Outlet Italia. Viaggio nel paese in svendita
(Frecce)EAN 9788804572664
Molti anni fa il medievista Jacques Le Goff sintetizzò efficacemente il passaggio dalla mentalità religiosa medievale a quella mercantile moderna con il memorabile titolo di un suo saggio, Dal tempo della Chiesa al tempo del mercante: la giornata della vita civile, anziché essere scandita dal suono delle campane che segnavano le Ore (Prima, Terza, Sesta, Nona, etc.), seguiva i tempi dell’apertura e della chiusura delle attività economiche.
A leggere il pamphlet di Cazzullo si potrebbe dire che il passaggio dal mondo contemporaneo a quello postmoderno possa essere individuato nello spostamento del luogo tradizionale di ritrovo dalle piazze cittadine (che già avevano sostituito i sagrati) ai centri commerciali: sembra infatti che una nuova moda (ma il termine è sicuramente restrittivo, trattandosi di un trend duraturo) faccia degli ipermercati il centro di una vita “asociale”, come la piazza era stata quello della vita sociale per l’intera nostra civiltà, dall’agorà greca al foro romano, dal sagrato medievale alla piazza presente al centro di qualsiasi nostro paese, per piccolo che esso fosse.
Il nuovo millennio si presenta con la crescita, su tutto il territorio nazionale, di veri e propri “paesi” fatti di negozi: centri commerciali denominati – con anglicismo che denota nel contempo “modernità” e distacco dalla cultura tradizionale – outlet, termine che significa “vendita a basso costo”, ma anche “svendita” nel senso deteriore del termine.
Così crescono come funghi outlet specializzati: dedicate alle scarpe piuttosto che agli occhiali, all’abbigliamento piuttosto che alla musica da balera. Il sociologo Marc Augé li definiva “non-luoghi”: a differenza delle piazze dei paesi e delle città, carichi di storia, per quanto limitata e locale possa essere, vissute quotidianamente, centro fisico prima che culturale di ogni località, i “non-luoghi” si caratterizzano per essere privi di storia, costruiti come sono lontano dal centro abitato (devono essere raggiungibili in automobile, anche per agevolare spese pesanti in tutti i sensi, e necessitano quindi di un parcheggio adeguato) e, per attirare il maggior numero di clienti, forniti di tutti i servizi possibili, dallo sportello bancario al posto di ristoro, possibilmente appartenenti (come tutti i negozi dell’outlet) ad una grande catena internazionale.
L’outlet si presenta quindi – di fatto – come la fiera che un tempo si accampava all’esterno degli spazi cittadini: con la fondamentale differenza che una volta le giostre erano itineranti e – di conseguenza – erano destinate prima o poi ad essere smontate, mentre gli attuali centri commerciali si presentano come stabili e duraturi, almeno in quanto ad elementi architettonici.
Ma il termine outlet, inteso come svendita (in senso deleterio) più che saldo (in senso meramente economico) viene da Cazzullo inteso in maniera lata ed affibbiato a tutta l’attuale cultura italiana: preda dell’effimero, dalla politica all’arte, dalla televisione allo sfruttamento commerciale della religiosità popolare, l’Italia stessa sembra un Paese in svendita, senza prospettiva perché senza passato, dimenticato o ripudiato dalle attuali generazioni: un’intera nazione che ha abbandonato il proprio centro naturale, la propria “piazza”, costituita dalla propria tradizione culturale, per spostarsi in un “centro commerciale” senza storia, dove tutte le novità sono messe sullo stesso piano, offerte senza creare una seria possibilità di selezione: si tratti di un paio di pantaloni o di una fede religiosa (le 13.000 sette censite pochi anni fa o il giro miliardario dei “maghi” e cartomanti ne sono testimonianza).
Il ritratto della nostra nazione è impietoso, anche se tra le righe si intravede una soluzione, presente nella rivalutazione della cultura tradizionale, nel ritorno, se non addirittura al “tempo della Chiesa”, almeno a quello della “piazza” o del “sagrato”.
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 36 - Luglio 2008
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