La precarietà del presente e l'incertezza del futuro, la miseria materiale e morale che sta contagiando le società occidentali, la solitudine di giovani e anziani, la freddezza e la distanza che inaridiscono il rapporto fra le persone, il ruolo diseducativo dei mass media. In queste omelie pronunciate negli anni precedenti l'elezione al soglio pontificio, papa Francesco affronta le questioni più scottanti del nostro tempo, in un confronto illuminante con la parola di Dio che sorprende per attualità e originalità di interpretazioni e prospettive. Bergoglio pensa a un rinnovamento della missione sacerdotale secondo lo spirito evangelico della "prossimità" agli ultimi, e ridefinisce la "maturità umana e cristiana" nella capacità di vivere il tempo come memoria, visione e attesa, superando la "cultura dell'immediato" che priva l'uomo di orizzonti di speranza. Un obiettivo che presuppone alcuni decisivi cambiamenti di rotta. Tra i più urgenti, la ricostruzione del legame sociale tra emarginati e classi privilegiate, ma anche tra generazioni, basata su quella che definisce un'"etica del servizio": chinarsi al bisogno dell'altro e scoprirlo come fratello. Con un linguaggio vivido e diretto, Bergoglio invita a riscoprire la gioia del cristianesimo oltre la tristezza che opprime lo spirito del mondo, la bellezza della verità oltre la sua ortodossia, la festa dell'incontro quotidiano con Gesù, che troviamo là dove nessuno più lo cerca: nei volti e nelle aspirazioni dei poveri, dei prigionieri, degli oppressi.
PRESENTAZIONE
di Giuliano Vigini
Ciò che colpisce innanzitutto nelle omelie pronunciate dal cardinal Bergoglio al tempo del suo ministero di arcivescovo di Buenos Aires è constatare come il papa di oggi sia tutto già qui. A leggere queste pagine, infatti, si avverte immediatamente che le parole, i gesti e i temi che si sono imposti in questo primo scorcio di pontificato del vescovo di Roma si pongono in un'assoluta linea di continuità con lo spirito, gli obiettivi e il metodo che hanno caratterizzato gli anni di Bergoglio alla guida della sua diocesi. Egli continua di fatto, da pontefice, a essere e ad agire come quando era a Buenos Aires, e anche se adesso gli orizzonti, le responsabilità e i problemi sono più grandi, l'idea di Chiesa e, prima ancora, il modo nuovo di «essere Chiesa» che papa Francesco vuole affermare sono gli stessi di allora. Così, se l'originalità dei contenuti, la saporosità del linguaggio, l'immediatezza dell'approccio comunicativo colpiscono perché portano una freschezza insolita nell'abituale standard della predicazione, l'importanza primaria di queste omelie risiede appunto nel fatto che esse disegnano già le traiettorie del cammino spirituale e pastorale della Chiesa di oggi.
Questo cammino ha naturalmente come punto di partenza e meta d'arrivo Gesù Cristo, la stella fissa che illumina le strade dell'uomo, spalancando davanti ai suoi passi l'orizzonte di una speranza che non delude, perché non si tratta di un concetto metafisico, astratto o dogmatico, bensì di una speranza incarnata: il Dio che si fa uomo e assume su di sé tutto il peso della caducità degli uomini. È appunto questa la speranza che libera e salva, nel segno del Cristo crocifisso, morto e risorto.
Il cuore della meditazione di Bergoglio ruota appunto intorno a questa speranza, e alla gioia tutta pasquale che da essa promana: sta qui, in fondo, l'essenza dell'annuncio e della testimonianza da portare al mondo come «buona notizia». Non però mediante una parola che si specchia in se stessa, ma che esce da sé e diventa gesto d'incontro, condivisione e servizio alla gente. E ciò corrisponde al modo in cui il vescovo ha sempre concepito il proprio ministero: quello di essere in primo luogo — per usare le parole di Giovanni Paolo II — «il sacramento della strada». Ossia il ministero di chi non resta tra le proprie mura e aspetta, ma si mette in cammino, andando incontro al popolo affidato alle sue cure, condividendone le fatiche e le speranze, annunciando e testimoniando il Vangelo di sempre nell'oggi dell'uomo. Questo all'interno di una visione complessiva, che non guarda soltanto alla realtà del paese in cui il vescovo vive e al quale rivolge continui appelli perché si impegni a superare le barriere delle divisioni e dei conflitti, della frammentazione, dell'indifferenza e dell'egoismo utilitaristico e avvii processi virtuosi di fraternità e unità, di solidarietà e pace. In realtà, la sua parola — ed è un tratto caratteristico della predicazione di Bergoglio — si apre a tutto lo scenario dei problemi e delle sfide che il mondo contemporaneo pone alla Chiesa e alla società, perseguendo in questo un progetto ecclesiale e formativo globale che, nel porre in modo dinamico e creativo l'obiettivo di come diventare adulti in Cristo, indica anche le tappe per raggiungere la pienezza della propria maturità di uomini, nella libertà, nella responsabilità e nell'amore.
