e l’emergere di differenti interpretazioni di tali spazi porta oggi a una revisione di quanto allora, con opportuna immediatezza, venne operato. La stessa Conferenza Episcopale Italiana, attraverso la sua Commissione per la Liturgia, ha cercato di orientate i responsabili delle Chiese e gli architetti da essi interpellati attraverso due Note Pastorali: La progettazione di nuove chiese (1993) e L’adeguamento delle chiese secondo al riforma liturgica (1996).
Arnaldo Caleffi in La casa di Dio non ha misura. Interrogativi sui luoghi e gli arredi sacri si inserisce in questo dibattito, con quella che lui stesso definisce «una chiacchierata, una riflessione ad alta voce sulla casa della Chiesa» (p. 7). Attraverso queste pagine l’esperienza dell’architetto, spesso chiamato a progettare o intervenire nelle chiese, si confronta non solo con i documenti del magistero e con le situazioni concrete, ma si lascia innanzitutto interpellare dalla parola della Scrittura, dalle pagina dei Padri della Chiesa, dalla testimonianza delle realizzazioni paleocristiane. La prima parte del volume (p. 13-43) è tutta dedicata alla ripresa puntuale di diversi passi dell’Antico e del Nuovo Testamento e a duna ripresa di testi dei Padri della Chiesa e del Magistero attuale. Ne vien fuori un inquadramento generale del problema, a volte radicalizzato, che evidenzia con chiarezza come la fede biblica relativizzi l’essere «tempio» del luogo di riunione dei cristiani e valorizzi il suo essere «casa» e luogo di convocazione, «ecclesia», ambiente in cui si radunano i convocati dalla Parola. Ricordiamo in proposito solo una citazione di s. Agostino, che Caleffi riprende dal Breviario «Questo edificio è divenuto la casa del nostro culto. Ma noi stessi siamo la casa di Dio» (p. 29). La panoramica biblica e patristica diviene per Caleffi fondamento e criterio per accostare sia le due Note della CEI già ricordate, sia altri documenti di Conferenze Episcopali regionali o estere.
Talora il suo atteggiamento è di ricezione, puntualizzazione e chiarimento; altre volte il riferimento alla Scrittura, ai Padri lo porta ad interpretare in modo più radicale le pagine del Concilio Vaticano II e quindi a discutere le soluzioni proposte e le opere fin qui realizzate. Non si limita, tuttavia, solo ad esporre tesi alternative, ma anche indica soluzioni, concretizzate in disegni e schizzi. Queste soluzioni qualche volta sono veramente ardite, molto spesso di impatto sconvolgente rispetto ad abitudini e prassi difficili da smuovere. Per le nuove chiese può essere interessante la strutturazione dell’aula liturgica a gradoni convergenti sull’altare (p. 106) o un presbiterio in cui si possa celebrare rivolti all’aula quando c’è molta gente o rivolti all’abside, in caso partecipi solo un piccolo gruppo (p. 82-84). Risulta ancora difficile, invece, per quanto espressiva a livello teologico e pastorale, pensare ad un’aula liturgica in cui i fedeli siano disposti alla maniera dei padri conciliari in S. Pietro durante il Vaticano II, lungo file affrontate longitudinalmente (p. 109). Non risulta abbastanza chiaro il pensiero di Caleffi riguardo alle vesti liturgiche.
Dopo aver analizzato il mosaico di S. Vitale in Ravenna che raffigura l’imperatore Giustiniano e il vescovo Massimiano, conclude «originariamente non c’erano vesti sacre, ma soltanto vesti comuni (si fa per dire dal momento che si tratta di abiti molto ricchi) poi sacralizzate e quindi mantenute inalterate nel tempo » (p. 118). Se vuole esortare a ripristinarne la semplicità inaugurata da Paolo VI all’indomani del Concilio, lasciando da parte ori e ornamenti nuovamente introdotti dopo il 1978, non si può non essere d’accordo. Se, invece, si vuole contestare la funzione stessa delle vesti liturgiche, almeno personalmente, non sono d’accordo: verrebbe meno il segno dell’apertura su un mondo «altro» sia per chi presiede sia per tutti gli altri. Alcuni passaggi di questa «riflessione ad alta voce sulla casa della chiesa» di Caleffi hanno, senza dubbio, una valenza dirompente e anche provocatoria. Proprio per questo, però, costituiscono un’importante occasione per riflettere su come la riforma liturgica si sia incarnata negli spazi delle architettonici e soprattutto su quanto siano stati accolti e compresi in profondità la Sacrosantum Concilium e i libri liturgici che ne hanno tradotto in rito le istanze teologiche.
Tratto dalla rivista "Parola e Storia" n. 2/2007
(http://www.scienzereligiose-br.it)