L'universalità dei problemi etici riguarda chiunque debba prendere delle decisioni. Questo libro offre ad ogni responsabile o decision-makers in campo educativo, economico e politico un codice di regolamento che occorre tenere presente per evitare i danni perpetrati all'umanità dalla mancanza di alcun riferimento etico di molti manager.
PREFAZIONE
di Henri de Castries
Questo libro non può che interessare un decision-maker di oggi, anche se è possibile che non sia d’accordo con tutte le idee che esso propone. La società può solo guadagnare se se ne discute, e vorrei dire il perché dal mio punto di vista: quello del capo di una multinazionale.
Tornando indietro di dieci o vent’anni, nelle scuole commerciali e in altre business school si parlava solo di strategie e di guerra economica. Andava di moda Sun Tzu, il Machiavelli cinese. Oggi l’etica è sempre più al centro delle preoccupazioni, e molti ne parlano superficialmente, utilizzando un vocabolario politicamente corretto, ma senza una vera riflessione di fondo. L’argomento diviene allora un pretesto, mentre è molto meglio parlarne in modo concreto e sostanziale, non in politichese, al di là dei consensi troppo facili ed esprimendo chiaramente ciò che davvero crea difficoltà.
Le cose stanno così anzitutto perché l’economia è divenuta mondiale. Qualsiasi dirigente finanziario di un’impresa di una certa importanza deve viaggiare tra varie culture e chiedersi che cosa abbiano in comune tra loro. Molti ritengono che le differenze siano nell’etica. Forse la riflessione ci suggerisce che l’etica, al contrario, sarebbe l’elemento più comune tra loro, anche se i valori universali si realizzano in mentalità molto diverse e con stili molto differenti.
Ad esempio, la consuetudine del dono d’affari, che può essere malvista in America o in Europa, è obbligatoria in Cina, eppure un attento esame del significato di costumi all’apparenza opposti ci rivela, qui come là, la presenza delle stesse nozioni di onestà e lealtà nei confronti dell’interesse comune di cui ci si occupa.
È quindi possibile avere il senso della relatività dei costumi e serbare la fede nell’universalità dei valori umani più fondamentali. L’incontro con altre culture ci rammenta gli albori della nostra, quando commerciare significava anzitutto conversare, vivere insieme e stringere un’amicizia che si esprimeva con scambi di favori in un ambiente di reciproco rispetto.
Dato che l’economia di mercato è un’economia di libertà, può funzionare solo basandosi sulla fiducia. Senza etica, tuttavia, la fiducia è impossibile, la concorrenza non ha più senso e la libertà economica è in pericolo. Forse anche la libertà tout court e la democrazia. Ma non può esserci etica nell’impresa se manca, in senso più vasto, nella società e nella vita. Questo libro non cerca di applicare l’etica alla società, ma consente a ognuno di rammentare le semplici esperienze che riconducono a una certezza morale ragionata, profondamente umana e priva di qualsiasi fanatismo.
Un approccio pragmatico, un progetto professionale, devono quindi trovare senso, regole e riferimenti attraverso una riflessione che affronti seriamente la coscienza e la sua libertà. Non è quasi più possibile accontentarsi di ricette. Meglio a colpo sicuro restare pragmatici, a condizione che si tratti di un pragmatismo profondo. Questo libro aiuta a formare l’idea di un simile pragmatismo, ed è per questo motivo che giunge a tempo debito.
Ogni dirigente, trovandosi in una situazione in cui deve essere di esempio, ha una parte di responsabilità nel divenire della società. L’etica dei decision-makers rielabora le questioni della laicità e della nazione offrendo una didattica originale per rinnovare la cittadinanza.
Ecco un libro nato in un contesto insolito e a partire da un’esperienza iniziale, quella dell’esercito di una democrazia universalistica, la Francia, in un mondo tornato a essere pericoloso e incerto. Il problema della tortura, in particolare, si ritrova in filigrana in diverse riflessioni. Non deve stupirci: si tratta di un libro scritto dal direttore del polo etico e deontologico del centro di ricerche dalla scuola speciale militare di Saint-Cyr-Coëtquidan. Se tale concretezza evita all’autore l’astrazione accademica, non lo costringe tuttavia in uno spazio chiuso. Ecco perché questa Etica riguarda tutti i dirigenti di oggi.
