Storia e destino
(Vele)EAN 9788806177829
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DETTAGLI DI «Storia e destino»
Tipo
Libro
Titolo
Storia e destino
Autore
Aldo Schiavone
Editore
Einaudi
EAN
9788806177829
Pagine
110
Data
2007
Collana
Vele
COMMENTI DEI LETTORI A «Storia e destino»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Storia e destino»
Recensione di L. Pr. della rivista Il Regno
Un esercizio di futuro e la domanda di un nuovo umanesimo: a questo porta la lettura del volume di Aldo Schiavone, Storia e destino. Le torsioni radicali a cui ci stanno sottoponendo la globalizzazione economico-finanziaria, la comunicazione senza vincoli di spazio e tempo (Internet) e le possibilità delle tecniche biologiche e delle scienze neurali portano a indicare una soglia da attraversare, un passo decisivo: oltre la rivoluzione agricola e industriale dovremo superare «la specie, in una dimensione non più “naturale”, ma interamente “culturale” dell’umano » (68). È il passaggio da un «naturale» con sempre più massicce dosi di «artificiale», al puro «artificiale» con dosi sempre più marginali di «naturale».
Il sintetico racconto non si sottrae a guardare molto indietro: dalla «radiazione cosmica di fondo» databile a circa 300.000 anni dal big-bang (14 miliardi di anni fa) al formarsi della terra (4 miliardi di anni) all’esplosione cambriana (vita pluricellulare, 570 milioni di anni fa), dalla «fauna di Burgess» (530 milioni di anni) al punto critico fra paleozoico e mesozoico (225 milioni di anni) al distacco dei primi ominidi (8-6 milioni di anni fa), all’apparire dell’homo sapiens sapiens. Negli ultimi 40.000 anni i processi si sono ulteriormente accelerati: dalla scoperta dell’agricoltura e della metallurgia alla formidabile esplorazione dell’interiorità dell’uomo (con l’esercizio della politica, del diritto, del monoteismo, dell’arte). Poi ancora l’accelerazione dell’Occidente durante il Medioevo, le conquiste dell’umanesimo, la rivoluzione industriale e l’attuale esplosione della tecnica.
Stiamo assistendo al venire meno di due paradigmi fondamentali: la distinzione fra naturale e artificiale e la polarità corpo-mente.
Negli ultimi secoli la natura come «palcoscenico dell’immutabile» ha lasciato sempre più terreno e spazio all’artificiale, al peso antropico. Confermando che «nella storia della vita non si esprimono altre “leggi” (volendo continuare a servirsi di questa metafora inadeguata), se non quelle intrinseche alle trasformazioni evolutive» (60). «Le basi naturali della nostra esistenza smetteranno presto di essere un presupposto immodificabile dell’agire umano, e diventeranno un risultato storicamente determinato dalla nostra cultura» (55). Facile prevedere la relativizzazione del corpo, la diversa concezione del nascere e del morire, della sessualità, della famiglia e del rapporto fra i sessi. Un passaggio strepitoso che vede la radicale insufficienza della politica e della morale. Nell’antichità classica la cultura fece un balzo straordinario, ma non venne adeguatamente supportata dalla tecnica; ora succede l’inverso, la tecnica trascina una cultura senza forza sufficiente.
Ciò di cui abbiamo bisogno è un nuovo umanesimo, che non si opponga, ma che interpreti il passaggio. Con la possibilità di un’inedita alleanza tra forze culturali e storiche consapevoli e le fedi, in particolare il cristianesimo, che è parte non secondaria di questa storia. Il testo apre con il commento ai due racconti di creazione dell’uomo della Genesi e del Timeo di Platone, rimarcando la convergenza, provata dal processo evolutivo, della centralità dell’uomo, ma con la presenza del dramma in Genesi rispetto alla serenità del Timeo.
