Leggere le lettere di Giovanni significa sintonizzarsi con un periodo assai fecondo e delicato in cui la comunità cristiana primitiva stava chiarendo sempre più a se stessa la propria identità grazie anche al confronto obbligato con alcune derive che potremmo definire - ante litteram - «ereticali». Una dimensione che attraversa tutta la Prima lettera è il continuo andirivieni tra fede e prassi, fra riflessione teologica e intuizione esistenziale. Ad esempio, se «Dio è luce» (1,5), i credenti non possono camminare nelle tenebre e se «Dio è amore» (4,8.16), i cristiani debbono amarsi reciprocamente. Pure la Seconda e la Terza lettera si occupano della vita concreta della comunità. La collocazione di questi scritti nel Corpus ioanneum è dovuta al loro rapporto molto stretto con il Quarto vangelo, del quale, la Prima lettera in particolare, sembra essere stata scritta in funzione di introduzione o di commento.
PREFAZIONE
La vita allontana il tempo passato,la scrittura lo riavvicina.
Tuffarsi nell’ascolto e nel commento delle tre lettere di Giovanni offre, fra le altre, l’opportunità di sintonizzarsi con l’intenzione dell’autore antico, il quale, avendo fatto esperienza dell’incontro con Gesù, sente il desiderio irrefrenabile di comunicarlo ad altri (cf. 1Gv 1,4).
L’atto dello scrivere, quindi, a cui esplicitamente ci si riferisce più volte lungo la prima lettera (1,4; 2,12-14; 5,13), è a servizio di un contatto vitale con una fonte dalla quale sembra che ci si stia inesorabilmente allontanando, ma alla quale, invece, è possibile attingere ancora. Se il flusso della storia crea un fossato incolmabile tra l’esperienza fondante (la vicenda di Gesù) e noi (l’odierna esperienza ecclesiale), gli scritti ispirati, invece, costituiscono il ponte che permette alle due «sponde» di restare in contatto e di comunicare.
Anche l’atto del commentare opere altrui, ossia scrivere sulla scrittura di altri, si pone in qualche modo sulla stessa lunghezza d’onda. Questo volume, quindi, che vorrebbe proporsi come una sorta di ri-scrittura attualizzante di tale porzione degli scritti giovannei, ha di mira avvicinare l’esperienza passata al momento presente; non, tuttavia, come semplice memoria storica ma come l’eco di voci di un tempo che si rendono udibili e intelligibili oggi. In fondo, l’umile ed esaltante esercizio della Lectio divina, scopo dichiarato di questa collana, vorrebbe creare i presupposti precisamente per questo contatto vitale con una Parola eloquente, sì, nel passato, ma che si fa vicina a noi ora e continua a parlarci.
Un sentimento di sincera e affettuosa gratitudine va a don Diego Baldan, teologo e amico, che mi ha riservato il dono assai gradito delle sue osservazioni critiche, contributo preziosissimo per il miglioramento del mio testo.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
SCOPO E CONTENUTO DELLA PRIMA LETTERA
1Giovanni 1,1-4
Lettura
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.
Interpretazione
• La centralità di un’esperienza
Il punto focale dell’incipit è un’esperienza concreta, da cui è scaturito tutto. Alcune persone hanno potuto incontrare Gesù e, avendolo conosciuto di persona, sono in grado – anzi, sentono il bisogno impellente – di darne testimonianza ad altri. Questo e non altro racchiude l’espressione «quello che» (più lapidaria nella versione greca: ho, traducibile pure con «ciò»), ripetuta fin quasi all’eccesso: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo [...] quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (vv. 1.3). Una sorta di ritornello che, su registri diversi, si concentra sulla medesima vicenda esperienziale, sensoriale e, in definitiva, totalizzante. Infatti, la si è potuta sperimentare tramite le modalità corporee dei sensi e quelle intellettive della conoscenza umana: l’udito, la vista, il tatto e, incastonata fra questi, la contemplazione. L’accento, come si può notare, cade più sulle dimensioni percettive, legate appunto all’immediatezza dei sensi, che non sulle elaborazioni dell’intelletto. Non tanto di un’idea, dunque, si tratta ma di un incontro.
Poi, accanto alla martellante insistenza sul dato esperito (quello che, quello che...), si affaccia pure un’altra pressante «invadenza», quella del noi, rimarcata nei verbi di prima persona plurale «abbiamo udito, abbiamo veduto, contemplammo, diamo testimonianza, annunciamo» e accentuata dagli aggettivi: «abbiamo veduto con i nostri occhi», «le nostre mani toccarono». All’autore sta a cuore comunicare il privilegio di aver goduto, non individualmente ma assieme ad altri, di un’esperienza fatta in prima persona.
Ma che cos’è questo «quello che»? Si tratta, forse, del modo più sintetico di tutto il Nuovo Testamento per indicare la totalità della vicenda terrena di Gesù: le sue parole, i suoi gesti, gli incontri e le vicende legate alla sua persona. L’autore riesce, così, a sintetizzare in un brevissimo monosillabo (ho) quanto gli evangelisti tentano, invece, di riprodurre in un’intera narrazione.
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Mattea Rinaldi il 28 giugno 2019 alle 10:55 ha scritto:
Ottimo e ben fatto
ANTONINO DANIELE FAMILIARI il 12 gennaio 2020 alle 09:42 ha scritto:
Testi fantastici e servizio stupefacente.