EAN 9788839964359
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Giacomo Canobbio, teologo noto in Italia e all’estero per una notevole mole di pubblicazioni e per essere stato dal 1995 al 2003 presidente dell’Associazione Teologica Italiana (AT I), con il presente studio offre ai lettori un’accurata ricerca su uno degli assiomi teologici in questi ultimi anni più studiati e, diciamo anche, più “diffamati”, sia per il presunto inaccettabile contenuto sia per la larga ignoranza della sua origine e del suo vero significato. Il sottotitolo indica bene quale è il filo conduttore dell’indagine dell’Autore: fare una storia attenta del principio e indicarne il senso alla sua origine, nel corso della sua lunga storia ed eventualmente anche nella teologia presente, al di là della critica avanzata nei suoi confronti dall’odierna ecclesiologia e teologia delle religioni e del dialogo interreligioso. È riuscito Canobbio a fare una ricostruzione storica del principio che ne indichi il suo vero significato e a prospettare una sua validità teologica, anzi di fede, dato che egli più di una volta ricorda che si tratta di un “dogma”, anche nel contesto della coscienza cristiana di oggi? Crediamo di sì, anche se quanto alla “necessità della Chiesa” per la salvezza forse avrebbe potuto essere più esigente.
Richiamando l’articolazione della sua esposizione, rileviamo che nell’ampia Introduzione (pp. 7-49) ha collocato la problematica dell’accettazione del “principio” nel contesto della recente teologia delle religioni, ove è sommariamente radiato. Per questo l’Autore ha ritenuto più che opportuno nel primo capitolo (pp. 52-109) riandare alla sua origine, prestando attenzione al “clima teologico” ove maturò e in particolare ai suoi due “inventori”, Origene e Cipriano, secondo i quali, rileva, con l’evento Cristo si è manifestata una novità nella storia, per cui «la chiesa è la casa/ città in cui si può trovare rifugio, l’arca nella quale ci si salva dal “diluvio”, la madre dalla quale non ci si può staccare pena perdere la vita» (p. 109), per questo «in essa bisogna entrare; coerentemente, chiunque rifiuti di aderire alla chiesa, che è una e unica, non può pensare di giungere al porto desiderato » (108); e ciò non riguarda solo coloro che se ne sono allontanati o rischiano di allontanarsene, ma anche coloro che ne sono fuori (cf. p. 106), perché è necessaria alla salvezza.
L’Autore si chiede se questa visione sia in continuità con il pensiero biblico. Nel capitolo secondo (pp. 110-169) perciò fa un’ampia analisi della visione biblica col titolo: «Salvezza “incondizionata” per tutti? Uno sguardo alle Scritture cristiane». Uno studio della visione biblica dell’elezione, os- 120 Recensioni serva, porta a concludere che Israele resta sempre il termine dell’elezione e se si avverte un’apertura universale, «questa non implica che tutti i popoli, comunque vivano e qualunque fede professino, parteciperanno allo shalom che Dio vuol stabilire, senza un processo di conversione, anche solo parziale, al culto di Yhwh» (p. 132); in sostanza non si dà una visione della salvezza delle “genti” parallela a quella di Israele, che è chiamato ad essere testimone di Dio salvatore a loro vantaggio. Un’attenta analisi delle fonti neotestamentarie inoltre porta a vedere l’ingresso nella chiesa come «associazione a Cristo o alla salvezza» (p. 166). Ma, messo in chiaro ciò, «si può dire che solo nella chiesa si può ottenere la salvezza, secondo l’assioma formulato da Origine e Cipriano? […] Sebbene nel NT non si trovi il nostro principio, appare indiscutibile che la chiesa è il luogo nel quale è dato incontrare Cristo e il mezzo attraverso cui il mistero, cioè il disegno salvifico di Dio, si attua, pur avendo questo una dimensione universale» (p. 169). Il terzo capitolo (pp. 170- 227) è dedicato al cammino storico della teologia da Agostino al Concilio di Firenze; esso è significativamente titolato «Verso la “dogmatizzazione” e la “relativizzazione” dell’assioma».
