Nove profonde meditazioni sul testo evangelico, attente alla vita dell'uomo contemporaneo, scandiscono in questo libro il cammino dietro a Gesù che Marco propone a ogni credente. Il Vangelo più antico e più breve ruota attorno alla domanda sull'identità di Gesù: guardando a lui e meditando le sue vicende il lettore può giungere a comprendere la lieta notizia del figlio di Dio che si è fatto uomo, nella solidarietà con gli umili, percorrendo la strada della croce. Un messia che ribalta e supera le attese, e che non smette di interrogare la vita dell'uomo. In questo percorso nella parola evangelica di Marco, Bruno Maggioni è guida esperta e sapiente.
INTRODUZIONE
Le seguenti meditazioni non hanno tanto lo scopo di convertire, ma possiedono piuttosto un’altra finalità: quella di far ritrovare la gioia della fede, nella consapevolezza di essere sì dei peccatori, ma contenti e sicuri di essere amati da Dio e quindi perdonati. Il tentativo, quindi, è quello di rileggere le parole dell’evangelista Marco e, attraverso di esse, la figura del discepolo, l’amore di Cristo e l’amore di Cristo per il discepolo.
L’unica grande tentazione da evitare è quella di «pensare agli altri»: bisogna pensare piuttosto a se stessi, alla propria fede, alla propria vita, alla propria interiorità.
È una scommessa sulla parola di Dio: occorre rimanere fedeli, il più possibile, alla parola di Dio; bisogna credere all’efficacia di questa Parola, la quale non è una Parola come le altre. Vi sono anche altre parole autorevolissime, ma quella di Dio ha un suo posto, soprattutto nella formazione del proprio itinerario di fede. Essa è una parola a cui far credito innanzitutto per la sua efficacia, un’efficacia un po’ lenta, la quale richiede pazienza, non è mai improvvisa; sconcerta per il fatto di essere di un’efficacia libera. La parola di Dio è efficace, però non si può stabilire prima o a priori quale efficacia essa debba avere: è una parola, quindi, che non serve a sostenere i progetti umani, per i quali risultano più utili altre parole, che non quelle di Dio. La parola di Dio è invece efficace perché fa crollare i progetti umani, li modifica. Come cristiani non si ha il diritto di fare dei progetti e poi chiedere alla parola di Dio di sostenerli, ma è piuttosto la Parola a fare i progetti! La parola di Dio plasma dei cristiani un po’ speciali, cristiani liberi, cristiani che criticano, cristiani che non accettano quello che si fa in nome della parola altrui, che non sia quella di Dio: oggi si preferiscono cristiani che non hanno nulla da dire, che eseguono e basta! La parola di Dio crea invece uomini che sanno giudicare. La parola di Dio è infine una parola che sa parlare «di Dio»: dove si trovano altre parole che parlano di Dio? Il Vangelo di Marco è istruttivo in tal senso e richiede un’attenta concentrazione sul suo particolare testo.
Anzitutto osserviamo il titolo iniziale: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio» (Mc 1,1). La parola chiave è «Vangelo» (lieta notizia), che, in bocca a Marco, non significa più soltanto l’annuncio del Regno fatto da Gesù, bensì comprende anche la persona e la storia di Gesù, annunciate ora nella predicazione della chiesa. Ma qual è il contenuto di questa «lieta notizia»?
Nel mondo antico «lieta notizia» era l’ascesa al trono di un nuovo imperatore, da cui i popoli speravano finalmente pace e prosperità, oppure era una vittoria sui barbari. Per molti giudei «lieta notizia» indicava l’arrivo di un messianismo politico e nazionale.
E per l’evangelista Marco? Si potrebbe tradurre l’espressione marciana in questo modo: inizio della lieta notizia che consiste nel fatto che Gesù è il Messia, è il Figlio di Dio. Così è tutto più chiaro. Per Marco la lieta notizia consiste nel fatto che il Figlio di Dio e la sua salvezza si sono manifestati in Gesù e nella sua vicenda, una vicenda di solidarietà con gli uomini, i più umili, una vicenda che ha percorso la strada della croce. Se il Figlio di Dio si fosse manifestato nelle forme splendide dell’imperatore, non sarebbe stata una lieta notizia, non sarebbe stata la novità di Dio, perché la comparsa di Gesù è appunto una novità, una sorpresa, tanto che a molti parve perfino deludente, contraddittoria con il piano di Dio.
Marco invece è convinto che la novità di Gesù corrisponda profondamente al piano di Dio: ecco perché inizia citando il profeta Isaia (Mc 1,2-3):
Come sta scritto nel profeta Isaia:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Prima Meditazione
Giovanni, il battesimo,
la tentazione,
i primi discepoli
(Mc 1,2-20)
Dopo il titolo iniziale (Mc 1,1), Marco si sofferma sulla figura di Giovanni Battista, che ha la sola funzione d’indicare Gesù Cristo: questa funzione è essenziale.
