Chi è Gesù? Perché nessuno, dopo duemila anni, si sottrae al suo fascino? Anche i "lontani" non sanno nascondere lo stupore, l'ammirazione e l'incanto per quest'uomo misterioso, potente e buono, unico al mondo, "il più bello fra i figli degli uomini": da Marx a Renan, da Rousseau a Nietzsche, da Borges a Kafka, da Camus a Salvemini, da Kerouac a Pasolini, da un "persecutore" come Napoleone a una personalità come Gandhi, fino al libro dell'Islam, il Corano.
Come e perché in soli tre anni di vita pubblica egli ha potuto capovolgere la storia umana? Lo affermano anche pensatori laici come Benedetto Croce: "il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuto". Ha portato nel mondo la libertà, la dignità di ogni persona (a partire dai più derelitti), le nozioni di diritti dell'uomo e di progresso, un oceano di carità. Ha spazzato via la schiavitù, ha salvato la cultura antica, ha dato nobiltà al lavoro ricostruendo un'Europa devastata, inventando la tecnologia, le università, la scienza, gli ospedali, l'economia, l'arte, la musica. Il libro di Antonio Socci ricostruisce questa straordinaria rivoluzione e indaga sul mistero di Gesù, preceduto da duemila anni di attesa e seguito da altrettanti di amore. Circa trecento profezie messianiche, nelle Sacre Scritture, con secoli di anticipo hanno tracciato il suo perfetto identikit: data e luogo di nascita e di morte, le sue opere, addirittura il supplizio della crocifissione.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Il «caso Flew», Einstein e Gesti
di Louis Pasteur
Un po' di scienza allontana da Dío, ma molta vi riconduce
Il 9 dicembre 2004, fra i tanti lanci di agenzia, ne esce uno della Associated Press con questa notizia: «Celebre ateista adesso crede in Dio». Parla di Antony Flew, il filosofo che era stato fino ad allora il simbolo mondiale dell'ateismo scientifico e il padrino dei vari attuali divulgatori dell'inesistenza di Dio come Richard Dawkins. Flew, durante un convegno a New York, dichiarò pubblicamente di essersi convinto dell'esistenza di Dio e che questa sua certezza è «basata sull'evidenza scientifica». Fra gli addetti ai lavori la notizia è una vera e propria bomba, perché Flew era da mezzo secolo la mente del moderno ateismo filosofico-scientifico: precisamente dal 1950, quando espose a Oxford le sue tesi con Theology and Falsification, che diventò uno fra i libri di filosofia più ristampati del XX secolo.
Contribuì come pochi altri a elaborare seri argomenti teorici sull'inesistenza di Dio. Espose sistematicamente le sue speculazioni in varie opere, diventando il punto di riferimento filosofico di coloro che proclamano l'incompatibilità fra la scienza e l'idea di Dio.
La clamorosa conversione al deismo di Flew è un evento di grande significato perché non deriva da una crisi di coscienza personale, da una storia privata che esula dai suoi studi filosofici. Al contrario, egli l'ha così motivata: «La mia scoperta del Divino è stato un itinerario (pellegrinaggio) della ragione e non della fede».
Certo, occorre una straordinaria lealtà intellettuale per annunciare, a 80 anni, dopo mezzo secolo di gloria accademica, di «capitolare» di fronte all'evidenza, capovolgendo un sistema filosofico per il quale era ritenuto un celebre maestro di ateismo. E infine dichiarare: «I now believe there is a God!».
Flew ha messo nero su bianco gli argomenti principali che lo hanno vinto e convinto in un libro straordinario, uscito per Harper Collins nel 2007: There is a God Sottotitolo: «Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea». Si tratta (nientemeno) della scoperta razionale dell'esistenza di Dio.' La sua vicenda, fra gli addetti ai lavori, ha suscitato enorme scalpore. Mentre sui mass media e nel dibattito pubblico assai meno di quanto meriterebbe. C'è imbarazzo nel mondo dell'accademia, che preferisce aver ragione piuttosto che correggere i propri errori. Sul «New York Times», Francis S. Collins ha tracciato questo quadro: «Nella sua giovinezza, l'ateo Antony Flew decise di far suo il principio socratico di "seguire l'evidenza ovunque essa possa condurre". Dopo un'intera vita di ricerca filosofica indagatrice questa coraggiosa ed eminente intelligenza è adesso pervenuta alla conclusione che l'evidenza conduce definitivamente a Dio. I suoi colleghi nella chiesa dell'ateismo fondamentalista saranno scandalizzati dalla sua storia, ma i credenti saranno enormemente incoraggiati, e coloro che con serietà sono alla ricerca troveranno molto, nell'itinerario di Flew, per illuminare la loro stessa strada verso la verità».
