Noi viviamo, in un certo senso, per diventare vecchi, non per restare eternamente giovani. E l'espressione "diventare vecchi" indica qualcosa di positivo: l'invecchiare è un movimento, un divenire, un crescere. Ma invecchiare bene è un'arte, da imparare con pazienza e con sapienza, che arricchisce la vita propria e quella altrui. L'arte della vita consiste nell'abbandonarsi al processo di trasformazione interiore dell'esistenza. In quest.arte ogni giorno possiamo esercitarci. Sono importanti il corpo e l'anima, i rapporti interpersonali, ma anche le domande sul senso della vita. Lo sguardo alla terza età si limita ad acuire gli interrogativi che, in realtà, valgono per l'intera esistenza. La vita è adesso. E, in fondo, non viviamo per restare giovani, ma per diventare vecchi. "Nell'espressione "diventare vecchi. è descritto qualcosa di importante, qualcosa di positivo: l'invecchiare è un movimento. C'è ancora qualcosa in divenire nell'essere umano. C'è qualcosa che cresce. Ogni persona ha bisogno di una sensibilità per ciò che può essere realizzato specificamente nella fase dell'esistenza che sta attraversando" (Anselm Grün).
INTRODUZIONE
Per invecchiare, invecchiamo senza dover muovere un dito. Ma se e come l’invecchiare ci riesca è un’altra questione. «Sapere come si invecchia – è il capolavoro della saggezza e uno dei capitoli più difficili dell’arte di vivere», afferma Fréderic Amiel. Un’arte è qualcosa che bisogna saper fare, e perciò non è qualcosa di ovvio. Dobbiamo imparare come invecchiare bene. L’abilità ha a che fare con il comprendere, il sapere e la saggezza. Per apprendere l’arte dell’invecchiare è necessaria la comprensione di ciò che succede in noi e a noi nel corso di questo processo. In tedesco la parola per ‘arte’, Kunst, è collegata anche al termine kund, ‘rendere noto’. Chi impara l’arte dell’invecchiare, non invecchia bene soltanto per se stesso. Non impariamo mai l’arte dell’invecchiare soltanto per noi stessi, ma sempre anche per gli altri. Con la nostra vita mostriamo loro qualcosa che ne arricchisce l’esistenza.Il filosofo greco Platone afferma che l’arte è imitazione. E pensa alla natura che l’artista deve imitare nelle proprie opere. La natura, secondo questo modo di intenderla, ci insegna anche come invecchiare bene. L’autunno è il simbolo della terza età. In autunno si raccoglie. Anche la vecchiaia mostra il raccolto di una vita. Possiamo guardare con gratitudine i frutti che la vita ha prodotto. I colori dell’autunno sono più vari di quelli del resto dell’anno. E sono colori dolci. È un insegnamento che ci impartisce la natura: invecchia bene chi diventa più dolce, non soltanto nei suoi giudizi, ma in tutto il suo essere. E allo stesso tempo scoprirà che la sua vita diventa interiormente più ricca, più varia, spesso luminosa come un ottobre dorato. Lo sguardo alla natura ci mostra ancora un’altra cosa: dell’arte dell’invecchiare fa parte anche il distacco, così come gli alberi si liberano del fogliame, lo lasciano cadere a terra, perché possa diventare terreno fertile per una nuova vita.
Nell’espressione ‘invecchiare’ è descritto ancora qualcosa di importante, di positivo: l’invecchiare non è qualcosa di statico o di chiaramente concluso una volta per tutte. È un movimento. C’è ancora qualcosa in divenire nell’essere umano. C’è qualcosa che cresce.
Quando qualcuno è vecchio, ciò ha due significati. Da un lato, è diventato vecchio. Se ne notano le debolezze. Ma questo è soltanto un aspetto. L’altro lato: è vecchio, è la sua età. Non deve più offrire alcuna prestazione. Assapora il puro essere. Nella condizione della vecchiaia è qualcuno di presente, interamente se stesso.
Le parole cambiano e assumono in sé significati sempre nuovi. In tedesco alt, ‘vecchio’, deriva da un verbo che significa ‘crescere, coltivare, nutrire’. È legato anche al termine latino altus, ‘alto’, che viene da alere, ‘alimentare, allevare’. L’albero di alta statura è vecchio. Originariamente, quindi, alt ha un significato positivo. Ma in modi di dire come «se perdi, sembri vecchio», questa parola viene ad avere un effetto negativo. Lo sminuire la vecchiaia in un’epoca in cui ha valore soltanto ciò che è giovane e giovanile ha avuto degli effetti che si sono ripercossi fin nel nostro linguaggio. Perciò è importante parlare del fatto di essere vecchi e dell’invecchiare in un modo che sia conforme al significato positivo originario.