Si tratta di pagine interessanti, in cui Canobbio indaga la visione complessa del Vescovo di Ippona, mossa da due preoccupazioni congiunte: non restringere l’elezione divina ai soli appartenenti alla chiesa con il corpo (non ci si deve limitare alla communio sacramentorum quando si pensa alla chiesa, ma bisogna tenere presente anche l’ecclesia ab Abel) e mostrare la strumentalità della chiesa per la salvezza nella presente economia (è necessaria però la communio sacramentorum), preoccupazioni che resteranno vive nei secoli successivi, «anche se il restringimento della visione ecclesiologica produrrà un’interpretazione rigida del principio extra ecclesiam nulla salus» (p. 187), fatto che ebbe luogo nella teologia di Fulgenzio da Ruspe, formulatore di una «interpretazione esclusivista del principio» (cf. pp. 188-191); egli infatti «non assume il tema della ecclesia ab Abel, con quanto questa supponeva e implicava per Agostino. Per questo, nel vescovo di Ruspe il principio diventa esclusivo» (p. 191). Canobbio rileva che «l’accentuazione farà scuola e verrà assunta non solo dalla teologia, ma anche dal magistero della Chiesa nel Decreto per i giacobiti al concilio di Firenze (4 febbraio 1442)» (p. 192). Opportunamente l’Autore s’impegna a mostrare come nel corso della teologia, già in ambito postagostiniano, vennero apportati “correttivi” alla rigida interpretazione del principio, in particolare da Prospero di Aquitania e san Giovani Crisostomo (cf. pp. 192-199).
Lo sguardo alla successiva sistematizzazione scolastica, attenta in modo particolare alla necessità della fede e del battesimo in ordine alla salvezza, nonché alla volontà salvifica universale di Dio e allo stesso tempo alla responsabilità della libertà umana Recensioni 121 rispetto ad essa, fa dire a Canobbio che l’assioma «fuori della Chiesa non c’è salvezza» vi resta, ma «viene inserito ormai in un contesto che permette di coglierne la parzialità, pur senza negarne la verità» (p. 214): in sostanza, gli scolastici insegnano che Dio vuole la salvezza di tutti (volontà antecedente), ma tale volontà di fatto si realizza secondo giustizia, vale a dire nel rispetto della presa di posizione della libertà umana (volontà conseguente); perciò, su questo sfondo dottrinale il principio resta, ma necessita di essere armonizzato con la volontà salvifica universale. L’Autore rileva che «solo in epoca moderna, di fronte a nuove congiunture culturali, il frutto di queste (disquisizioni scolastiche) troverà spazio anche nei documenti magisteriali» (p. 214), mentre nella Chiesa medievale, in particolare nell’Unam Sanctam di Bonifacio VIII (1302) e al Concilio di Firenze, anche per motivi ecumenici e politici, si seguitò a ripetere la formula nell’accezione restrittiva di Fulgenzio (cf. p. 223).
La Riforma protestante e la scoperta dell’esistenza di popolazioni che non avevano mai sentito l’annuncio di Cristo e della sua Chiesa però aprirono nuovi orizzonti alla riflessione teologica. Per questo il capitolo quarto (pp. 228-295) è titolato: «L’assioma alla prova della svolta moderna», affresco che ripercorre la storia di 5 secoli di teologia, con queste scansioni: «dalle religioni alla religione», ove viene presentata la ricerca dell’unità tra la molteplicità delle tradizioni religiose tentata dal neoplatonismo cristiano rinascimentale (cf. pp. 229-239); «la teologia provocata dalle scoperte geografiche » (cf. pp. 239-250), ove viene evidenziata la tensione tra due poli teologici in cui essa si mosse: la necessità di mantenere la possibilità di salvezza per tutti e la necessità di precisare che solo nella vera chiesa si può ottenere la salvezza; «la grazia oltre la chiesa» (cf. pp. 250-258), ove viene trattata la risposta della teologia e del magistero all’esclusivismo giansenista; «dal cristianesimo alla religione» (cf. pp. 259-266), in cui è esposta la rivendicazione della religione naturale razionalista nei confronti delle religioni positive ritenute mitologiche e, di conseguenza, come reazione teologica apologetica cattolica, la verità e necessità della chiesa per la salvezza (cf. pp. 259-266).