Al di là della ricerca dei migliori risultati finanziari, ogni dirigente dovrebbe anche preoccuparsi delle condizioni economiche della pace che la nostra attività instaura o degrada. Dobbiamo lavorare al rafforzamento dell’etica: è lì che nascono le condizioni della pace mondiale e, nel contempo, l’efficacia economica a lungo termine.
Ostentare un’etica non è particolarmente problematico, metterla in pratica è tutt’altra cosa. Per un dirigente, la difficoltà sta nell’imporla dall’alto verso il basso della scala, e lungo tutta la catena di comando. E la prima forza che permette di agire in questo modo è indubbiamente la calma risoluzione di una convinzione meditata.
È per questo che l’etica va presa sul serio. Ormai non si tratta più di strumentalizzare: in primo luogo perché non è dignitoso, poi perché non sarebbe più un’etica utile. Solo un’etica autentica può esserlo.
Solo un’etica autentica presenta un’utilità, e qui sta il paradosso. Si può anche partire dall’utilitarismo, ma non si può finire lì.
Ci si deve arrendere all’evidenza: per servirsi dell’etica, l’etica deve esistere, e perché esista ci si deve credere. E non si pensi che esista semplicemente perché si dice che sarebbe utile che esistesse. Allora perché ci si crede? E come crederci? Come si può crederci? E fino a che punto? E a cosa si crede quando ci si crede? Questo credere nell’etica è ragionevole? Tutto l’interesse del libro sta nel porci la domanda. L’autore ha le sue risposte, che argomenta con rigore e che ogni lettore potrà confrontare con le proprie.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Questo libro è un’opera di etica a uso dei decision-makers, o di chi si prepara a diventarlo; quindi presuppone evidentemente che l’etica abbia a che fare con il loro lavoro. Una lunga tradizione filosofica, inaugurata da Machiavelli e dai teorici della ragion di Stato, proseguita dai moralisti francesi come La Rochefoucauld, teorici dell’amour-propre, continuata nei Libri III e IV dell’Etica di Spinoza e nell’opera di Nietzsche, potrebbe convincerli del contrario. La necessità strategica e le limitazioni legali lasciano ben poco spazio alla scelta per quanto riguarda i criteri etici: ci sono soltanto interessi e forze, calcoli e maschere. Certo, si è obbligati a cooperare, ad allearsi, ma in fondo non vi sono né morale né amici. Questo non significa però il caos: lo stesso Principe si lascia ammansire, e dal gioco della fatalità machiavellica può nascere lo Stato di diritto1; dalla paura e dall’interesse positivamente intesi, sotto un Leviatano razionale, tende a stabilirsi un equilibrio formalizzato in leggi il cui rispetto (molto spesso vantaggioso) prende il posto della morale. E si definisce giustizia il desiderio di colpire chi non è stato al gioco2. Inutile scendere in particolari3.
Questa tradizione “realista” e amorale è utile perché evita di farsi un’immagine idilliaca della realtà umana. Sarebbe imprudente ignorarla, ma un errore ritenerla sufficiente: un’illusione di “realismo” porterebbe infatti a semplificare la realtà – la struttura della realtà umana è ben più complessa di questo modello –, quindi al fallimento, perché decisioni e azioni sarebbero troppo sistematiche e non adeguate al reale. L’etica va riconosciuta anzitutto attraverso il realismo.
Tutti sanno che gli interessi economici sono in pericolo senza protezione della proprietà e garanzie dei contratti, e questo presuppone l’esistenza di Stati, di un diritto, di una forza pubblica. Se politici, giudici e poliziotti sono corrotti, è come se non vi fosse la legge, nessuno sarebbe mai sicuro di nulla e sarebbe impossibile prosperare in queste condizioni. Quando tuttavia la legge non viene rispettata, non basta farne altre per risolvere il problema. Reprimere, infatti, non è una soluzione sufficiente: chi controlla e chi punisce perché dovrebbe essere meno corrotto di chi è controllato? Il maggiore interesse dei grandi corruttori è quello di comprare il vertice. In breve, applicare la legge senza cedimenti, rendere giustizia con integrità, fare la legge preoccupandosi dell’interesse generale, malgrado un interesse particolare che potrebbe spingere a comportarsi diversamente: ecco atti giusti e coraggiosi, ispirati dall’amore, dalla saggezza, dalla religione, dal dovere o dall’onore. Tolte queste motivazioni, le leve non attivano più i governi e le difficoltà divengono insolubili.