Ciò che rende interessante questa vicenda è — dicevamo la sua connotazione filosofico-scientifica. Il Dio che Flew riconosce esistente è quello di Aristotele e di Einstein. Quello a cui arriva la ragione: «Non ho sentito nessuna voce. É stata la stessa evidenza che mi ha condotto a questa conclusione». Sono i risultati delle più recenti, sofisticate ricerche nel campo della biologia, della chimica e della fisica ad aver convinto Flew. Nel ripensamento di Flew sono stati decisivi anche gli argomenti di un geniale scienziato ebreo, Gerald Schroeder, autore dell' Universo sapiente. E poi le riflessioni contenute in The Wonder of the World del giornalista cattolico Roy Abraham Varghese col quale poi ha scritto There is a God
Le evidenti tracce del Creatore che questi e altri autori, da anni, indicano, riguardano sia il macrocosmo che il microcosmo. Chi infatti ha dato alla materia inerte e cieca le ferree leggi logico-matematiche che ne ordinano meravigliosamente lo svolgimento vitale, nell'infinitamente piccolo e nell'infinitamente grande?
Consideriamo l'istante in cui sono nati entrambi, il Big Bang che ha dato origine all'universo. La potentissima esplosione di luce che ha fatto espandere un infinitesimale grumo di pura energia fino alle dimensioni attuali dell'universo è una cosa strepitosamente simile al primo atto della creazione raccontato nella Genesi: il «Fiat lux» di Dio.
Col Big Bang abbiamo scoperto che il tempo, lo spazio e la materia ebbero origine in quell'istante, circa 15 miliardi di anni fa. Arno Penzias, premio Nobel per la fisica per aver scoperto la radiazione cosmica di fondo (cioè «l'eco del Big Bang») dice: «Non c'è un "prima" del Big Bang, perché prima non esistevano tempo, spazio e materia». Dunque tutto è nato in un preciso istante e da un'origine inafferrabile che sta fuori dal tempo, dallo spazio, dalla materia e dalle leggi fisiche che regolano questo universo.
Ma il segno di quella presenza trascendente, di quell'Intelligenza creatrice si trova poi — stando a quanto affermano i fisici come Schroeder — in tutto quello che è seguito. Fin dalle primissime frazioni di secondo. Basti pensare al perfetto equilibrio fra l'energia di espansione e le forze gravitazionali: se l'energia del Big Bang fosse stata appena superiore o appena inferiore tutto si sarebbe autodistrutto. Invece era perfetta.
Nota l'astrofìsico Marco Bersanelli: «La struttura del mondo fisico, dagli atomi ai pianeti, alle galassie, è strettamente dipendente dal valore numerico che assumono alcune — poche — costanti fondamentali della natura. [...] La dinamica dell'intero cosmo fin dai primi momenti appare accuratamente predisposta a generare condizioni favorevoli per accogliere la nostra comparsa ad un certo punto della sua storia».
La stessa cosa dice Stephen Hawking: «L'intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non accadono in modo arbitrario, ma che riflettono un certo ordine sottostante».
Fra i «numeri fondamentali» Hawking segnala, per esempio, «la grandezza della carica elettrica dell'elettrone e il rapporto della massa del protone a quella dell'elettrone [...] Il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita».
Tutta una miriade di altre coincidenze «intelligenti» di questo tipo, che qui non è possibile enucleare, nel loro insieme portano a ritenere razionalmente impossibile che si tratti di un meccanismo casuale. Hawking spiega: «Sarebbe in effetti molto difficile spiegare perché mai l'universo dovrebbe essere cominciato proprio in questo modo, a meno che non si veda nell'origine dell'universo l'atto di un Dio che intendesse creare esseri simili a noi».
C'è poi tutta un'altra serie di coincidenze sorprendenti, quelle che hanno portato alla formazione di un pianeta — la Terra — che incredibilmente, forse da solo, in un immenso abisso inospitale, possiede tutte le eccezionali caratteristiche necessarie, esattamente quelle indispensabili, per permettere lo sbocciare della vita. Schroeder, analizzando una per una queste incredibili peculiarità, scrive: «È, come se la Terra fosse stata fabbricata su ordinazione per ospitare la vita».
Vediamone solo qualcuna, fra le tante meravigliosamente esposte da Schroeder: la distanza ottimale dal Sole (bastava essere appena più vicini o appena più lontani e la vita sarebbe stata impossibile); l'orbita perfetta (se fosse stata più ellittica, come quella di Marte, non ci sarebbe stata vita)." Inoltre il caso ha voluto che i gas vulcanici permettessero il formarsi dell'atmosfera e degli oceani e che il cosiddetto vento solare della fase T-Tauri si verificasse prima, così salvando i mattoni della vita.