Pagine interessanti in questo contesto sono dedicate dall’Autore all’insegnamento dei Papi del secolo XIX, in particolare di Pio IX, riguardo all’assioma “extra ecclesiam”. Pio IX per primo introduce «nell’insegnamento magisteriale […] il tema dell’ignoranza invincibile» della chiesa e della sua necessità (cf. p. 276) e quindi avanza la possibilità di salvarsi in coloro che ne sono affetti. L’esigenza di combattere l’indifferentismo religioso e veritativo, rileva Canobbio, in Pio IX «diventa un’occasione per ribadire con maggior forza il principio extra ecclesiam nulla salus, con l’accentuazione ormai in uso della vera chiesa, cioè quella romana» 122 Recensioni (pp. 278-279), affermazione contemperata, come detto, dall’affermazione dell’ignoranza invincibile. Questa visione fu presente al Vaticano I, che non apportò novità di rilievo al riguardo (cf. pp. 279-285). Prima di prendere in considerazione il Vaticano II l’Autore richiama l’interesse storico e teologico per le religioni e il cristianesimo, in particolare nella prima metà del secolo XX (E. Troeltsch), nonché la riflessione sull’appartenenza alla Chiesa per conseguire la salvezza (cf. pp. 285-295), con un cenno alla vicenda del teologo americano L. Feeney, fautore di un’interpretazione rigida dell’assioma (cf. p. 295). La tendenza teologica di questo periodo è da lui riassunta nei termini seguenti: «il principio della volontà salvifica universale portava ad ammettere per tutti una possibilità di salvezza, purché non fossero venuti a conoscenza del cristianesimo; questo, infatti, è la religione stabilita da Dio alla quale tutti dovrebbero aderire.
Ma il cristianesimo non si distingue dalla Chiesa. Sicché per ottenere la salvezza si doveva aderire alla vera chiesa, perché solo in essa è possibile ricevere la verità e la santificazione di Gesù Cristo. Eccetto il caso di ignoranza invincibile» (p. 294). Ma la teologia in questo periodo già stava spostando l’accento dalla necessità di appartenere alla chiesa alla volontà salvifica universale, portando in tal modo alla luce un filone nascosto della dottrina cristiana e aprendo la via al Concilio Vaticano II, il quale «cercherà di costruire un nuovo equilibrio tra le due verità» (p. 295). Il capitolo dedicato a questo concilio porta il titolo “Verso nuovi orizzonti – Il concilio Vaticano II (1962-1965)”. L’esposizione è chiara, accurata, fedele ai testi, tesa a mettere in chiaro ciò che il Concilio ha realmente insegnato. Nel contesto della dottrina ecclesiologica del Vaticano II tratta della necessità della chiesa (cf. pp. 302-312); della chiesa come sacramento universale della salvezza (cf. pp. 313-318); dell’appartenenza alla chiesa (cf. pp. 318-325), della chiesa, del cristianesimo e delle religioni (cf. pp. 321- 337). Canobbio riassume con chiarezza quanto ha esposto diffusamente nelle pagine precedenti nei termini seguenti: il Concilio ribadisce la necessità della chiesa, pur collocandola nel contesto di una nuova visione ecclesiologica; la chiesa «è il luogo e lo strumento della salvezza per tutti. Le modalità attraverso le quali la chiesa esercita il suo influsso su coloro che non ancora ne sono venuti a conoscenza non sono però indicate» (pp. 338-339); lo Spirito Santo dà la possibilità concreta a tutti gli uomini di venire associati al mistero pasquale salvifico (cf. p. 339); tale possibilità però, annota l’Autore, è concessa ai singoli, non alle tradizioni religiose quali vie di salvezza (cf. p. 430).
Tenendo conto di tutto ciò, sostiene che si possa dire che il Vaticano II ha superato l’ecclesiocentrismo, ma nel senso che la chiesa «viene pensata in relazione al disegno di Dio» (p. 340), realtà Recensioni 123 principale e fondamentale insegnata da esso e non che «è considerata uno dei mezzi per giungere alla salvezza, che si differenzierebbe solo per grado rispetto agli altri: il salto è di carattere qualitativo, non solo quantitativo» (p. 340); per il Vaticano II la chiesa ha valore solo come «segno e strumento del piano di Dio» (p. 341); si tratta di un “teocentrismo” e «sull’orizzonte di questo va compresa l’affermazione della necessità della chiesa» (p. 431). L’analisi, come dicevamo, è rigorosa, testuale, illuminante; non contesta eventuali evoluzioni dottrinali, ma intende separarle chiaramente da ciò che il Vaticano II ha realmente detto e insegna. Canobbio intitola il sesto e ultimo capitolo (pp. 342-396): «Dio ha ancora bisogno della chiesa?». Si tratta di pagine dense, le più personali, ove vengono affrontate tematiche quali: la qualità teologica della salvezza; la visione tradizionale intimistica ed escatologica di essa; le nuove prospettive storiche prospettate dalla teologia politica e della liberazione (cf. pp. 353- 369); la specifica missione della chiesa per realizzarla, che, per essere tale, deve essere fondata su e normata dall’evento Cristo sia nel suo momento storico che nel suo esito escatologico e; in seno alla storia, nella sua pienezza è «adesione compiuta a Cristo (grazie all’azione dello Spirito) (che) coincide con la piena incorporazione nella comunità cristiana» (p. 377). Qui naturalmente l’Autore affronta la problematica attuale del «rapporto tra l’esperienza di salvezza che è proposta e si vive nella chiesa e quella che si vive nelle religioni» (p. 378).
