La storia non e' soltanto il racconto del passato, più o meno fedele, ma una vera e propria scienza, coi suoi ''ritmi'' e le sue leggi! Èquanto ci dimostra l'Autore, il quale - alla luce delle intuizioni di G.B. Vico e di Oswald Spengler - ha esaminato scrupolosamente le sei grandi civiltà succedutesi nei millenni a partire dall'invenzione della scrittura, arrivando alla conclusione che tutte hanno avuto la stessa durata e gli stessi cicli evolutivi, dalla nascita al declino, con stupefacenti parallelismi ed impensabili ''coincidenze'' nei loro aspetti più svariati: economico, politico, artistico, culturale, spirituale.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Il predominio culturale dell’Occidente nel mondo attuale dovrebbe renderlo consapevole delle proprie responsabilità e quindi dei propri doveri nei confronti del resto del mondo. Dovrebbe farsi esso stesso portatore del proprio pensiero. Ma, se gli si ricorda questo compito, reagisce come un professore di scuola tecnica. Non ha dubbi sul fatto che questa superiorità sia dovuta alle sue alte competenze nelle scienze naturali: fisica, chimica, astronomia, biologia… Non ha dubbi sul fatto che ha potuto erigersi al più alto rango grazie alle sue conoscenze e che solo sviluppandole sempre di più potrà mantenerlo. Questo è un dato assolutamente evidente per chiunque.
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Per millenni, le diverse civiltà si sono preoccupate, oltre che della propria difesa e sopravvivenza, di rispondere ad un’inquietudine altrettanto fondamentale e primaria: interrogarsi sull’Universo, pensato come realtà globale e inglobante, e sui suoi rapporti con l’essere umano.
Da qui sono nate le visioni religiose ed i culti degli spiriti superiori: per millenni, le divinità sono state innumerevoli nelle credenze animiste; limitate nel numero, nell’ordine di una dozzina, durante qualche decina di secoli di politeismo; infine sono diventate un unico, con Abramo e le grandi religioni dette “monoteiste”.
Gli ultimi due secoli hanno visto nascere un’attitudine completamente diversa: quella di un razionalismo laico che ha voluto liberare l’uomo da ogni riflessione sull’aldilà, considerata come un’inutile fantasticheria, se non addirittura condannabile, perché priva di ogni fondamento razionale.
Tra gli intellettuali che ebbero e mantennero questa impostazione, i più dotati si sono dedicati alle questioni scientifiche in quanto insegnanti, ricercatori, scienziati… Avendo praticato “la scienza”, nell’arco di due secoli, ne hanno visto il costante e straordinario sviluppo… uno sviluppo che i contemporanei sono arrivati ad immaginare come sempre più fecondo e capace, se perseguito, di colmare la specie umana di ricchezza e potenza e, per dirla tutta, di felicità.
Ma cosa serve perché la scienza continui a svilupparsi? Bisogna ricorrere al metodo che ha permesso alla scienza di nascere e che ha garantito tutti i suoi progressi: l’analisi. Dalla seconda regola di Cartesio: “Dividere ognuno dei problemi esaminati in tante parti per quanto possibile e necessario per risolverli al meglio”.
Ma in ogni ambito scientifico, il numero delle “parti” è andato sempre più crescendo. Le “scoperte” si moltiplicano; e noi vaghiamo sempre più tra gli infiniti dettagli del sapere analitico.
Poi, a questo sforzo analitico segue molto naturalmente uno sforzo di sintesi, operazione attraverso la quale si cerca di risalire, partendo dai nuovi dettagli conosciuti, ad una migliore comprensione delle loro relazioni d’insieme. Ma nell’ambito delle scienze applicate queste stesse successive operazioni scendono di altrettanti gradini verso fenomeni di ordine inferiore e ancora sconosciuti… ovvero si allontanano sempre di più dalla ricerca di una sintesi globale.
La sintesi universale è stata il sogno di queste grandi menti che furono Vico, Leibniz, Einstein, Oswald Spengler… Ma l’anelito alla sintesi “scientifica” ebbe come suo principale, se non esclusivo oggetto, lo spazio e il tempo fisici, tempo che Einstein ha dimostrato essere la quarta dimensione dello spazio. Nonostante tutto, questa impostazione non riguarda l’uomo nel suo insieme. Come vedremo, essa lascia da parte due aspetti essenziali della sua vita: il tempo vissuto e la psiche.
Sarebbe naturale pensare: è assolutamente ragionevole e condivisibile, ed altrettanto importante, concentrarsi su tutto ciò che è concreto per sforzarsi di comprenderlo al meglio e dunque poter intervenire su di esso. Ognuno di noi persegue tale sforzo nel suo vivere quotidiano, tanto nella dimensione personale quanto in quella professionale. Al contrario, volgersi all’Uno attraverso la ragione, tendere a una sintesi globale dell’insieme delle nostre esperienze – cioè tendere all’Uno semplicemente – equivale ad evocare un vertiginoso periplo. Per ogni uomo – e anche per un “filosofo di professione” – non è forse una preoccupazione vana, rivolta ad un oggetto indefinibile, un miraggio tanto lontano quanto inaccessibile?
È questo lo stato attuale delle cose, poiché nessuno guida più le nostre riflessioni su queste strade. Se mai delle chiavi siano esistite, nessuno ci aiuta più a trovarle. Se mai siano state conosciute dagli uomini, sono ormai nascoste negli angoli più remoti del nostro passato. Ed è proprio là, dove dovremmo decidere di ricercarle. E non sarebbe forse un’ambizione degna di chiunque desideri finalmente ritrovare un senso profondo della vita, inserendola nella totalità della realtà?
