Il De novissimis dei laici. Le «realtą ultime» e la riflessione dei filosofi italiani contemporanei
(Progetti educativi)EAN 9788809060913
L’a. è mosso dall’intento d’offrire ai lettori una visione del rapporto stabilitosi fra taluni dei più rappresentativi filosofi contemporanei italiani, quali Severino, Galimberti, Natoli, Givone, Cacciari, Quinzio, e la fede cristiana. Credenti e non credenti, infatti, sono ai nostri giorni accomunati dal fatto che tramontate le grandi filosofie consolatorie, come il marxismo, restano, in ogni caso, le domande. Sono proprio i filosofi, come quelli sopracitati, a scoprire la troppa «superficialità» con cui la teologia «ha voluto parlare di questioni che invece richiederebbero un silenzio rispettoso e un dire sottovoce» come giustamente hanno affermato Bruno Forte e Salvatore Natoli. Testo di studio dallo stile chiaro.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 10
(http://www.ilregno.it)
«Filosofia e teologia – secondo una felice espressione di M. Cacciari – si riguardano essenzialmente», ed entrambe, pur nella distinzione di metodo e in parte di ambiti, non possono che risultare arricchite da un loro autentico incontro. Di sicuro questo vale per la teologia.
All’esecuzione del lavoro teologico, infatti, la filosofia, da una parte, offre l’opportunità di cogliere gli elementi caratterizzanti, le tendenze, gli orientamenti di fondo di un’epoca; dall’altra, poiché la stessa speculazione filosofica è strettamente legata ai temi e alla grammatica della tradizione cristiana, il confronto con essa risulta ulteriormente significativo, perché offre una cartina di tornasole di quale sia nel tempo presente lo spazio disponibile per un potenziale ascolto dell’annuncio del vangelo. La teologia della seconda metà del Novecento e in particolare quella italiana, tuttavia, non sempre ha dedicato generosa attenzione al pensiero filosofico contemporaneo, con grave danno per entrambe le discipline. Molto della teologia più recente, insomma, non sempre si è sottratta all’impressione di una forte autoreferenzialità di linguaggi e di contenuti.
Per queste ragioni salutiamo convintamene l’ultima opera del teologo F. Brancato, dedicata al tema delle «realtà ultime» indagato attraverso «gli occhi» di alcuni dei maggiori filosofi italiani contemporanei. In particolare nella sua ricerca, Brancato ha scelto di porsi all’ascolto di Mario Ruggenini, Franco Rella, Emanuele Severino, Manlio Sgalambro, Umberto Galimberti, Salvatore Natoli, Sergio Givone, Luigi Pareyson, Massimo Cacciari, Gianni Vattimo e Sergio Quinzio. Ne è venuto fuori un volume molto ampio di circa cinquecento pagine, scorrevole nella lettura e ricco di riferimenti testuali alle opere degli autori indagati. Pur dedicandosi esplicitamente a rinvenire le tracce di una possibile riflessione escatologica in ciascuno dei pensatori citati, Brancato offre – e non ci pare cosa di secondario rilievo – anche una riuscita panoramica del pensiero complessivo di ciascuno dei suoi interlocutori.
Ulteriore merito dell’operazione messa in atto dall’autore è quello di aver individuato cinque paradigmi generali al cui interno far rifluire prospettive affini. Si parte così da L’eschaton tra il silenzio e le parole, in cui vengono esposti il pensiero di Ruggenini e di Rella, i quali tentano un continuo attraversamento della soglia che unisce e separa il dicibile e l’indicibile del e nell’umano; si prosegue con L’eschaton impossibile, che caratterizza il dire forte di Severino e di Sgalambro, entrambi decisi negatori della speranza cristiana, per l’uno inficiata di nichilismo, per l’altro venata da una «volgare» ingenuità che non riesce a fare i conti con la durezza del reale. Il pensiero di Galimberti e di Natoli, i quali propongono un ritorno alla saggezza greca quale antidoto sia all’attuale deriva tecnocratica dell’Occidente sia al fallimento della fede/speranza cristiana, viene collocato sotto il titolo: L’eschaton tra ultimo e penultimo; nella sezione successiva, dedicata a L’eschaton, il tragico, la lotta. Filosofia delle «cose ultime», trovano accoglienza le ardite e provocanti speculazioni di Givone, Pareyson e Cacciari, i quali con maggiore impegno e forza hanno spinto la riflessione filosofia sino ai suoi territori ultimi. L’ultimo paradigma – L’eschaton possibile – mette insieme Vattimo e Quinzio: il primo ha riscoperto la prospettiva cristiana dopo essere a lungo transitato nelle onde del suo pensiero debole, il secondo ha sempre invitato i credenti a riscoprire e a rinnovare la loro fedeltà alla parola biblica della risurrezione dei morti, che sola sostiene quella che è la verità della speranza cristiana, il suo essere «una speranza contro ogni speranza».
L’analisi che Brancato offre del pensiero «escatologico» dei filosofi italiani è sempre sorvegliata e misurata, non manca mai di far notare le riduzioni che essi compiono della fede cristiana o invece a quali provocazioni spingono una riflessione credente non negligente che voglia sul serio rendere anche nel nostro oggi ragione della speranza che il Vangelo accende nel cuore di ogni discepolo.
Il rilievo sintetico dell’analisi si appunta sulla questione della piena abitabilità umana del finito. Se in genere la filosofia italiana contemporanea sostiene e rilancia tale progetto, il teologo siciliano arroga a sé il compito di argomentare le ragioni per le quali «l’uomo supera infinitamente l’uomo» (Pascal), ragioni che trovano nella rivelazione cristiana un’efficace incastonatura.
Il moto permanente di scambio tra filosofia e teologia è, nel testo che presentiamo, infine venato da una sana «inquietudine», perché non si può «rimanere indifferenti di fronte alle numerose e spesso opportune suggestioni e provocazioni che provengono dalla letture delle loro [dei filosofi italiani] opere […], trincerati nelle proprie sicurezze, arroccati nelle proprie convinzioni assodate e apocalittiche, oppure rintanati nelle cittadelle dogmatiche resistenti a qualsiasi attacco esterno e protette da potenziali e sconvenienti incursioni esterne» (p. 457). Da qui la scommessa che forse solo una teologia che si lasci inquietare (letteralmente: mettere in ricerca) dalla filosofia sia capace di mostrare sensatamente come la speranza cristiana di una vita oltre la morte illumini quel «dilemma di essere uomini», che «accomuna credenti e non credenti, i quali, proprio perché uomini, si interrogano e si interrogheranno sino alla fine sul senso della vita e sul senso della morte» (p. 464).
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 169 (1/2009)
(http://www.credereoggi.it)
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