Parallelamente al processo di standardizzazione dell’informazione economico-finanziaria ed al conseguentemente dibattito sulle ripercussioni – in termini di utilità della comunicazione d’azienda e di efficienza dei mercati – generate dalla regolamentazione contabile, il mondo accademico e le principali autorità di vigilanza dei mercati mobiliari hanno costantemente indagato sul frequente utilizzo da parte delle aziende di indicatori di performance Non-GAAP (noti anche con l’espressione “indicatori alternativi di performance” – APM), analizzandone la natura e le principali determinanti e misurando, nel contempo, l’impatto esercitato da una simile disclosure sulle decisioni prese dalle diverse categorie di stakeholder.Non di rado, infatti, a corredo dell’informativa obbligatoria e dei relativi indicatori periodici di risultato, le aziende presentano volontariamente numerosi parametri – di natura reddituale, patrimoniale e finanziaria – che, apportando significative modifiche ai principali aggregati di bilancio, offrono misure di performance alternative (delle volte persino contrastanti) rispetto ai risultati raggiunti in seguito all’applicazione dei principi contabili di generale accettazione. Attraverso il calcolo di margini intermedi non previsti dagli schemi di bilancio o mediante l’integrazione/sottrazione di componenti di reddito alle singole voci già iscritte nel conto economico dell’esercizio è possibile infatti adattare lo standard contabile alle peculiarità aziendali (riconducibili, ad esempio, al modello di business adottato o a contingenze esogene che possono aver provocato il verificarsi di eventi non ricorrenti), al fine di presentare un quadro fedele in merito allo stock patrimoniale ed ai flussi reddituali e finanziari.La produzione di indicatori Non-GAAP potrebbe rappresentare, dunque, la risposta ad una esplicita domanda di informazioni economico-finanziarie in grado di ridurre le asimmetrie informative tra i diversi operatori di mercato, sia ex-ante (precedenti, cioè, all’effettivo trasferimento di risorse da parte degli outsider in azienda) sia ex-post (caratterizzanti il rapporto tra corporate controller ed azionisti/creditori successivamente all’instaurarsi della relazione). In altri termini, attraverso la divulgazione di indicatori economico-finanziari costruiti ad hoc in risposta alle peculiarità degli istituti aziendali ed alle esigenze informative delle diverse categorie di capital provider, gli amministratori possono trasferire – in modo efficace ed efficiente – informazioni private ai mercati, favorendo non solo una più precisa previsione dei flussi di cassa attesi e del rischio associato a ciascun progetto di investimento, ma anche un controllo in itinere circa l’impiego delle risorse trasferite in azienda (information hypothesis). Tuttavia, se – da un lato – la costruzione di indicatori Non-GAAP può favorire una rappresentazione della performance periodica più attinente alle specificità aziendali e, pertanto, più vicina alle esigenze conoscitive dei diversi stakeholder, – dall’altro lato – l’assoluta discrezionalità di cui il corporate controller può disporre nella determinazione e successiva comunicazione di simili parametri minaccia l’attendibilità e la comparabilità nello spazio e nel tempo dei risultati, offuscando l’utilità dell’informazione trasmessa. Inoltre, non può certo escludersi un intento opportunistico da parte del management nella divulgazione di risultati Non-GAAP, la cui costruzione potrebbe rispondere unicamente alla volontà di raggiungere dei risultati predeterminati al solo fine di soddisfare o battere le attese degli operatori di mercato (benchmark beating) o le condizioni contrattualmente definite con azionisti (in caso di schemi retributivi basati su dati contabili) e terzi finanziatori (in presenza, ad esempio, di accounting based covenant associati ad operazioni di finanziamento) (opportunistic hypothesis).Sebbene l’utilizzo da parte delle aziende di indicatori alternativi di performance ad integrazione dei risultati determinati sulla base dei principi contabili di generale accettazione sia un fenomeno ampiamente diffuso e certamente di non recente manifestazione (si pensi che già nel 1973, con l’emanazione della Release n. 142, la S.E.C. sottolineava i rischi legati alla crescente diffusione di parametri Non-GAAP), è tuttavia indubbio che la rilevanza del tema analizzato in questa sede ha assunto un significativo peso soprattutto nel corso degli ultimi quindici anni, con una crescente utilizzo di parametri Non-GAAP sia dal lato dell’offerta delle informazioni (imprese, database professionali) sia da quello della domanda (analisti finanziari, consulenti manageriali, agenzie di controllo della performance di aziende operanti in settori regolamentati). In particolare, dopo una prima espansione del fenomeno all’inizio del nuovo secolo – con un frequente utilizzo di indicatori Non-GAAP soprattutto da parte delle nuove aziende “dot-com” – nel corso dell’ultimo quinquennio è stato rilevato un nuovo incremento nell’impiego di indicatori economici-patrimoniali-finanziari alternativi ai dati di bilancio. Tuttavia, al contrario di quanto avvenuto in passato, la nuova diffusione dei parametri Non-GAAP si è significativamente estesa oltre i confini delle aziende operanti nel settore tecnologico (mostrando così una maggiore rilevanza rispetto al passato), è stata caratterizzata dalla costruzione di indicatori sempre più specifici rispetto alle singole realtà aziendali (riducendo ulteriormente il grado di verificabilità e comparabilità nello spazio e nel tempo dei valori coinvolti) ed è avvenuta in presenza delle nuove direttive divulgate nel frattempo dalle autorità di vigilanza dei mercati (testimoniando, in