Molti secoli fa, sono state forgiate quattro chiavi. Due ci sono arrivate dalle tradizioni millenarie dell’Oriente. La prima è un calendario universale che, secondo la saggezza induista, dà ritmo al tempo. La seconda, proveniente dalla Cina, è l’idea di bipolarità che regola tutte le realtà che si esprimono nella continuità. I ritmi del cuore e della respirazione ne sono immagini molto concrete.
Le altre due chiavi sono realtà storiche proprie all’Occidente:
– La prima è l’affermazione che il mondo sia un insieme coerente e dunque testimonianza di un Esistente unico e intelligente. Questa affermazione dell’Essere, che è stato, che è e che sarà, è stata pronunciata da Abramo. Prima di lui, c’erano gli “dei”, ovvero una molteplicità di volontà concepite come sovrane, in particolare quelle degli infiniti astri, che dominavano il mondo. Ognuna di esse poteva sempre opporsi a ciò che un’altra aveva voluto o concepito. Non era possibile fare nessuna previsione. Abramo diffonde il messaggio de “l’Esistenza”, superiore a ogni realtà conoscibile, di un Unico iniziatore e regolatore, “Yahweh”: condizione prima indispensabile alla coesione del mondo e quindi alla stabilità di certe regole. Senza questa condizione generale, non sarebbe possibile strutturare nessuna “scienza”… né tanto meno concepirla. In pratica, è solo postulando la continua e perfetta stabilità delle leggi cosmiche che l’uomo può progredire verso una migliore conoscenza di esse.
– La seconda realtà storica è stata la scoperta dei meccanismi della ragione da parte di Socrate e dei suoi discepoli. È la facoltà che permette all’uomo di fare analisi ma nello stesso tempo sintesi. Ed è sempre la ragione che rivela all’uomo il metodo che gli permette di progredire nella conoscenza: il pensiero concettuale, ovvero la facoltà di stabilire non solo idee più o meno vaghe, ma anche “concetti”, nozioni astratte precise, chiaramente definite… e l’attitudine a combinarle insieme.
È giocoforza constatare che più le scienze progrediscono grazie ad ammirevoli sforzi d’analisi, più sprofondiamo nel dettaglio e meno abbiamo la preoccupazione di considerare la convergenza delle linee in direzione dell’unità globale. Di conseguenza, i gruppi umani che condividono profondamente la cultura scientifica tendono ad allontanarsi sempre di più, psicologicamente e quindi spiritualmente, dai tanti altri che non dispongono delle stesse conoscenze. I popoli non raggiunti dalla cultura “moderna” si aggrappano in modo sempre più disperato alle loro visioni tradizionali. Le più antiche – particolarmente quelle dell’Africa Nera o delle “Americhe indiane” – sapevano applicare la riflessione e l’analisi solo alle realtà concrete della terra: gli astri, le stagioni, i terreni ed i loro rilievi, le colture, le erbe, gli animali, le armi… E ignoravano le costruzioni astratte.
Ingenuamente, meditavano comunque sui grandi segreti del mondo. Maldestramente forse, integravano costantemente alla vita personale di ognuno il pensiero del “globale” e quindi del “religioso”, ovvero di tutto ciò che può riconnettere l’uomo a tutto ciò che egli non è. Si parla spesso di fraternità tra gli uomini tutti, ma se s’ignora il globale, si voltano le spalle a ciò che più di ogni altra cosa può condurveli: la loro millenaria comune appartenenza, cioè quella del tempo e quella dell’habitat terrestre.
Il grande rinnovamento che la nostra epoca deve compiere è quello di ripercorrere a ritroso metà del suo cammino, per impegnarsi a considerare, accanto all’infinita diversità dell’Universo, anche l’“Unità” originaria e naturale della specie umana, così come dell’Universo intero.
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Chiunque abbia coscienza della difficile vita che un tempo vivevano quasi tutti gli uomini – cacciatori, pastori o coltivatori – è colpito dall’apparente splendore delle società industrializzate e dalle straordinarie prospettive che si aprono per il progresso della scienza e della tecnica.
La cultura occidentale ha dotato l’uomo di una chiave magica: l’uso della ragione, grazie alla quale può impegnarsi a conoscere il Mondo con esattezza e precisione. Correttamente utilizzata, ovvero applicando le regole della logica, la ragione fonda la capacità di giudizio, il ragionamento scientifico e le formulazioni matematiche, anch’esse strumento di comprensione degli innumerevoli aspetti della realtà concreta: fisica, chimica, geologia, astronomia… La Storia degli ultimi tre secoli ci mostra gli immensi progressi che la specie umana è stata capace di compiere grazie alla comprensione e al controllo del “mondo esteriore”…
Eppure, una sconnessione profonda ed ormai rapida colpisce i pensieri degli uomini ed i loro comportamenti.
Ogni giorno, ne enunciamo le cause “economiche e dunque sociali”, nell’ambito dei postulati fondamentali del materialismo, sia dottrinario (marxismo-leninismo), sia fattuale (liberalismo). Ma queste cause sono davvero l’origine dei nostri mali? O non sono esse solo forme particolarmente visibili di mali che hanno origine a livelli più profondi? La natura è diventata per l’Occidente un giocattolo telecomandato. La osserva, le consacra il suo entusiasmo infantile; entra ogni giorno di più nei dettagli dei suoi meccanismi per immaginare nuove migliorie al servizio dei suoi sogni. In siffatto modo ha potuto accrescere, e smisuratamente, i propri mezzi d’intervento. Ma la preoccupazione del progresso tecnico riposa, per sua natura, sul perfezionamento dell’analisi… Esso è portato incessantemente alla scoperta più minuziosa della costituzione del mondo spaziale, sia inanimato che vivente.