Presentato il Battista con questa «concentrazione» (la quale dovrebbe richiamare anche noi al dovere della concentrazione, perché noi non abbiamo tante cose da dire, ma una sola, che va detta e che deve essere sempre in primo piano), l’evangelista prosegue presentando Gesù nell’episodio del battesimo e della tentazione; subito dopo introduce i discepoli. Con tutto ciò le presentazioni sono fatte: il Battista e l’AT alle spalle, Gesù e i discepoli; dopo inizierà la vera e propria storia.
Il racconto del battesimo, tentazione e chiamata dei discepoli (Mc 1,9-11):
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
La bellezza di queste poche righe che narrano il battesimo è data dal fatto che anticipano già qualcosa che riguarda tutto il Vangelo e cioè una serie di antitesi, di tensioni, quasi di contraddizioni che sono necessarie per rispondere alla domanda: «chi è Gesù Cristo?». Per capire chi sia, occorre osservare le contraddizioni sia nelle sue parole, sia nel suo comportamento, sia nella sua persona, sia negli incontri e bisogna tenerle presenti tutte, perché è solo alla luce di questi apparenti contrasti che si capisce chi sia Gesù.
Il primo contrasto, irrilevante per i lettori, ma che possiede un suo significato, è che Gesù viene da Nazaret. Questo Gesù, che sarà detto altresì «Figlio mio, l’amato» (Mc 1,11), viene da Nazaret, il che era completamente fuori dai canoni di quel tempo. Tanti attendevano un Messia che venisse da Dio, ma non che provenisse da Nazaret. Perché proprio Nazaret? È un Messia che si presenta con un’origine inaspettata, la quale non collima con la dignità messianica, così come anche oggi è immaginata. I lettori odierni congetturano la dignità di Dio, ritengono di sapere ciò che è degno di Dio e ciò che non lo è. Gesù invece viene da Nazaret e questo costringe a cambiare il concetto della dignità di Dio.
Vi è però un altro contrasto. Giovanni dice (Mc 1,8): «Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo»; Giovanni inoltre battezzava per il perdono dei peccati. Quel Messia che lui ha indicato come il «più forte» (Mc 1,7), in realtà se lo trova lì davanti, in mezzo alla gente, che si fa battezzare, come gli altri. Non è fuori, ma è dentro la storia, è venuto a ricevere il battesimo di acqua, è venuto a ricevere il battesimo di conversione, un battesimo in remissione dei peccati. Ma il Messia non dovrebbe essere fuori da questa strada, da questa prassi? Lui non è peccatore, lui non ha bisogno della conversione e invece viene come tutti gli altri. È lui che deve battezzare e invece si fa battezzare da Giovanni e ciò rappresenta un fortissimo contrasto. La logica di fondo di questo Messia, di questo Figlio di Dio, è già chiara: non quella di uscire dal popolo, dal suo movimento, dalla sua conversione, ma piuttosto quella di stare dentro il popolo; sarà questa poi la logica che lo porterà sulla croce. Gesù non è sfuggito al fatto che i buoni sono crocifissi e, sebbene lui non avesse commesso peccati, ha condiviso la sorte dei peccatori, ha solidarizzato con la posizione del peccatore. Già in questo c’è un capovolgimento che Matteo esplicita (Mt 3,13-15):
Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare;
mentre Marco non dà mai spiegazioni didattiche, si fida del lettore, poiché non è un catechista che deve spiegare tutto. Un Messia che entra nella storia degli uomini, nel loro movimento penitenziale, portandoselo sulle proprie spalle: lui non ha peccato, ma è dentro una storia di uomini peccatori, è parente di tali peccatori; il Messia non ha commesso il peccato, ma è come se lo avesse fatto lui, e ne porta le conseguenze. Proprio lui che viene da Nazaret, che condivide il movimento penitenziale del suo popolo, che si presenta lui stesso come un penitente, proprio quest’uomo si sente dire: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11).
All’inizio del Vangelo Marco scrive: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). Il titolo «Figlio di Dio» ricorre pochissime volte nel resto del Vangelo: il primo caso è nel racconto del battesimo (Mc 1,11), si ritroverà poi alla trasfigurazione (Mc 9,7) e ai piedi della croce (Mc 15,39).
Il riferimento al «Figlio mio, l’eletto» ricorre nel Salmo 2,7 e in Isaia 42,1-7. Il testo del profeta Isaia meriterebbe di essere letto, perché non rivela solo chi è Gesù, ma anche la sua funzione che è quella del servo il quale deve annunciare fino alle isole lontane: è la sua missione, una missione universale.
Nel raccontare l’episodio del battesimo di Gesù, Marco sapeva certamente che era anche l’immagine del battesimo dei cristiani e avrebbe potuto sfruttarla per una catechesi sul battesimo. In realtà, l’evangelista non utilizza il racconto in questa direzione; il battesimo è piuttosto il momento in cui Gesù viene presentato e quindi l’attenzione ricade su chi sia questo uomo: egli viene da Nazaret, è il Figlio e il suo compito è quello di annunciare la gloria di Dio a tutte le genti.