Ci sono a tal fine mentalità e atteggiamenti che occorre rimuovere per entrare in una diversa logica della convivenza umana. E Bergoglio li denuncia con lucidità e franchezza, spesso anche con parole dure e forti, veri e propri pugni nello stomaco della coscienza cristiana. Ci si è assuefatti ad esempip, e si partecipa più che si può, all'insaziabile voracità del potere e del denaro; si è metabolizzata l'idea che, nella società di oggi, esistono processi economici e sociali ormai irreversibili e immodificabili nelle loro ferree regole di mercato. Si resta passivi o indifferenti, o si fa poco, contro la xenofobia, i pregiudizi sociali, lo sfruttamento, la tratta delle persone, l'espropriazione dei diritti degli ultimi (dai poveri ai migranti). Così, sulla base di queste mentalità e atteggiamenti diffusi, spesso la realtà delle persone non solo viene scavalcata, ma resa irriconoscibile, perché quello che conta alla fine è soltanto ciò che si produce, realizza, guadagna: per sé. Costi quel che costi: per gli altri.
Dunque, come cambiare prospettiva e improntare l'esistenza individuale e lo sviluppo sociale in termini di fraternità e solidarietà, cercando cioè di guarire dalle patologie pervasi-ve del «mercato» e inserire il «dono» e il «servizio» come cifra ispiratrice del bene comune e stile personale di vita? Problemi che vengono affrontati in dettaglio nelle omelie, per sollecitare poi a una seria presa di coscienza individuale e collettiva, capace di generare quel «supplemento di anima», come avrebbe detto Bergson, che trasforma la società in un mondo più giusto e fraterno, realmente fatto per l'uomo.
Tutto può cominciare, però, se prima si esce dalla mediocrità di una vita abitudinaria, comoda e autoreferenziale, e si entra nell'ottica del «servizio», che per tutti e tanto più per i cristiani — sottolinea Bergoglio — non è un semplice impegno morale o una forma di volontariato da esercitare nel tempo libero, ma un atto di fedeltà a ciò che costitutivamente si è, e quindi un atto che corrisponde all'esigenza di amare totalmente, fino in fondo. Le sofferenze e le miserie di troppe persone sono davanti agli occhi. E questo vale per il suo popolo, al quale direttamente si rivolge, per i popoli latino-americani e per le società occidentali, dove si accentuano e aggravano fenomeni e situazioni di povertà ed emarginazione.
L'ostacolo che impedisce di guardare a questi drammi della povertà e dell'indifferenza che affliggono il mondo è la non-volontà di mettersi umilmente alla scuola di Gesù, per imparare la sua grammatica dell'amore, senza la quale si resta sempre all'alfabeto della vita. Alla fine, infatti, tutto si risolve nella capacità di amare, senza riserve e senza chiedere nulla in cambio. E anche su questo punto l'autore svolge meditazioni significative e ad ampio raggio, aiutando a scoprire in profondità il significato di questo amore che, pur essendo il traguardo e il cammino di ogni esistenza umana, sembra a volte inafferrabile come le capriole dei fantasmi. In realtà, se la vita è costitutivamente orientata all'amore e anzi si realizza soltanto attraverso di esso, perché si fa tanta fatica a trovarlo e a conservarlo?
La risposta è apparentemente semplice: perché la conquista dell'amore, visto nei suoi fondamenti religiosi, etici e umani e nella complessità delle sue relazioni individuali e sociali, è un lento quanto faticoso processo di trasformazione e crescita dell'intera persona. Perciò questo processo, nel lavorio interiore che comporta tappa per tappa, rappresenta un'autentica avventura, che però è necessario correre, se si vuol davvero imparare ad amare e quindi realizzare se stessi, diventando più liberi e responsabili, consapevoli di ciò che si è e del destino a cui si è chiamati.
Chi si sforza di perfezionarsi, progredire in Dio e rimanere nel suo amore, guardando a Cristo come modello, cammina nella direzione giusta e non si ferma più, perché - come insegna sant'Agostino nel suo commento ai Salmi (104,3) - «nella misura in cui cresce l'amore, cresce la ricerca di Colui che è stato trovato» (Amore crescente, inquisitio crescat inventi). Questo vuol dire che la ricerca di Dio non si conclude con la scoperta, ma riparte e s'intensifica in proporzione all'amore, che in Gesù Cristo, venuto a mettere la sua tenda tra gli uomini, ha preso un volto, si è manifestato, ha agito. E continua ad agire, così che possa crescere, nella Chiesa e nella società, una comunità che vive d'amore e porta la vita che nasce dall'amore. Amando Dio, infatti, si impara di riflesso anche ad amare gli altri, in famiglia e nella società, ossia ad applicare con generosità e letizia, attraverso opere di carità e misericordia, l'amore del prossimo, «il più grande e il primo dei comandamenti» (Mt 22,38).
