Questo libro aiuta ad affrontare consapevolmente le questioni fondamentali del nostro tempo: per abitare il presente con entusiasmo e responsabilità, per affrontare anche la crisi come un'occasione di rinascita.
PREMESSA
Una complessità che ci interpella, un mondo da abitare e rendere abitabile Viviamo in un mondo complesso. Per qualcuno appare indecifrabile, come se tutto quello che si è imparato fosse diventato improvvisamente inutile e senza valore, e le competenze necessarie per muoversi oggi fossero troppo difficili da acquisire. Per altri appare eccitante, quasi un grande parco divertimenti in cui tutto sembra possibile. Per molti è piuttosto un campo di battaglia, dove combattere ogni giorno per difendere la propria dignità e umanità, senza cedere alla rassegnazione.
Insomma, i tempi odierni hanno la loro difficoltà, diversa a seconda dell’età, della fase della vita, della situazione, della cultura di provenienza... Ma una cosa è certa: come scriveva il poeta Frie- drich Hölderlin, «là dov’è il pericolo, cresce anche ciò che salva». La crisi è sempre anche occasione di rinascita, le difficoltà ci sfidano e ci stimolano. E, soprattutto, c’è una buona notizia: dopo de- cadi di individualismo spinto e teorizzato come fonte di libertà, felicità, soddisfazione, forse ci si è resi finalmente conto che non si può essere felici né liberi da soli. Grazie anche alla svolta social del web sta tornando, nella mentalità diffusa, l’idea che essere è condividere. C’è la consapevolezza che «nessun uomo è un’isola», come scriveva il poeta John Donne, che siamo interdipendenti, e che questo è un motivo di gratitudine e di forza per affrontare un presente impegnativo. Questo, in fondo, è il messaggio dell’era digitale: non siamo individui isolati, ma siamo tutti nodi di una rete. E questa connessione, oggi così facile e alla portata di quasi tutti, può diventare relazione e persino comunione se impariamo ad «abitare» il presente che ci è dato di vivere.
Con un’attenzione, che sarà richiamata anche nelle pagine che seguono: non cediamo alla tentazione di pensare che la tecnologia ci determini, che il web ci renda stupidi o intelligenti, democratici o controllati. Non è la rete che crea la relazione; non è il tecnologico che crea l’antropologico. Ma non pensiamo neppure che si tratti di una dimensione «virtuale», lontana dalla realtà benché capace di influenzarla. Anche se questi sono i racconti che sentiamo più frequentemente dai giornali, dalla televisione, dai discorsi che ormai stanno costruendo una serie di luoghi comuni difficili da smontare, sono racconti che non aiutano a capire quel che sta accadendo, ma fanno solo confusione. Per quanto potente sia un sistema tecnico (e lo è) e per quanto forti siano gli interessi che sempre più strategicamente ne controllano gli sviluppi (e lo sono) niente è così forte da impedirci di esercitare la nostra libertà e la nostra responsabilità: oggi, come nelle epoche che ci hanno preceduto, e che sempre hanno presentato sfide e minacce per la libertà.
Oggi noi viviamo in un mondo «misto», dove la dimensione materiale e quella digitale sono così intrecciate da non essere più separabili nelle nostre vite quotidiane: mandare un sms, scrivere una mail, collegarsi via Skype con il figlio che studia o lavora lontano sono ormai parte della normale vita relazionale anche dei meno smart tra gli immigrati digitali. Insieme alla consapevolezza che ringraziare via sms per una gentilezza ricevuta, mantenere viva la relazione anche a distanza, scambiarsi idee e pensieri grazie al web sono gesti che non solo non tolgono, ma anzi aggiungono sostanza alle nostre relazioni. La vita è una, e sta a noi mantenere un equilibrio tra le tante dimensioni della complessità: se teniamo al centro l’antropologico e non il tecnologico, il nostro desiderio di essere pienamente umani anziché la rincorsa all’innovazione tecnica, sarà possibile valorizzare le potenzialità enormi che il presente ci offre, e contenere i rischi che pure ci sono. Forse un’analogia può aiutare a comprendere qual è la prospettiva in cui conviene porsi: quella con la città. La città è un ambiente complesso, che rischia da una parte di essere disumanizzante (con la frenesia, l’inquinamento, l’anonimato dei rapporti) ma che dall’altro offre una serie di servizi, facilitazioni, opportunità, occasioni di incontro.
