Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno
(Oscar storia)EAN 9788804589471
«Prendere la Costituzione dei Gesuiti e sostituire “Religione Cattolica Romana” con “Impero Inglese”». Questo, nel 1888, il progetto che Cecil Rhodes, uno dei più spregiudicati colonialisti inglesi, da cui prese nome il territorio della Rhodesia, sottoponeva al suo intimo amico Lord Rothschild: poche parole che compendiano lo spirito con il quale l’Inghilterra si poneva nei confronti del resto del mondo.
Iniziata tre secoli prima quasi per caso, come un attacco alle fonti della ricchezza del principale Regno europeo, la Spagna, l’avventura coloniale inglese si trasformò da pirateria autorizzata (da Drake a Morgan) in colonizzazione che cercava, a seconda dello spirito dei vari governatori, di trovare un’intesa pacifica per convivere con le popolazioni locali, oppure un cinico tentativo di sfruttamento delle risorse.
Numerosi sono i motivi che portarono una nazione relativamente piccola e poco numerosa a dominare su quasi un quarto del mondo, imponendo la propria cultura e lasciandosi a sua volta influenzare dai costumi esotici: pensiamo solo al tè cinese ed allo zucchero della Guyana, giunti in Inghilterra in quantità industriale (e quindi a costo abbordabile da parte di chiunque), che modificarono in meglio le abitudini alimentari della popolazione, apportando un maggior valore energetico.
D’altro canto, al di là della vuota retorica anticoloniale degli ultimi tempi, è indubitabile che lo sviluppo portato in zone tecnicamente e socialmente arretrate, abbia grandemente contribuito alla crescita dei Paesi attualmente emergenti.
Niall Ferguson, docente di Storia Moderna e Storia Economica presso prestigiose università statunitensi, nonché commentatore su numerosi giornali (dal Wall Street Journal al Corriere della Sera), non dimentica né le proprie origini scozzesi né il fatto che, grazie alla politica coloniale inglese, ha parenti dislocati dal Canada all’Australia. La sua disamina della nascita del Commonwealth non nasconde i crimini di cui l’Inghilterra si è macchiata nel realizzarlo: dalla brutale discriminazione nei confronti degli irlandesi alla ferocia con cui venne condotta la guerra anglo-boera (che vide la nascita dei primi “lager” della storia), dall’istituzionalizzazione dello schiavismo di fatto (ma per un periodo di tempo limitato) per gli emigranti anglosassoni che non avevano la possibilità di pagarsi il costoso biglietto per un viaggio che poteva durare mesi fino alla sottomissione delle popolazioni locali.
La Corona inglese indubbiamente seppe consolidare i rapporti con le proprie colonie anche perché fu lo Stato europeo che investì maggiormente nei territori d’oltre mare, mentre le altre nazioni preferivano concentrarsi sul tentativo di raggiungere la supremazia continentale.
E se vent’anni fa Edward Luttwak con il saggio La grande strategia dell’impero romano sembrava voler indicare agli USA la maniera di mantenere un impero, Ferguson è addirittura esplicito nel suggerire agli Stati Uniti di seguire l’esempio della Corona britannica nei rapporti con il resto del mondo: non più solamente guerra agli “Stati canaglia”, ma una politica di scambi commerciali e culturali che permettano di realizzare un impero che la mentalità politicamente corretta impedisce di definire neocolonialista, ma che potrebbe essere la soluzione al tentativo non di “globalizzare”, ma di “occidentalizzare” il mondo.
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 35 - Giugno 2008