In Italia e nel mondo, esiste un numero altissimo di embrioni ottenuti con la Procreazione Medicalmente Assistita, sul cui futuro non vi sono certezze. Sotto il profilo bioetico, la domanda sul loro futuro è del tutto legittima: si tratta di individui appartenenti alla specie umana, conservati in congelatori con elevatissima probabilità di restare in uno stadio di totale precarietà.Questo Quaderno raccoglie le riflessioni maturate nell'Associazione Scienza & Vita tra diversi studiosi appartenenti all'ambito scientifico, bioetico, giuridico e sociale.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
L’argomento di cui tratta questo XI Quaderno di Scienza & Vita prende le mosse dal Convegno Nazionale che l’Associazione ha celebrato lo scorso 23 e 24 novembre 2012.
Il tema – Embrioni crioconservati: quale futuro? – ci permette di riflettere su una questione che qualcuno vorrebbe ritenere marginale nel panorama scientifico e bioetico contemporaneo, quasi dovesse essere riservato soltanto ai pochi specialisti o qualche intellettuale accademico.
L’argomento è tornato di ancora maggior attualità nel nostro Paese dopo che i pronunciamenti giurisprudenziali recenti della Corte Costituzionale e di alcuni Tribunali hanno di fatto rimosso o grandemente attenuato il divieto, contenuto nella legge 40/2004, circa la crioconservazione di embrioni da tecniche di procreazione medicalmente assistita, nonché la loro produzione in un numero “superiore a quello strettamente necessari ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre” (così appunto la formulazione originaria dell’art. 14 della legge).
Allo stato attuale, dunque, esistono nel nostro Paese (e certamente ancor di più nel mondo) un numero elevatissimo di embrioni ottenuti a seguito di procedure di procreazione medicalmente assistita, sul cui futuro non vi sono certezze, e nemmeno ipotesi in discussione: anzi la sola certezza è il loro congelamento sine die.
Sotto il profilo bioetico, la domanda circa il futuro di tali embrioni appare del tutto legittima: si tratta infatti di ipotizzare quale possa essere il futuro di individui appartenenti alla specie umana, frutto del concepimento derivato dall’incontro di una cellula uovo e di uno spermatozoo, che al momento sono conservati in congelatori, e che con elevatissima probabilità sono destinati a restare in uno stadio di persistente precarietà, e quindi soltanto molto raramente destinati ad essere trasferiti in utero in vista della possibile gravidanza e quindi nascita.
Le tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno visto una accelerazione clamorosa del loro sviluppo negli ultimi 50 anni, e soltanto poco più di 30 anni fa è stato possibile ai ricercatori ottenere il risultato di realizzare un concepimento in provetta seguito dalla nascita del primo individuo umano (Louise Brown, 1978) ad opera dell’equipe del prof. Edwards, insignito del premio Nobel nel 2010 e recentemente scomparso.
La celebrazione delle “magnifiche sorti e progressive” che si è concretizzata nella possibilità di generare la vita nei laboratori scientifici, e che è stata di fatto “santificata” dal premio Nobel conferito appunto al prof. Edwards, ha fatto passare in secondo piano il destino di migliaia e migliaia di embrioni che, paradossalmente, sono vittime proprio di quel progresso che li ha generati.
Parallelamente alla ricerca scientifica in questo ambito, anche la riflessione bioetica si è interrogata, ponendosi le domande cruciali circa il significato etico di scelte che hanno condotto, di fatto, alla separazione della procreazione dalla sessualità e, spesso, anche dalla genitorialità di coppia, dato il diffondersi di una mentalità che tende a identificare il “prodotto del concepimento” come appunto la risposta ad un desiderio, senza alcuna verifica circa le condizioni in cui la domanda viene posta.
Con particolare riguardo al destino degli embrioni crioconservati, già negli anni passati vi sono stati interventi autorevoli e – a fronte di proposte anche innovative e per certi versi dirompenti, quali quelle relative alla cosiddetta adozione prenatale, formulate a partire dai primi anni Novanta – si è tentato di sistematizzare il pensiero e di mettere sul piatto le diverse opzioni.
Già nel luglio 1996, con interventi distinti, due autorevoli studiosi appartenenti a quell’ambito di riflessione bioetica che in maniera certamente sbrigativa viene qualificata come “bioetica cattolica” avevano trattato l’argomento della adozione prenatale: il prof. p. Maurizio P. Faggioni su L’Osservatore Romano del 22-23 luglio 1996 e l’allora prof. mons. Elio Sgreccia, oggi cardinale, caposcuola della bioetica fondata sul personalismo ontologico, su Avvenire del 27 luglio 1996.
Scriveva allora il prof. Faggioni: “la soluzione, suggerita come extrema ratio per salvare da morte sicura gli embrioni abbandonati, ha il merito di prendere sul serio il valore della vita pur fragile degli embrioni e di raccogliere con coraggio la sfida della crioconservazione. Essa cerca di arginare gli effetti nefasti di una situazione disordinata, ma il disordine entro cui la ragione etica si trova ad operare segna profondamente gli stessi tentativi di soluzione”.