tal modo, la scarsa efficacia delle strade perseguite sino ad ora dal regolatore).I timori connessi ad un indebolimento nella comparabilità inter– ed intra-aziendale dei risultati conseguiti e ad un possibile uso opportunistico delle informazioni Non-GAAP hanno, dunque, più volte indotto le autorità di vigilanza – nazionali ed internazionali – ad intervenire sulla disclosure in oggetto, al fine di mitigare i risvolti negativi sull’efficienza dei mercati e possibili fenomeni di mispricing. Innanzitutto la S.E.C. che – a fronte di un crescente utilizzo di parametri Non-GAAP nei prospetti di rendicontazione periodica –, ad integrazione e parziale correzione dei regolamenti pubblicati nei primi anni del Duemila, ha emanato nel maggio del 2016 una versione aggiornata del documento Compliance and Disclosure Interpretations (C&DIs), indicando le linee guida per una chiara e trasparente comunicazione di indicatori di performance alternativi alle indicazioni dei principi contabili nazionali. Quindi, le agenzie europee (E.S.M.A.) ed internazionali (I.O.S.C.O.) che, rispettivamente, nel mese di ottobre del 2015 e giugno del 2016 hanno divulgato i loro orientamenti in tema di disclosure sugli integratori alternativi di performance.Non solo le autorità di vigilanza dei mercati mobiliari, ma anche i principali standard setter hanno recentemente manifestato la volontà di regolamentare le informazioni sugli indicatori alternativi di performance. Dalla fine del 2016, l’International Accounting Standard Board (IASB) ha intrapreso, infatti, un nuovo progetto di ricerca – ancora nelle fasi iniziali – denominato Disclosure Initiative. Concentrando l’attenzione prevalentemente sui flussi reddituali d’azienda, lo IASB si è interrogato sulla possibilità di integrare la Non-GAAP disclosure e, soprattutto, di proporre un nuovo prospetto di conto economico che, al contrario di quanto previsto sinora, richieda (o permetta) – attraverso la creazione di differenti aree gestionali – di esibire risultati economici parziali, regolamentando così il contenuto di indicatori di performance alternativi (quali l’EBITDA, l’EBIT, l’operating profit o l’income before non-recurring items) sinora non sottoposti ad alcuna forma di standardizzazione contabile da parte dell’organismo internazionale. Un analogo progetto (denominato Financial Performance Reporting) è stato contestualmente avviato dallo standard setter statunitense (FASB).I numerosi e recenti interventi delle autorità di vigilanza e dei principali organismi contabili testimoniano l’importanza e l’attualità del tema esaminato nel presente lavoro e la necessità, dunque, di approfondire teoricamente ed empiricamente le ragioni e le conseguenze economiche della disclosure sugli indicatori Non-GAAP.Pertanto, dopo aver brevemente analizzato – seguendo i consolidati modelli economici riconducibili al filone dell’information economics – il ruolo della comunicazione economico-finanziaria d’azienda in mercati imperfetti ed incompleti e le ragioni che inducono ad una sua regolamentazione (Capitolo 1), il presente lavoro – attraverso una dettagliata analisi delle letteratura scientifica – si soffermerà sull’utilizzo degli indicatori di performance Non-GAAP da parte delle aziende, esaminandone l’effettivo impatto sulla comparabilità dei bilanci e ripercorrendo le principali evidenze empiriche volte ad investigarne sia la funzione informativa per gli stakeholder sia la possibile natura meramente opportunistica (Capitolo 2).Il Capitolo 3 sarà rivolto, quindi, ad un’analisi degli interventi regolamentativi attuati, nel tempo, dai principali organi di controllo dei mercati nazionali e sovranazionali. Attraverso la lettura delle disposizioni pubblicate nel corso degli ultimi quindici anni, si descriverà la natura dei provvedimenti emanati dalle autorità di vigilanza, comprendendo le ragioni alla base della loro pubblicazione ed il potenziale impatto esercitato sulla qualità della comunicazione d’azienda e, conseguentemente, sull’efficienza dei mercati.Concentrando, poi, l’attenzione sul contesto italiano – anche alla luce delle disposizioni emanate dagli organi di vigilanza competenti – il Capitolo 4 svilupperà uno studio empirico in merito all’utilizzo di indicatori Non-GAAP da parte di alcune di aziende quotate presso la borsa valori di Milano. L’analisi dei bilanci – attraverso la metodologia della multiple-case study analysis – consentirà di osservare, innanzitutto, la natura delle principali misure di performance alternative divulgate dalle aziende italiane, per individuarne le determinanti e comprendere, quindi, i fattori che inducono i manager ad integrare i dati di bilancio con indicatori Non-GAAP. Attraverso un duplice raffronto spaziale e temporale si analizzeranno, in particolare, gli eventuali scostamenti tra le grandezze Non-GAAP e quelle determinate secondo i principi contabili di generale accettazione, la presenza nei documenti di bilancio delle informazioni espressamente richieste dalle autorità di vigilanza in merito agli indicatori alternativi di performance (il grado di compliance, dunque, con l’attuale regolamentazione) e l’effettiva comparabilità dei valori divulgati.L’ultima parte del lavoro sarà, infine, dedicata agli attuali progetti di standardizzazione della comunicazione inerente agli indicatori alternativi di performance. Nel Capitolo 5, infatti, si presenteranno alcune riflessioni sulle motivazioni alla base dei recenti interventi da parte dello IASB e del FASB, descrivendo poi i diversi approcci che gli standard setter potrebbero adottare per regolamentare la disclosure in oggetto.Si presenta di seguito uno schema di sintesi degli argomenti trattati nelle pagine seguenti, mostrandone la sequenza logica ed i legami teorici.