Un libro importante per ricentrare la comunicazione in ambito missionario ed ecclesiale, e per dare efficacia all'annuncio della buona novella in un mondo iperconnesso e ipercomunicativo.
PRESENTAZIONE
di Filippo Anastasi
Come si può essere prolissi con chi manca di tutto? Come si può essere teologi con chi soffre la fame? Come si può essere lenti con chi ha fretta per non morire di inedia? Queste solo alcune delle domande cui cerca di rispondere con la consueta acutezza padre Giulio Albanese nella sua ultima fatica, uno squisito saggio, sulle regole del gioco della comunicazione per i missionari e non solo.
Lui in questo è davvero maestro. Sa quello che dice, sa quello che scrive, sa quello che deve comunicare e come farlo. Non è piaggeria per un’antica amicizia dire che padre Giulio è il numero uno nel campo. L’esperienza l’ha vissuta sulla sua pelle, nelle terre della fame e della guerra, la cultura si è poi affinata con una straordinaria dimestichezza con i segreti più riposti della rete, fino a creare la Misna (Missionary Service News Agency), l’agenzia d’informazione missionaria che per anni ha diretto con totale dedizione.
Padre Giulio ha dato tanto al mondo degli umili, ma ha dato tanto anche a giornalisti esperti che dalle sue labbra spesso trovavano quella sintesi che era difficile dare. Quando alla radio o alla televisione si voleva una voce chiara bastava chiamare Giulio Albanese. Così anche gli scenari più oscuri si illuminavano e la gente semplice poteva capire.
Nella mia lunga esperienza come direttore del-l’informazione religiosa di Radio Rai ho avuto spesso i missionari come corrispondenti. Al Giornale Radio e in Oggi2000, il settimanale della domenica che ho ideato e condotto per oltre mille puntate, non mancava mai la presenza dei missionari. In diretta raccontavano mondi sconosciuti, affascinando una platea di oltre tre milioni di ascoltatori.
Nelle case degli italiani arrivavano gli appelli disperati di padre Tarcisio Pazzaglia dal Nord Uganda o le suggestioni di monsignor Panfilo dalla Papua Nuova Guinea. Non c’è luogo al mondo che non sia stato scoperto grazie a questi sacerdoti o suore coraggiosi, che spendono la loro vita per chi non ha nulla. Insieme agli ascoltatori e grazie ai missionari abbiamo girato il mondo. Loro, i miei corrispondenti preferiti e migliori, hanno spalancato finestre su Amazzonia e Groenlandia, Africa subsahariana, Mongolia e Birmania, Cina e Kazakistan, Somalia ed Eritrea, fino alla base argentina dell’Antartide. Raccontavano, urlavano, pregavano, chiedevano aiuto da guerre feroci e da fame terribile e davano via radio pugni nello stomaco a chi, satollo in una società opulenta, neppure immaginava quelle realtà crude. La loro comunicazione era efficace e immediata. Parole semplici e situazioni drammatiche vissute con amore, fede e semplicità. E tutta questa spontaneità si avvertiva e rendeva più forte la notizia. Anche i missionari più schivi e timidi diventavano, se ben sollecitati, giornalisti di razza. D’altronde la tradizione giornalistica del mondo missionario è antica e autorevole: da «Nigrizia» a «Popoli e Missione», da «Mondo e Missione» a «Missione Oggi». Lo steccato che si deve superare è proprio quello della comunicazione semplice, ma anche dell’approccio alla rete, ai portali, ai canali multimediali. Tanti, tanti anni fa il mio direttore de «Il Messaggero» di Roma mi disse: «Scrivi per farti capire dal tuo portinaio, se lui ti comprende allora avrai scritto bene». Un comandamento di comunicazione che non ho mai dimenticato e che ho sempre cercato di osservare, così come ha sempre fatto e continua a fare padre Albanese.
Nel suo saggio Giulio esalta la forza della parola, che non deve essere contaminata da prolissità e artificiosità. Si scaglia contro le prediche inutili, vuote di quei contenuti in grado di entrare dentro e di scalfire l’anima. Critica le lungaggini che – come diceva san Roberto Bellarmino quattro secoli fa – sono soltanto vanità del predicatore. Condanna senza mezze misure la comunicazione complicata, quella che si spaccia per alta teologia e non è altro che «ecclesiastichese». Insomma esalta la semplicità che non è semplicismo o vuoto di pensiero, bensì capacità di comprendere veramente per far ben comprendere agli altri.
Lo steccato da saltare a piè pari è quello dell’informazione di nicchia o dell’autoreferenzialismo. Mai rivolgersi solo al proprio ambiente e ai propri mezzi mediatici, ma cercare di penetrare con efficacia negli altri mondi: quello dei laici e più ancora quello degli agnostici e degli anticlericali. Questa è la vecchia, ma al contempo, nuova frontiera delle comunicazione, come ci sta insegnando papa Francesco grande e semplice comunicatore. Basta un suo gesto davanti a una telecamera per far arrivare a tutti un messaggio chiaro. Una carezza al pancione di una donna incinta vale più di un’enciclica sulla maternità e l’infanzia. Un abbraccio a un vecchio, a un disabile, a un profugo vale più di qualsiasi discorso sul rifiuto della cultura dello scarto.
Un gesto per comunicare, ma non tutti hanno l’efficacia o il carisma di papa Francesco e allora serve il potere della parola. Non di quella diligentemente appresa nelle scuole di comunicazione, ma di quella filtrata dal cuore, e per missionari e missionarie, dalla fede.
Si chiede padre Giulio: «Se non sappiamo co-municare, come andare nelle piazze?». Ma lui non intende soltanto piazze di villaggi o paesi, ma soprattutto quello dell’agorà informatica di cui è diventato sopraffino cultore. Il mestiere di comunicatore è servizio. Ai comboniani lo ha insegnato lo stesso fondatore san Daniele, quando scriveva per ogni bollettino per divulgare le sue idee e quando diceva «prendete le mie lettere e stampatele perché non ho molto tempo».
Padre Albanese ha sperimentato sul campo e sulla propria pelle la missione, adesso cerca di suggerire – con la sua abituale modestia, ma anche con fermezza – le regole perché questa missione sia veramente efficace. Avevamo bisogno di questo saggio, abbiamo bisogno di tanti padre Giulio.
NOTA DELL'AUTORE
Sebbene il testo non sia eccessivamente lungo – tengo a precisare, «di proposito» – è passato per molte mani. Non foss’altro perché ho avvertito il bisogno istintivo di confrontarmi con amici, confratelli e colleghi. Colgo l’occasione, in particolare, di ringraziare Lucio Racano, giornalista di lungo corso, che, rileggendo e correggendo le bozze, mi ha offerto utili suggerimenti. Una particolare menzione, poi, la rivolgo a due grandi amici: al mio confratello, padre Giuseppe Crea, che mi ha incoraggiato a prendere, per così dire, penna e calamaio per redigere queste pagine e a Nicoletta Anselmi per la verifica delle fonti. Inoltre, un sincero grazie a Sergio Pillon con il quale ho condiviso realizzazioni e sogni nel mondo internettiano e a Filippo Anastasi per la presentazione di questo saggio e le belle parole spese nei miei confronti. Infine ringrazio la mia redazione di «Popoli e Missione» per la riflessione e il contributo offerto nella stesura di questo saggio. Auguro a tutti una buona lettura!