L’arte dell’invecchiare non è limitata soltanto alla terza età. Invecchiamo sin dalla nascita – lo dice già sant’Agostino. I giorni assegnatici diminuiscono. Diventiamo più vecchi. Non è qualcosa di statico o di prestabilito, ma un processo che dura una vita. Non si tratta soltanto di un processo di diminuzione, bensì anche di un processo di maturazione. Diventare vecchi, come già detto, esprime proprio questo movimento positivo: qualcosa è in divenire. Anche qui la natura ci dà l’esempio. Ogni fase della nostra esistenza ha il suo significato. La primavera è il simbolo dello sbocciare della vita, della freschezza e della vitalità. L’estate è il simbolo della pienezza della vita, l’autunno della varietà dei colori e del raccolto e l’inverno del silenzio e del riposo perché possa sbocciare nuova vita.
Così come ogni stagione è piena di significato, anche ogni età della vita dell’essere umano ha un suo significato specifico. E, in ogni fase dell’esistenza, è bene vivere ciò che è conforme a essa. L’adolescente deve porre l’accento su valori diversi rispetto a quelli dell’anziano. È vero, si dice che la gioventù è un dono, l’invecchiare un compito. Ma anche il giovane deve adempiere al compito che gli pone la giovinezza. Ed esso consiste nel lottare, nel conquistarsi la vita e nel trovare la propria identità. Se l’anziano continuasse a lottare per il suo posto nell’esistenza, per noi ciò risulterebbe abbastanza ridicolo. Ogni persona ha bisogno di una sensibilità per lo specifico che vuole sia realizzato nella fase della vita che sta attraversando.
In autunno, dicevamo, si raccoglie. Parallelamente, quindi, l’invecchiare è la maturazione di un frutto che ci dà gioia, di cui godiamo noi, ma che feconda anche altre persone. Il frutto che va maturando nella vecchiaia – per restare nella metafora – vuole addolcire la vita anche ad altre persone. Chi parla dell’invecchiare non parla soltanto di forze che diminuiscono, di decadimento e di debolezza, anzi: fino a tarda età esistono delle opportunità e delle possibilità positive di crescita, di maturazione e di compimento.
Il noto studioso della terza età Paul Baltes amava raccontare un aneddoto su Arthur Rubinstein. Una volta all’ottantenne fu chiesto come facesse a essere ancora un pianista tanto dotato alla sua età avanzata. Nella sua risposta l’artista parla di tre principi, che gli hanno sempre consentito di suonare così bene il pianoforte: selezionare, ottimizzare, compensare. Selezionando i pezzi per lui importanti, aveva ridotto il proprio repertorio – cioè aveva fatto una scelta. Attraverso questa selezione poteva provare questi brani più spesso e in maniera più intensa che in passato. In tal modo migliorava la sua tecnica. Si tratta quindi di un’ottimizzazione. E poiché non era più in grado di suonare i pezzi scelti con la stessa velocità del passato, applicava un accorgimento: prima di passaggi particolarmente veloci rallentava il ritmo; a confronto, tali passaggi apparivano poi sufficientemente veloci. È una forma molto efficace di compensazione e parte di una strategia positiva. Confuta il pregiudizio secondo cui l’invecchiare vada visto soltanto nel segno del calare e della diminuzione. Limitarsi a pochi obiettivi, ma perseguirli in maniera molto energica, cercando, nel contempo, risorse interiori ed esteriori di compensazione adatte – è questa l’arte dell’invecchiare bene. Ciò che Arthur Rubinstein ha descritto qui come segreto della sua arte nell’invecchiare, non vale soltanto per gli artisti, ma per chiunque si senta addosso gli anni che ha. Forse non riesce più a fare tante cose come in passato. Deve però scegliere che cosa è importante per lui, per impiegare meglio le proprie forze. Deve vivere con consapevolezza ciò che è importante per lui e aprirvisi completamente. Naturalmente ha bisogno di metodi per gestire bene i deficit. Deve colmare alcune lacune nel proprio sapere con la sua esperienza e alcune lacune nella sua capacità di rendimento fisico tramite l’abilità di realizzare lo stesso qualcosa, con un minore dispendio di energia.
Si vive soltanto una volta, si dice. Ciò significa: la vita di ogni persona è unica. Ogni persona è eccezionale. Romano Guardini afferma che Dio ha pronunciato una parola d’ordine su ogni persona che «è in ordine», che va bene, soltanto per quella persona. Il nostro compito in ogni fase dell’esistenza è far diventare udibile in questo mondo tale parola unica che Dio pronuncia su di noi. Viviamo davvero bene soltanto quando diventiamo consapevoli della nostra unicità e quando interiorizziamo che viviamo soltanto una volta. Nella sua predicazione, Gesù ci ha continuamente esortato a destarci e a vivere davvero – non prima o poi, ma adesso. Abbiamo soltanto questa vita, infatti. E non dovremmo trascorrerla dormendo. La vita è sempre adesso: non dobbiamo semplicemente vivacchiare, bensì andare per il mondo con gli occhi aperti e lasciare consapevolmente la traccia della nostra vita in questo mondo.