Questo «comandamento nuovo» (Gv 13,34; I Gv 2,7-8; 2Gv 1,5) si trova al centro della predicazione di Gesù, dove l'amore di Dio e l'amore del prossimo si congiungono in unità profonda, ponendosi anche al centro della Legge, perché l'amore ne diventa il vero cuore e la vera «pienezza» (Rm 13,10). Il culto gradito a Dio non sono i riti e le cerimonie in sé, che restano sterili e separati dalla vita, bensì il culto che dall'incontro con Lui si trasforma in offerta d'amore. Nella vita personale e comunitaria, dunque, ciò che conta e distingue la propria appartenenza a Cristo è il programma che si mette in atto nel rendere fecondo e dinamico l'amore del prossimo. La parabola del buon samaritano - così frequentemente evocata da Bergoglio - è, in questo senso, esemplare di un atteggiamento di generosità e apertura all'altro. Il samaritano (Lc 10,25-37) sfida le convenzioni religiose, culturali o sociali; non si chiude nella propria comunità di appartenenza o nel proprio gruppo religioso; non si pone e non fa domande teoriche: il suo «prossimo» - la persona concreta da amare - gli è lì davanti e lui lo «vede». Questo è anche il segno di riconoscimento dei discepoli di Cristo (Gv 13,35), chiamati a «farsi prossimo» e ad amare il prossimo come se stessi (Mt 22,39; Mc 12,31.33).
Nei confronti dei sacerdoti le parole di Bergoglio si fanno ancora più incalzanti, nel richiamare loro l'immagine che ritiene più conforme all'ideale sacerdotale: quella del «buon Pastore», che non solo va incontro alle pecore del suo gregge, ma sceglie di mescolarsi a esse, assumendone - come anche qui ama dire - il loro «odore». L'unzione sacerdotale («Siamo nati per ungere») vale nella misura in cui non serve per profumare se stessi o per essere conservata in un'ampolla, ma per profumare con olio di gioia, tenerezza e speranza i fratelli che la chiedono ai sacerdoti, che a loro volta la ricevono da Cristo. Questo è il primo impegno pastorale che il vescovo pone come obiettivo a se stesso e ai propri sacerdoti, esortati a pregare, a meditare la parola di Dio, a nutrirsi del pane eucaristico e a spezzarlo con tutti quanti hanno fame di questo pane della vita e della speranza, come q ti i viene definito («L'incontro che dà inizio al cammino»).
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
La gioia di ogni giorno
I fondamenti della maturità umana e cristiana
Un altro dei numerosi temi ricorrenti in queste omelie e tratto distintivo del pontificato di papa Francesco è la misericordia. La quale, si tiene a precisare, non è uno dei tanti attributi di Dio, ma la peculiarità primaria del suo modo di incontrarsi con l'uomo. La misericordia si associa al perdono, alla pazienza e alla magnanimità di Dio, per il quale nessuno è abbastanza lontano da Lui da non poter essere abbracciato dalla sua misericordia. Sapere che non c'è colpa abbastanza grande da non poter essere perdonata da Dio diventa motivo di conforto, speranza e coraggio ad andare avanti. E se così è Dio, devono esserlo anche i sacerdoti, chiamati a essere non intermediari o funzionari, ma miti, umili e paterni mediatori — e perciò anche fecondi intercessori — tra Dio e gli uomini. Nel predicare la verità del Vangelo, essi hanno dunque anche questo compito: di annunciare la gioia, la bellezza e la fecondità della fede che si colloca in questo orizzonte di misericordia. Non quindi una verità «fredda e perfino spietata e superba», ma animata da quella letizia («La tristezza è un male proprio dello spirito del mondo») e da quel lievito di misericordia che sono il segno dello Spirito che agisce e rinnova i cuori.
Come si vede, il magistero di papa Francesco trova già qui le sue radici. Queste omelie sono dunque una traccia preziosa per riconoscere la via maestra su cui oggi il nuovo pontefice sta indirizzando la Chiesa.
Ancora una volta la festa centrale di tutti i cristiani costituisce l'occasione per riflettere sul compito che ci riunisce qui. Cerchiamo di tastare il polso dei tempi in cui viviamo, e di capire come possiamo rifondare la nostra esperienza spirituale in modo che dia una risposta sicura agli interrogativi, alle angosce e alle speranze della nostra epoca.
Si tratta di uno sforzo davvero imprescindibile. Anzitutto, per cominciare da ciò che è più evidente, perché ci troviamo immersi in una situazione nella quale vediamo con chiarezza sempre maggiore le conseguenze degli errori che abbiamo commesso, e le esigenze avanzate dalla realtà del nostro popolo. Abbiamo la sensazione che la Provvidenza abbia voluto darci una nuova opportunità per costituirci in una comunità autenticamente giusta e solidale, in cui tutte le persone siano rispettate nella loro dignità e incoraggiate nella loro libertà, affinché possano realizzare il proprio destino di figlie e figli di Dio.
Questa opportunità è al tempo stesso una sfida. Nelle nostre mani abbiamo una responsabilità immensa, che consegue proprio dalla necessità di non sprecare la possibilità che ci viene offerta. Non c'è bisogno di rimarcare che a voi, cari educatori, tocca una parte molto importante di questo compito.