L’atteggiamento giusto non è quindi pensare che la città ci rende disumani, e magari rimpiangere una vita rurale che non c’è più, ma cercare, dentro la città, di vivere una vita pienamente umana. Così è sbagliato pensare a come erano belle le relazioni quando non c’era Facebook: quando per comunica- re con qualcuno lontano dovevamo leccare il francobollo e attendere con ansia il postino. È invece doveroso pensare a come vivere bene le relazioni oggi, quando possiamo sia scrivere lettere con la stilografica sia digitare su una tastiera e cliccare «invia». Abbiamo di più, non di meno. E possiamo scegliere a seconda del valore e del significato delle relazioni, e delle circostanze. La sfida è vivere una vita piena al tempo della rete. Che non ci rende migliori né peggiori, e soprattutto non ci rende inautentici, se già non lo siamo. La metafora della città aiuta a capire anche il ti- tolo di questo libro. Come si può abitare il presente, che è un tempo, se abitare si riferisce da sempre allo spazio? E che cosa significa veramente «abitare»? Quali indicazioni possiamo trarre da questa relazione, tipicamente umana, con lo spazio e il tempo? Oggi i media non sono più strumenti che usiamo quando ci servono, ma formano un ambiente sempre attivo: uno smartphone non serve solo a telefonare, ma è un archivio delle nostre foto, della musica che ci ricorda i momenti significativi della nostra vita, dei contatti che si sono accumulati nel tempo grazie ai diversi contesti che abbiamo attraversato.
E per molti (e non solo i più giovani) è la porta di accesso ai social network, dove intratteniamo relazioni con le persone più diverse, conosciute nelle diverse fasi della nostra vita: dagli ex compagni di scuola ai colleghi di lavoro. Ci sono il nostro passato e il nostro presente, ma anche il nostro futuro: quelle relazioni superficiali che potranno diventare amicizie, quei contatti che potranno diventare possibilità di lavoro, quella persona apparentemente poco più che estranea che potrà rivelarsi un sostegno in un momento difficile... Come nella città sono stratificate le diverse fasi storiche, così nei social media sono stratificate e compresenti le diverse fasi biografiche. Il digitale è uno spazio-tempo: due dimensioni che nella nostra esperienza sono sempre intrecciate. E che cosa vuol dire dunque abitare questo spazio-tempo? Per abitare bisogna conoscere il terreno e adattarsi alle sue caratteristiche: per costruire si cerca il luogo più propizio, e diverso è costruire in pianura o in montagna, nel deserto o tra i ghiacci.
Bisogna fare i conti con l’ambiente, che non è mai «neutro», se si vuole sopravvivere. Certamente l’ambiente ci condiziona, e se vogliamo sopravvivere dobbiamo capirlo a fondo. Ma abitare non è solo ritagliarsi lo spazio della sopravvivenza. È molto di più. Basta camminare per una delle tante città italiane, che tutto il mondo ci invidia, per rendersene conto. Abitare significa organizzare lo spazio non solo in base alle funzioni (le stazioni per i trasporti, le scuole per l’istruzione e così via), ma anche ai significati, ovvero gli elementi simbolici che tengono unita una comunità. Così ci sarà uno spazio sacro (la chiesa) e uno profano (la piazza). E quello sacro (da sacer che significa separato, non equivalente) avrà come segno distintivo un campanile, una sorta di ponte tra la terra e il cielo, di indice che punta alla dimensione verticale ricordando che cielo e terra sono due aspetti intrecciati e irrinunciabili della nostra vita, e che non di sola materia vive l’uomo... E la piazza sarà uno spazio aperto, accessibile, sgombro per lasciare spazio alle persone, alle loro relazioni, alle loro attività: perché l’incontro, la relazione, la socialità sono un valore condiviso, che viene anche «scritto» nel paesaggio. Abitare, che è il modo umano di vivere, significa dunque adattarsi creativamente, iscrivendo nel paesaggio i valori e i simboli del nostro vivere insieme. Oggi il mondo è insieme materiale e digitale. Questo mondo va abitato e reso abitabile. A noi la responsabilità e la fantasia di dare una forma che rispecchi e alimenti la nostra umanità.