L’ipotesi suggestiva dell’autore, erede della tradizione laica, apre significativi spazi all’interpretazione di fede. Non certo all’interno del processo evolutivo, ma nell’interpretazione spirituale dello stesso. Limitandosi ad annotare la singolare convergenza di molti passaggi verso la centralità dell’uomo e la misteriosità di alcuni scatti storici e accelerazioni imprevedibili. Ma il confronto è appena avviato: non sembra sufficiente attribuire alla resistenza della Chiesa verso l’estendersi delle biotecnologie al puro senso del potere dell’istituzione, né si può saltare la centralità del corpo di carne di Gesù, né coprire le derive ideologiche (e spesso impotenti) di un consenso al processo in atto. Ma l’idea che l’«essere a sua immagine e somiglianza» (cf. Gen 1,26-27) possa essere declinato non solo al passato, ma anche al futuro, al compimento del riscatto dell’uomo dai suoi vincoli naturali può divenire un criterio fondamentale di quell’umanesimo di cui molti sentono l’esigenza impellente.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 2
(http://www.ilregno.it)
Il sintetico racconto non si sottrae a guardare molto indietro: dalla «radiazione cosmica di fondo» databile a circa 300.000 anni dal big-bang (14 miliardi di anni fa) al formarsi della terra (4 miliardi di anni) all’esplosione cambriana (vita pluricellulare, 570 milioni di anni fa), dalla «fauna di Burgess» (530 milioni di anni) al punto critico fra paleozoico e mesozoico (225 milioni di anni) al distacco dei primi ominidi (8-6 milioni di anni fa), all’apparire dell’homo sapiens sapiens. Negli ultimi 40.000 anni i processi si sono ulteriormente accelerati: dalla scoperta dell’agricoltura e della metallurgia alla formidabile esplorazione dell’interiorità dell’uomo (con l’esercizio della politica, del diritto, del monoteismo, dell’arte). Poi ancora l’accelerazione dell’Occidente durante il Medioevo, le conquiste dell’umanesimo, la rivoluzione industriale e l’attuale esplosione della tecnica.
Stiamo assistendo al venire meno di due paradigmi fondamentali: la distinzione fra naturale e artificiale e la polarità corpo-mente.
Negli ultimi secoli la natura come «palcoscenico dell’immutabile» ha lasciato sempre più terreno e spazio all’artificiale, al peso antropico. Confermando che «nella storia della vita non si esprimono altre “leggi” (volendo continuare a servirsi di questa metafora inadeguata), se non quelle intrinseche alle trasformazioni evolutive» (60). «Le basi naturali della nostra esistenza smetteranno presto di essere un presupposto immodificabile dell’agire umano, e diventeranno un risultato storicamente determinato dalla nostra cultura» (55). Facile prevedere la relativizzazione del corpo, la diversa concezione del nascere e del morire, della sessualità, della famiglia e del rapporto fra i sessi. Un passaggio strepitoso che vede la radicale insufficienza della politica e della morale. Nell’antichità classica la cultura fece un balzo straordinario, ma non venne adeguatamente supportata dalla tecnica; ora succede l’inverso, la tecnica trascina una cultura senza forza sufficiente.
Ciò di cui abbiamo bisogno è un nuovo umanesimo, che non si opponga, ma che interpreti il passaggio. Con la possibilità di un’inedita alleanza tra forze culturali e storiche consapevoli e le fedi, in particolare il cristianesimo, che è parte non secondaria di questa storia. Il testo apre con il commento ai due racconti di creazione dell’uomo della Genesi e del Timeo di Platone, rimarcando la convergenza, provata dal processo evolutivo, della centralità dell’uomo, ma con la presenza del dramma in Genesi rispetto alla serenità del Timeo.
L’ipotesi suggestiva dell’autore, erede della tradizione laica, apre significativi spazi all’interpretazione di fede. Non certo all’interno del processo evolutivo, ma nell’interpretazione spirituale dello stesso. Limitandosi ad annotare la singolare convergenza di molti passaggi verso la centralità dell’uomo e la misteriosità di alcuni scatti storici e accelerazioni imprevedibili. Ma il confronto è appena avviato: non sembra sufficiente attribuire alla resistenza della Chiesa verso l’estendersi delle biotecnologie al puro senso del potere dell’istituzione, né si può saltare la centralità del corpo di carne di Gesù, né coprire le derive ideologiche (e spesso impotenti) di un consenso al processo in atto. Ma l’idea che l’«essere a sua immagine e somiglianza» (cf. Gen 1,26-27) possa essere declinato non solo al passato, ma anche al futuro, al compimento del riscatto dell’uomo dai suoi vincoli naturali può divenire un criterio fondamentale di quell’umanesimo di cui molti sentono l’esigenza impellente.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 2
(http://www.ilregno.it)
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