Se pur sommaria, la presentazione di Gesù non è finita: per capire la sua vita non basta sapere che è un Messia con un’origine inaspettata, che condivide la sorte degli uomini, che deve annunciare al mondo. Il racconto di Marco prosegue così (1,12-13):
E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
A Marco non interessa la natura della tentazione. Mentre gli altri evangelisti raccontano tre tentazioni, nel testo marciano si dice solo che Gesù fu tentato e si dirà più avanti in che cosa consista la tentazione. In questa presentazione sommaria di Marco l’importante è che Gesù, oltre a venire da Nazaret, oltre a farsi battezzare come un qualsiasi penitente, è che lui – il Figlio di Dio – ha attraversato la tentazione. Il lettore potrebbe pensare: «il Messia non sarà mai tentato, gli uomini sì, ma il Messia no! Al battesimo inoltre ha ricevuto lo Spirito Santo e quindi sarà sicuramente sottratto alla tentazione, uscirà dalla storia normale degli uomini», ma è proprio lo Spirito che lo spinge invece nel deserto. Non è certo lo Spirito che tenta Gesù, però fa parte del disegno dello Spirito che Gesù sia tentato da Satana, che sia dentro la storia umana, che sia entrato nell’esperienza degli uomini. La bellezza del cristianesimo si configura non perché l’uomo è innalzato subito dalla sua umanità, con un movimento dal basso verso l’alto, ma la lieta notizia è piuttosto il movimento dall’alto al basso, di un Dio che s’incarna nel cuore della nostra umanità, nel punto più delicato della nostra esperienza, che è quella di dover chiedere perdono a Dio e di essere agitati dalla presenza del male.
Sussiste un collegamento tra battesimo e tentazione, una stretta connessione: «E subito lo Spirito» (Mc 1,12a). Lo Spirito, che discende su Gesù, è lo stesso Spirito che lo spinge verso il deserto, come a significare che, proprio perché è Figlio di Dio, è tentato, e, di riflesso, è come comunicare al lettore che poiché al battesimo diventa figlio di Dio, proprio per questo sarà tentato. L’essere dalla parte di Cristo non sottrae i cristiani dalla tentazione, anzi, in qualche modo, vengono immersi in essa. Anche in questo caso bisogna chiedersi: in che cosa consiste questa tentazione, così legata all’esistenza cristiana, così congiunta al tipo di «Figlio di Dio» qual è Gesù, amato da Dio appunto? E perché allora la tentazione? Dove sta?
Nel racconto marciano resta infine da presentare un altro personaggio senza il quale la storia di Gesù non poteva svilupparsi: il discepolo, la comunità, la chiesa. Ed ecco quindi il racconto della chiamata dei discepoli, preceduto da un sommario introduttivo (Mc 1,14-15):
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Al battesimo Gesù è presentato come il servo che deve annunciare, ma cosa deve annunciare? A chi deve annunciare? Interessante è anche l’annotazione temporale: «Dopo che Giovanni fu arrestato» (Mc 1,14a). Giovanni è la freccia che indica chi è e dove è Gesù, attira l’attenzione su chi è il «più forte», ma è anche il precursore, è stato arrestato prima di Gesù, il quale sarà pure lui arrestato e consegnato (è lo stesso verbo) come Giovanni. È significativo che il testo narri l’incarcerazione di un profeta e subito dopo che un altro prenda il «testimone» e inizi la propria azione profetica: i martiri sono come le ciliegie, una tira l’altra.
I cristiani oggi dovrebbero essere veramente orgogliosi di vedere tanti martiri in giro per il mondo, e la loro gioia è quella di sapere che erano uomini normali, che mai si sarebbe scommesso sul loro coraggio, eppure l’hanno avuto. Questo è consolante: forse tale coraggio si avrebbe, basterebbe mettersi in una giusta logica. Nessuno desidera morire, ma se dovesse capitare di morire, si troverebbe anche il modo e il coraggio di farlo. Come accadde ai monaci di Tibhirine. Quale prete ha letto nella sua predica il testamento del priore dei monaci uccisi in Algeria? Questi sono gli eventi da comunicare alla gente!
Gesù fa la scelta di recarsi nella Galilea, predicando la lieta notizia (Marco di solito privilegia il verbo insegnare, ma qui utilizza il verbo proclamare): «Il tempo è compiuto» (1,15a), è giunto il tempo atteso, il tempo ricco di possibilità, reso pieno da Dio; «e il regno di Dio è vicino» (1,15b), cioè l’azione di Dio è alla portata di mano. Si ha il coraggio di annunciare che il regno è vicino? Oggi viene piuttosto la voglia di dire che il regno si è allontanato! E invece è vicino: dal momento che Gesù ha detto che è vicino, lo è sempre in ogni epoca, anche in quella attuale. I cristiani sono gli indicatori del regno vicino o solo i denunciatori del male galoppante? Occorre essere annunciatori di speranza: se manca la speranza, che cosa si annuncia?
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Giovanni Basile il 26 marzo 2022 alle 17:01 ha scritto:
Questo è soltanto uno dei libretti commento insieme con quelli di Luca e Matteo, sempre dello stesso autore. Le meditazioni di Maggioni sono illuminanti per il lettore, in quanto suggeriscono aspetti inediti su alcuni episodi evangelici. Inoltre, vi è sempre un richiamo alla realtà della nostra quotidianità.