Ad alcuni viene paura quando riflettono consapevolmente sul fatto di vivere soltanto una volta. Ficcano nella vita tutto ciò che promette un rapido piacere. Per loro l’invecchiare è una catastrofe. Nella vecchiaia, infatti, potrebbe magari essere troppo tardi per tutto. In questo modo, però, diventano incapaci di assaporare davvero la loro esistenza in ogni momento. Fissano soltanto la breve vita e ritengono di dover effettivamente attuare tutti i loro desideri profondi di vita. Ma poiché non ci riusciranno mai, perché il desiderio profondo non conosce limiti, diventano sempre più frenetici e allo stesso tempo scontenti.
Alcuni magari sfuggono a quest’unicità e irrevocabilità dell’esistenza credendo a un ritorno sulla terra, alla reincarnazione. Ma questa per me è una fuga davanti all’unicità della vita. Invece di vivere in maniera consapevole e intensa, mi consolo con la speranza di avere un’altra opportunità di fare meglio le cose. In questo caso, però, si passa sopra all’altra faccia della dottrina della reincarnazione, quella, cioè, secondo cui, attraverso la vita non vissuta nel qui e ora, un karma negativo renderà più difficile la vita futura.
Trovo più simpatica un’altra alternativa: quando le persone intendono l’unicità della loro esistenza come un invito a diventare consapevoli della loro vita eccezionale e ad assaporarla fino in fondo, a percepirla in tutte le sue sfumature e a plasmarla qui e oggi, in ogni fase della vita. Vivo soltanto una volta. Ciò è anche una sfida a strutturare quest’unica vita bene quanto più mi è possibile. L’arte di vivere la vita unica in maniera consapevole e intensa non incomincia soltanto con l’ingresso nella terza età. Dal primo giorno, dalla nascita, ogni giorno diventiamo un po’ più vecchi. Perciò l’arte della vita consiste appunto in quest’arte di invecchiare: nell’abbandonarsi al processo di trasformazione interiore dell’esistenza. L’obiettivo della trasformazione è che cresciamo sempre di più tendendo ad assumere la forma unica ed eccezionale che Dio ci ha assegnato.
L’arte dell’invecchiare consiste nel cercare, in tutte le esperienze della nostra vita, incluse tutte le dissonanze, la nostra melodia, nella quale si allentano le tensioni che sentiamo dentro di noi. In quest’arte dell’invecchiare possiamo esercitarci per tutta la vita, non incomincia soltanto con la pensione. Nella prospettiva della terza età gli interrogativi che in realtà valgono per tutta la vita si pongono soltanto in maniera più acuta. In fondo non viviamo per restare giovani, ma per diventare vecchi.
Erich Fromm paragona il nostro compito nella vita con un parto. Il nostro compito è di nascere completamente. Leonardo Boff riprende questa metafora quando, in un testo per il proprio settantesimo compleanno, scrive: «La vecchiaia è l’ultima tappa del crescere umano. Nasciamo interi, ma non siamo mai completi. Dobbiamo portare a termine la nostra nascita realizzando la nostra esistenza, aprendo strade, superando difficoltà e plasmando il cammino della nostra vita. Siamo sempre in divenire. Incominciamo con la nascita. Nel corso della nostra vita continuiamo a nascere a rate, finché portiamo a termine la nostra nascita. Allora entriamo nel silenzio. E moriamo. La vecchiaia è l’ultima opportunità che ci offre la vita per portare a termine la nascita». L’invecchiare fa parte di questo processo esistenziale complessivo.
Questo non è un libro sulla vecchiaia. In quanto segue non voglio riportare delle conoscenze mediche, ma neanche una descrizione sistematica dell’invecchiare. Desidero piuttosto affrontare gli interrogativi che si pongono a tutti noi nel diventare vecchi. Si tratta di interrogativi che, nei colloqui con le persone, mi hanno toccato e che si sono posti nel corso del mio stesso invecchiare. Naturalmente non posso dare delle risposte di validità assoluta. Vorrei soltanto cercare di rispondere in modo che voi, care lettrici e cari lettori, per il vostro processo dell’invecchiare, scopriate dentro di voi una strada che, attraverso tutte le tappe dell’esistenza, vi conduca alla vita vera, a quella vita che non può essere distrutta nemmeno dalla morte.
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Dott. Gualtiero Spada il 19 dicembre 2017 alle 13:04 ha scritto:
Una nostra cara amica suora, ci ha richiesto il libro per sua cultura. Approssimandoci agli 80 anni, con mia moglie ne approfittiamo avere una guida al "buon invecchiamento". Rinviamo, quindi, il nostro giudizio sul contenuto, al termine della lettura.