A tale preoccupazione faceva eco pochi giorni più tardi il card. Sgreccia: “La generosa disponibilità messa in campo da un encomiabile numero di coppie per accogliere in grembo gli embrioni congelati ‘orfani’, destinati ad essere distrutti […] ha – a nostro avviso – un aspetto almeno positivo: quello di pesare fortemente sulla coscienza di chi, direttamente o indirettamente, ha permesso quella situazione aberrante. Per il resto, ci pare che, in assenza di garanzie di sospensione della metodica del congelamento, l’idea di un’organizzazione sistematica dell’adozione prenatale degli embrioni finirebbe di fatto per legittimare la pratica che sostanzialmente è alla base del problema. Anzi, la prospettiva dell’adozione stessa finirebbe per attenuare il senso di responsabilità morale di chi continua a congelare embrioni, rassicurandolo sul fatto che tanto ci sarà, comunque, qualcuno che li adotterà”.
Successivamente il Magistero della Chiesa si è occupato della questione, trattandone in maniera autorevole nella Istruzione Dignitas personae, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede l’8 dicembre 2008. In essa, al n. 19, si legge: “È stata inoltre avanzata la proposta, solo al fine di dare un’opportunità di nascere ad esseri umani altrimenti condannati alla distruzione, di procedere ad una forma di ‘adozione prenatale’. Tale proposta, lodevole nelle intenzioni di rispetto e di difesa della vita umana, presenta tuttavia vari problemi non dissimili da quelli sopra elencati”.
Sembra dunque di poter affermare che sia il Magistero sia l’opinione di autorevoli studiosi escludesse nei fatti tale opzione dal novero di quelle ipotizzabili per risolvere una questione che, peraltro, è tuttora presente ed irrisolta.
I contributi che sono raccolti e presentati nell’odierno Quaderno sono il frutto di un prolungato lavoro di riflessione e di condivisione all’interno dell’Associazione Scienza & Vita, che hanno visto il confronto, nei giorni 23 e 24 novembre 2012, tra diversi studiosi appartenenti all’ambito scientifico, bioetico, giuridico e sociale.
Il contributo introduttivo del prof. Lucio Romano – oggi senatore della Repubblica ed allora Presidente della nostra Associazione – consente di ragionare sulle condizioni degli embrioni dopo crioconservazione e sulle loro possibilità di sopravvivenza e sviluppo, all’atto dello scongelamento. Le domande centrali che egli introduce – “a) per quanto tempo gli embrioni possono rimanere nel criostato? b) quale futuro?” – sono in sostanza le domande attraverso le quali anche i contributi successivi si sono snodati.
Ed infatti il prof. Carlo Cirotto ed il dott. Domenico Coviello si sono interrogati sugli aspetti più strettamente scientifici, in relazione alle tecniche di congelamento ed agli effetti del congelamento stesso sul patrimonio genetico degli embrioni, mentre la dott.ssa Eleonora Porcu ha presentato in particolare i risultati circa le tecniche di vitrificazione ovocitaria quale valida alternativa alla crioconservazione embrionaria, con gli innegabili vantaggi sotto il profilo bioetico.
Il prof. Adriano Fabris ha poi lumeggiato gli aspetti filosofico-antropologici, a partire dalla questione del linguaggio e della terminologia adottata, significando le differenze anche semantiche tra termini che spesso vengono usati quali sinonimi, ma che sinonimi non sono.
Gli aspetti più propriamente teologico-morali sono affidati alla competenza del prof. Maurizio Faggioni il quale, pur con la cautela indispensabile, chiarisce le differenze sostanziali tra l’adozione degli embrioni e la fecondazione eterologa, e ipotizza che le maggiori difficoltà ad accogliere la proposta dell’adozione prenatale “siano legate al delicato contesto della procreativa contemporanea”, dove la generazione extracorporea, svincolata dalla relazione sessuale coniugale, costituisce il vero ostacolo ad un giudizio favorevole. Se il congelamento, ed il successivo scongelamento degli embrioni, fosse l’unica via per salvaguardare l’embrione in pericolo, ben si potrebbe ipotizzare che tale soluzione diventi auspicata nella logica della maggior tutela possibile per ciascun embrione umano.
La sessione giuridica del convegno ha visto il confronto tra eminenti esponenti di tale ambito, a partire dal prof. Ferrando Mantovani, emerito di Diritto penale all’Università di Firenze, il quale ha ben chiarito che fondamento del ragionare – anche sul piano giuridico – è la doverosa individuazione delle vie per evitare la crioconservazione e, solo una volta perseguito questo obiettivo, prevedere di consentire l’attuazione di strategie finalizzate almeno al suo contenimento per quanto possibile.
I contributi del prof. Luciano Eusebi e del prof. Andrea Nicolussi si snodano più precisamente sui piani applicativi del diritto, ripercorrendo, il primo, gli aspetti critici che discendono dalla sentenza n. 151/2009 della Corte Costituzionale, segnalando che la medesima sentenza non ha – genericamente – “smantellato” l’impianto della legge 40, ma ha anzi confermato che “la crioconservazione degli embrioni resta e deve restare intervento eccezionale, necessitato dal caso eccezionale di mancato trasferimento in utero di embrioni generati in vitro”, ed il secondo attraverso l’accostamento tra i percorsi di adozione post-natale e l’ipotizzato ricorso all’adozione prenatale.