Richiamando RMi 55, ove si afferma che «la chiesa è la via ordinaria della salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza» e RMi 10, ove si sostiene che la grazia per la quale tutti si salvano «ha una misteriosa relazione con la chiesa», Canobbio, rilevando che l’enciclica «non spiega in che cosa consista tale misteriosa relazione» (p. 391), ritiene di poter articolare la relazione tra la “via ordinaria” e le “vie straordinarie” nel modo seguente: pur se nel salvare gli uomini Dio può prescindere dalla via della chiesa; tuttavia «si deve, almeno, pensare che (la sua grazia) passa attraverso la chiesa, in quanto senza di essa non si saprebbe in forma definitiva cosa sia salvezza, per il fatto che non si conoscerebbe in forma compiuta quel che Dio pensa per l’umanità e questa non avrebbe al suo interno l’esperienza concreta nella forma dell’anticipo, del suo destino ultimo» (p. 392). Questa prospettiva, precisa l’Autore, «mantiene la possibilità per i singoli di salvarsi anche al di fuori della Chiesa, ma afferma la necessità della chiesa perché l’umanità nella sua totalità abbia la piena conoscenza e la speranza della salvezza. Senza la chiesa non si avrebbe nella storia la certificazione che Dio conduce tutti alla comunione con sé, e non si avrebbe il simbolo efficace di tale comunione» (p. 393). 124 Recensioni In verità, ci sembra che questo nesso sia troppo tenue.
Pensiamo che sia da valorizzare di più l’idea teologica della rappresentanza della chiesa per tutta l’umanità, specialmente mediante l’intercessione, come l’Autore stesso prospetta, con riferimento a teologi contemporanei (cf. pp. 393- 394 e ivi, nota 55). Pensiamo di aggiungere che il dato di fede e teologico dell’intima unità di Cristo capo, mediatore universale della salvezza, con il suo corpo mistico, abbracciante potenzialmente tutta l’umanità, permetta di pensare la chiesa come quella parte dell’umanità alla quale tende e dalla quale defluisce tutta l’iniziativa di salvezza di Dio in Cristo salvatore, per cui le altre “vie di salvezza” di Dio non sono “parallele” ad essa, ma sono inserite nella dinamica della sua vita, che è quella dell’unico Mediatore, perciò si nutrono di essa e nel disegno di Dio sono chiamate a trovare nell’incorporazione alla chiesa la loro pienezza per la dinamica interna della grazia cristica e il mandato missionario impartito da Gesù Cristo. Concludendo, si può dire che, da quanto evidenziato, il libro di Canobbio è un’opera profonda, istruttiva, “attesa”, molto utile nel contesto attuale per fare chiarezza su una questione vivacemente dibattuta sia sul piano storico che sistematico.
Riteniamo che tra l’altro siano da rilevare alcuni pregi dell’esposizione dell’Autore: la precisione concettuale, l’attenzione ai contesti storici in cui le affermazioni teologiche sono state fatte o ripetute, l’esatta interpretazione dei testi, l’intento di rispettarne il dettato e di non coartarli a supporto di tesi precostituite o di problematiche teologiche sorte o maturate posteriormente. C’è da augurarsi che trovi molti lettori e contribuisca a far progredire il dibattito teologico intorno alla problematica centrale della fede e della vita cristiana nel mondo plurireligioso e globalizzato attuale.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 1/2010
(http://www.pul.it)