Una testimonianza culturale di amicizia, condivisione, gratitudine. Autorevoli studiosi e docenti rendono omaggio al maestro di bioetica, riconosciuto a livello internazionale, fondatore di una Scuola di alto prestigio e diffuso apprezzamento. Nell'orizzonte di senso offerto dalla grande significanza del pensiero e dell'insegnamento di Elio Sgreccia, si rileva tangibilmente ciò che fonda da sempre il suo operare: virtuosa armonia tra rigore intellettuale e fortezza spirituale, lungimiranza progettuale e inesauribile entusiasmo, delicatezza relazionale e sobrietà rappresentativa, indefettibile amore per la verità e incessante apertura al dialogo.
INTRODUZIONE
di Lucio Romano
Scritti in onore di Elio Sgreccia: una testimonianza culturale di amicizia, condivisione, gratitudine.
Autorevoli studiosi e docenti hanno da subito accolto l’invito dell’Associazione Scienza & Vita a contribuire, per le rispettive competenze, con la redazione di articoli il cui significato è immediatamente percepibile: rappresentano un omaggio al maestro di bioetica, riconosciuto a livello internazionale, fondatore di una Scuola di alto prestigio e diffuso apprezzamento. Certo, sono tanti coloro che, di pari rilievo accademico ed ecclesiale, avrebbero potuto partecipare a questa iniziativa ma, come facilmente intuibile, si sarebbe dovuto pensare ad un’opera con diversa impostazione editoriale.
Raccogliere sinteticamente, nello spazio proprio di un’introduzione, il pensiero di S. Em.za Prof. Elio Sgreccia è compito inesigibile. Si rimanda, pertanto, alla vasta letteratura in merito e ai contributi riportati nel volume. Tuttavia è prioritario rilevare l’orizzonte di senso offerto dalla grande significanza del pensiero e dell’insegnamento di Elio Sgreccia che, giustificati con argomentazioni fondate razionalmente, assicurano la possibilità di declinare virtuosamente scienza e fede.
L’antropologia personalista ontologica non è lettura della vita che esclude il confronto e la ricchezza dei contributi di altre conoscenze, come quelle della biomedicina. Tutt’altro. Rappresenta una semantica di verità inclusiva, riconoscibile da ognuno e che – dando ragione della irriducibile unicità e intrinseca dignità di ogni uomo – è apertura autentica e rigorosa al dialogo con i vari saperi umani e loro sviluppi. L’antropologia di riferimento, come ci ricorda lo stesso Sgreccia nel suo Manuale di bioetica, è «cresciuta nell’alveo del pensiero classico-patristico, fatta propria da Tommaso d’Aquino e ravvivata continuamente da pensatori di grande e non precario valore, come J. Maritain, E. Mounier, E. Gilson, G. Capograssi, A. Gemelli ed altri viventi, che hanno attinto alla forza della ragione, non mortificata ma sostenuta dalla fede cristiana, i criteri di valutazione etica».
In altri termini l’argomentazione e la metodologia di analisi proposte offrono la concreta possibilità di coniugare – con ragionevolezza immediatamente riconoscibile – la dimensione scientifica con quella antropologica, etica e giuridico-deontologica. Infatti, sulla base dell’antropologia personalista di riferimento si armonizzano le riflessioni in ambito bioetico e biogiuridico, con innegabili risultati per quanto attiene anche agli altrettanto attuali aspetti dell’etica sociale.
Last but non least. Con il volume che ho l’onore di introdurre, l’Associazione nazionale Scienza & Vita – unitamente a tutti gli autori che hanno partecipato – attesta in maniera tangibile ciò che caratterizza da sempre l’operare di S. Em.za Prof. Elio Sgreccia: costante armonia tra rigore intellettuale e fortezza spirituale, lungimiranza progettuale e inesauribile entusiasmo, delicatezza relazionale e sobrietà rappresentativa, indefettibile amore per la verità e incessante apertura al dialogo.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Carlo Bellieni
Rifondare la bioetica
Oggi più che mai, la bioetica deve essere fondata sulla ragione e sull’esperienza del reale, perché l’etica è esclusivamente legata al conoscere, cioè al riconoscere. Questo ci porta ad inevitabili conseguenze.
La bioetica nasce dal riconoscere la realtà
La ragione è approcciare la realtà cercando di non censurare nulla, abbracciandola secondo la totalità dei suoi fattori. Ma contemporaneamente non dimenticando nulla di noi: la nostra storia e i nostri desideri. Confrontare storia e desideri con la totalità dei fattori di ciò che incontriamo significa conoscerli, dunque farne esperienza. L’uso della ragione nella conoscenza implica due cose: che non ne censuriamo nulla a priori (ragionevolezza), e che addirittura siamo disposti a cambiare qualsiasi opinione che ci siamo pre-formata, se la realtà del fatto che affrontiamo lo impone (realismo). E, terza premessa, che la realtà ci interessi davvero: senza interesse ogni giudizio etico è formale e superficiale, dunque artefatto.
Certi giudizi etici dipendono da pregiudizi legati al vissuto personale
Le reazioni affettive ad un evento avverso hanno anch’esse bisogno della mediazione della ragione per organizzarsi e sbocciare. Non sono immediatamente sviluppate dall’evento che le produce. Perdendo la capacità di ragionare, subentra un meccanismo che potremmo definire sottocorticale, cioè stereotipato, che talora sfocia in patologia, in pensiero catastrofico, che così tanto imbibisce la nostra società.
L’ipotesi che io sollevo, è che alla base di tanti fenomeni etici “nuovi”, come suicidio assistito, liberalizzazione della droga, aborto facile, ci sia una mentalità negativa personale, che diventa una patologia sociale: una paura e una negazione del reale di alcune persone, che contagia la visione del reale della popolazione, la rende pessimista e nichilista, tanto da preferire la morte ad affrontare la realtà.
La bioetica non deve seguire “principi”, ma “la realtà”
Il primo passo per una nuova bioetica è superare la bioetica dei principi o quella delle conseguenze, che cercano di dettare delle norme accettabili da tutti, ma che trovano difficoltà a mettere dei paletti, dato che per esse la persona decide autonomamente (principialismo) o che il fine giustifica i mezzi (consequenzialismo).
Si deve tornare ad una bioetica basata sulla ragione (non censurare nessun fattore del fatto reale), sul realismo (accettare di cambiare idea se la realtà lo impone) e sull’empatia (l’amore o almeno l’interesse verso il soggetto che si ha davanti). Senza queste tre dimensioni, il giudizio etico è un giudizio burocratico, fatto per nascondere le nostre fobie e patologie mentali. La persona etica non è chi segue le norme, ma chi riconosce nella realtà un disegno buono (una legge naturale) e cerca di seguirlo. E occorre ironia. Perché senza ironia prendiamo troppo sul serio noi stessi, mentre dobbiamo prendere sul serio la realtà (e il mistero divino di cui la realtà è segno), non la nostra capacità o forza tecnica.