E sempre per lo stesso fortunatissimo «caso» l'atmosfera della Terra ha uno strato di ozono che protegge da radiazioni letali, ma fa passare la luce e il calore necessari alla vita. E per un'altra fantastica casualità, al centro della Terra, si trova quella massa di piombo fuso che provvidenzialmente protegge la vita sul pianeta da altre radiazioni devastanti e ci permette di vivere «sotto un vero e proprio ombrello magnetico».
Del resto, anche dopo aver azzeccato alla lotteria tutti questi numeri fortunati, al «caso» si sarebbe infine presentato il compito più arduo, quello statisticamente impossibile: riuscire a far nascere, da reazioni chimiche casuali, la prima, la più elementare, forma di vita sulla terra. Jacques Monod, nel libro //caso e la necessità, nota: «La vita è comparsa sulla terra, ma prima di quest'avvenimento... la sua probabilità era quasi nulla». Era una eventualità statisticamente remotissima, pressoché prossima allo zero.
Grichka Bogdanov aveva effettuato questo calcolo: «Affinché la formazione dei nucleotidi porti "per caso" all'elaborazione di una molecola di RNA (acido ribonucleico) utilizzabile, sarebbe stato necessario che la natura moltiplicasse i tentativi a caso per un tempo di almeno anni 1 seguito da 15 zeri (cioè un milione di miliardi di anni), il che è un tempo centomila volte più esteso dell'età complessiva del nostro universo».
Immaginiamo di trovare un giorno incisa in una caverna l'intera Divina Commedia. Se qualcuno affermasse che quelle lettere sono segni formatisi casualmente per l'azione del vento, dell'acqua e dei minerali certo sarebbe accolto con una risata. È ovviamente impossibile. Del tutto inverosimile. Eppure un semplice organismo unicellulare «ha un contenuto di informazioni equivalente a cinquemila volte l'intera Divina Commedia». Dunque come può essersi formata per caso la prima cellula vivente?
Un altro celebre scienziato, Fred Hoyle, dichiara: credere che la prima cellula si sia formata per caso è come credere che «un tornado infuriando in un deposito di sfasciacarrozze abbia messo insieme un boeing». E come si può immaginare allora che si siano strutturati e plasmati per caso esseri vivente incommensurabilmente più complessi degli organismi unicellulari? La complessità di una semplice formica appare vertiginosa e inimmaginabile. E la formica è ancora poca cosa.
Se fosse rinvenuto in qualche luogo remoto un mega computer fra i più sofisticati ed efficienti, potrebbe mai saltar fuori qualcuno a sostenere che quel mirabile macchinario è stato prodotto dalla casuale azione degli agenti naturali? Solo un buontempone. Ebbene, l'essere umano è un'entità fisico-intellettuale immensamente più raffinata e complessa di qualsiasi computer esistente (che, non a caso, è un prodotto dell'uomo). Eppure non si ritiene assurdo affermare che questo perfetto organismo è stato elaborato e realizzato dal caso.
Il cervello umano, afferma Owen Gingerich, professore di astronomia e storia della scienza all'università di Harvard, «è di gran lunga il più complesso oggetto fisico a noi noto nell'intero cosmo. Dei grosso modo 35 mila geni codificati dal DNA nel genoma umano, ben la metà trova espressione nel cervello. Sempre nel cervello vi sono circa cento miliardi di neuroni, cellule nervose [...] interconnesse l'una con l'altra in maniera estremamente intricata. Ogni neurone si connette in media con 10.000 altri neuroni... il numero di interconnessioni sinaptiche di un singolo cervello umano supera abbondantemente quello delle stelle della nostra Via Lattea: 1015 sinapsi contro 10 stelle».
Si dovrebbe spiegare come sia possibile che dal caos primordiale sia stata plasmata per caso una entità così eccezionale, di inaudita complessità, quando neanche un infimo organismo unicellulare poteva statisticamente essere prodotto casualmente.
Oltretutto uno dei pilastri del pensiero scientifico è il Secondo principio della termodinamica, secondo cui nel tempo, l'entropia (indice di disordine del sistema) dell'universo tende ad aumentare (cioè si va sempre dall'ordine al disordine, dall'unità al caos, tutto si disperde e si degrada). Com'è possibile che si sia passati dal caotico ammasso atomico iniziale alla mirabile e misteriosa architettura del cervello umano?
Ancora più sorprendente è l'esistenza di quel sistema di informazioni chiamato DNA che mette in grado qualsiasi organismo umano con l'accoppiamento di generare in brevissimo tempo un altro essere umano dotato di quel mistero inspiegabile che è la coscienza.