Né la dimensione, né l’articolazione del testo e, men che meno, l’intenzione dell’autore permettono d’ipotizzare che il libro di Gaeta voglia presentarsi come una versione, aggiornata ai primi del XXI secolo, della monumentale opera di Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù (1906; trad. it. Paideia, Brescia 1986). Il paragone sorge però spontaneo per un duplice ordine di fattori: Il Gesù moderno è un libro non su Gesù di Nazaret bensì sulle svolte fondamentali degli studi a lui dedicati negli ultimi due secoli e mezzo; in secondo luogo anche qui si riscontra la volontà d’esprimere un giudizio che dichiara infruttuosa una via solcata da molti. Naturalmente la strada non è la stessa: per Schweitzer si trattava della produzione ottocentesca di vite di Gesù, per Gaeta è soprattutto l’area – in genere connotata con l’espressione «terza ricerca» («Third Quest») – predominante nell’attuale produzione accademica.
Si tratta di due ambiti marcatamente differenti; l’autore però, non senza motivi, pare condividere il rilievo presente anche in altri studiosi (cf. ad esempio G. SEGALLA, Sulle tracce di Gesù. La «terza ricerca», Cittadella, Assisi 2006) stando al quale vi sono sottili affinità tra alcuni intendimenti della ricerca ottocentesca e quelli presenti nelle opere più recenti. Il testo propone, all’inizio, una riflessione sul recente, rinnovato interesse per la figura di Gesù. In questo contesto si avanzano, tra l’altro, giustificate critiche nei confronti di alcune scomposte reazioni confessionali alla diffusione di testi di successo (cf., in primis, C. AUGIAS, M. PESCE, Inchiesta su Gesù, Mondadori, Milano 2006). Il libro di Gaeta si sviluppa poi in maniera «classica» – sia pur molto avvertita – conformandosi alla consolidata periodizzazione della ricerca storica su Gesù. La prima tappa, estesa da Reimarus a Schweitzer, è caratterizzata dalla volontà di produrre vite di Gesù liberate da impalcature teologiche e antitetiche alle immagini dogmatiche proposte dalla Chiesa. Dopo che Schweitzer mostrò le insuperabili aporie insite in questi tentativi, irruppe sulla scena la teorizzazione di Bultmann volta a indicare l’irrilevanza del Gesù storico (peraltro irraggiungibile) per affermare il Cristo della fede.
Quest’impostazione subisce una torsione a opera di Käsemann il quale – al pari di altri allievi di Bultmann (cf. Bornkamm) – sostiene l’importanza del Gesù storico anche in relazione alle affermazioni di fede. A questo livello, dunque, la ricerca è ancora mossa da intendimenti teologici. Il punto di partenza della «terza ricerca » è convenzionalmente fatto coincidere con la pubblicazione dell’opera di E.P. Sanders, Gesù e il giudaismo (1985; trad. it. Marietti, Genova 1992; cf. Regno-att. 4,1993,126). Essa si è sviluppata specialmente in ambito nordamericano (cf. J.D. Crossan, M.J. Borg, J.P. Meier, J.H. Charlesworth). Le sue principali linee guida si trovano nell’abbandono d’ogni istanza teologica, nell’inserimento di Gesù nel giudaismo del suo tempo (cosicché piuttosto che di rottura o di novità si tende a parlare di marginalità intragiudaica – cf. J.P. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, 4 voll., Queriniana, Brescia 2001, 2002, 2003, 2009) e nell’allargamento delle fonti di riferimento sia a una copiosa serie di testi apocrifi (a iniziare dal Vangelo di Tommaso), sia a una documentazione proveniente da altre fonti culturali coeve (cf. per esempio i filosofi cinici).
Da questi punti di riferimento, in sostanza comuni, derivano, peraltro, ritratti di Gesù e del suo movimento assai differenziati e non di rado incompatibili (si veda, per esempio, il ruolo cruciale della dimensione escatologica nella vita e nella predicazione di Gesù sostenuto ancora da Sanders e negato dalla ricerca americana). Nelle annotazioni sparse qua e là per il testo, un lettore attento era già nelle condizioni d’intuire il tipo di critica che Gaeta avrebbe mosso a questa nuova impostazione. Essa si fa esplicita nel quarto e conclusivo capitolo che costituisce l’apporto più originale e significativo del libro. La prospettiva evidenziata dall’autore può ricondursi da un lato all’attenzione riservata alla forma letteraria «vangelo» e dall’altro alle motivazioni d’ordine sociale e culturale che, nel corso dei secoli, hanno presieduto al formarsi di varie immagini di Gesù, di cui quella storica non è che l’ultima. Gaeta ha dedicato molti anni della sua vita alla traduzione e alla presentazione dei quattro Vangeli canonici (ora riediti in edizione economica, I Vangeli. Marco Matteo Luca Giovanni a cura di G. Gaeta, Einaudi, Torino 2009).
Questo lungo esercizio lo ha condotto alla convinzione stando alla quale «né l’approccio antico né quello moderno hanno davvero cercato di leggere le rappresentazioni evangeliche della vicenda di Gesù iuxta propria principia, cioè secondo quel peculiare spirito della narrazione che connota la letteratura biblica» (113). Nelle presentazioni di Gesù nel corso del tempo si sono proiettati interessi e preoccupazioni che erano non già delle fonti di cui ci si serviva, ma delle società e delle culture in cui operavano i singoli studiosi. Non fa eccezione la ricerca storica contemporanea, così propensa a ricorrere alle competenze socio-antropologiche e alle precomprensioni proprie della nostra epoca (compresa la stessa idea di marginalità). Il titolo dell’ultimo paragrafo del testo è sintomatico della proposta dell’autore: «Nessuna storia, molti racconti». Intendiamoci, qui non ci si muove in una linea (fatta propria per esempio da J. MILES, Gesù. Una crisi nella vita di Dio, Garzanti, Milano 2003) secondo cui Gesù è un semplice, per quanto grandioso, personaggio letterario.
La pretesa dei racconti biblici – e qui il magistero di Auerbach resta intatto – è di muoversi nell’ambito del realismo; ciò però avviene proprio a motivo della loro intenzionalità: «Il fine religioso determina una pretesa assoluta di verità storica» (E. AUERBACH, Mimesis, vol. I, Einaudi, Torino 2000, 16). Ogni racconto evangelico è però dotato di una sua visione e di un suo messaggio che vanno compresi iuxta propria principia: «L’errore della ricerca storica su Gesù sta tutto nella forzatura esercitata sulle fonti: averle volute piegare alla funzione di testimoni, più o meno affidabili, di una personalità e della sua vicenda; laddove esse intendevano offrire ai destinatari piuttosto il significato religioso di tale personalità e vicenda, in forza di un convincimento che sottometteva a sé la realtà trasfigurata nell’immediatezza di rappresentazioni sensibili. Cercare in esse la verità storica è altrettanto fuorviante che cercare di estrarne una dottrina teologica. Sia l’una sia l’altra esigenza esprimono bisogni di razionalizzazione, in parte opposti in parte complementari. Ma allo spirito moderno appartiene anche la capacità di riconoscere la complessità, di sottrarsi agli schemi interpretativi per cogliere la realtà da una pluralità di punti di vista…» (134).
Tratto dalla Rivista Il Regno 2010 n. 16
(http://www.ilregno.it)
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