EAN 9788825031751
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Percorrere il Cantico delle creature di Francesco d'Assisi dall'interno, per srotolarlo poi man mano sulla realtà che ci circonda, lasciando che riemergano sommersi punti di contatto: tale è l'opportunità che l'opera – ormai classica – di Éloi Leclerc, proposta dalle Edizioni Messaggero in una nuova traduzione, ci offre. L'analisi puntuale della lode del Santo di Assisi, poetica e suggestiva per l'attenzione ad ascoltare e a far dialogare la vitalità profonda di ogni immagine, dischiude i significati nascosti degli elementi evocati, disposti in «coppie fraterne» capaci di svelare valori inconsci, ancestrali dell'uomo per reintegrarlo, come creatura di Dio, nel cosmo.
Le realtà cosmiche, nel canto di Francesco, parlano la sua stessa esperienza interiore: esperienza del sacro e della paternità universale di Dio, dimensione onirica e archetipica, celebrazione dell'umano pienamente riconciliato con la realtà impastata di storia e di trascendenza. L'autore, con delicata e stupita intensità, coglie nelle strofe del Cantico un cammino di comunione con le creature e attraverso le creature medesime, accolte quale via di riconciliazione di Francesco con se stesso e con gli altri. E così messor lo frate Sole è insieme simbolo dell'Altissimo, immagine del Padre, eppure elemento fraterno, «apparentato» con l'anima stessa del santo, «nella sua pienezza irradiante e nelle sue varie metamorfosi» (p. 87). Sora Luna si staglia, con le sue fasi di decrescenza, sulla notte, come sugli oscuri anfratti dell'anima la consapevolezza pacificata di non poter possedere la luce. E tra le Stelle clarite riverbera la memoria di Chiara-Clara, la cui azione nella vita di Francesco «va collocata a tale profondità, a livello delle forze affettive primordiali» (p. 97), là dove eros e agape si incontrano in un rischiarante, pacificato connubio.
Leclerc avverte allora che la luna e le stelle sono simbolo di una modalità relazionale, «espressioni di alcune forze primordiali dell'anima di Francesco, forse che Chiara ha contribuito a far venire alla luce e alla spiritualizzazione delle quali è tutt'altro che estranea» (p. 98). Frate Vento, foriero di tempeste come di piogge benefiche e feconde, è voce di quel primigenio soffio creatore che mantiene ogni cosa nell'essere e «Francesco non sceglie, fra i tempi, il suo. È aperto e accogliente nei confronti dei quattro venti della creazione» (p. 108): è la sua stessa interiorità spalancata al totale dispiegarsi dell'Essere. Sor'Acqua, al Vento sorella, fa coppia con la sua gravida e dinamica vitalità, trasparenza del principio femminile – dell'anima – che sta in ogni uomo, «preziosa e casta», «apertura interiore al sacro» (p. 121). Potente e ricco è il simbolismo legato alla celebrazione di frate Focu, espressione di una vita ardente, «ma purificata, spiritualizzata e diventata essa stessa luce» (p. 138). Se il sole è la luce del giorno, il fuoco che illumina la notte simboleggia l'anima riconciliata col buio che ha attraversato.
Immagine archetipica ambivalente – come il desiderio può consumare e far vivere al tempo stesso – apre una prospettiva fraterna e pacificante, là dove «l'immersione dell'uomo nella propria archeologia, vissuta in spirito di umiltà e di disappropriazione, gli permette di entrare in relazione con le grandi forze psicologiche e vitali, in particolare con quella dell'eros, al di là delle loro forme infantili, al di là delle forme cieche e caotiche del desiderio e della passione» (p. 133). Immagine arcaica è pure quella della terra madre, evocata dalla lode di sora nostra matre Terra: l'esperienza mistica di Francesco è anche esperienza di comunione con la terra, grembo del contatto con le proprie profondità e con Dio che si attua in spazi fortemente evocativi. Le caverne, ad esempio, o le grotte in cui il Santo di Assisi tanto amava rifugiarsi, possono rimandare a simbologie materne, a un ritorno alle radici, alle origini, alla comunione con le forze intime e oscure della vita e insieme alla trasfigurazione delle stesse immerse nella divinità fontale che le attraversa e le trascende. «Riprendendo contatto con la terra madre» – osserva Leclerc – «l'essere umano ricontatta simbolicamente anche la parte oscura della propria anima, la sua archeologia e, ancora più profondamente, l'archeologia dell'umanità. Ma rituffarsi nella preistoria dell'anima [...] è la via verso una nuova nascita: l'uomo e la donna nascono a una vita che va oltre l'individuo con la sua condizione empirica; ormai essi partecipano alla totalità e alla dimensione sacra dell'essere» (p. 171).
La terra madre diviene così, alla fine della vita di Francesco, disteso nudo sulla terra nuda, luogo di massima restituzione e riconciliazione. E su questo snodo si inserisce e si può comprendere – nella lettura che propone Leclerc – l'immediatamente successiva «strofa del perdono». L'«umile fraternizzare con le realtà della natura» (p. 181) si snoda, contemporaneamente, come un itinerario di riconciliazione e di pace con gli altri esseri umani: «l'amore per gli uomini si inserisce in un'immensa pietà cosmica che rende amiche tutte le creature» (p. 183) e fa di Francesco un uomo integralmente relazionale, aperto all'accoglienza di ogni altro, «uomo solare, misericordioso con ogni creatura» (p. 187), liberamente donato nell'alveo dell'incondizionata presenza dell'Altissimo a tutti. A questa Presenza, a questo Essere neppure la morte è straniera: essa stessa sorella, parente dell'eternità cui la via delle creature conduce. Di questo cammino sora nostra Morte corporale è il sigillo, l'affermazione di una conversione integrale dell'uomo all'Essere, di una disappropriazione che apre alla totalità: «una conversione caratterizzata da un disinteresse crescente nei confronti di tutto ciò che riguarda l'Essere in tutta la sua pienezza.
Il centro di gravità dell'esistenza si è spostato: non si trova più nell'ego con i suoi interessi particolari, per spirituali che siano. Ma si trova nel mistero dell'Essere» (p. 192). Il Cantico delle creature si configura, allora, come la lode dello sguardo liberato dell'uomo che, creatura fra le creature, vive con esse una fraterna restituzione di sé al solo che è Dio e che sostiene nell'essere tutto l'esistente. Sguardo umile – Leclerc parla addirittura di un'estetica dell'umiltà – che non afferra, non consuma, non possiede, sguardo di comunione che dall'oscurità alla luce, dagli antri sotterranei al sole, non si astrae dalla realtà, ma la percorre tutta pacificandosi con essa e grazie ad essa. Sguardo dell'uomo salvato, che può cantare la Vita anche là dove essa pare messa a tacere da disumani silenzi. Negli stralci dal diario di deportazione, riportati nella Postfazione del volume, l'autore ci lascia come un appello, una disarmante provocazione: «Il canto sgorga spontaneo dalla notte e dall'annientamento in cui siamo, come l'unico linguaggio che sia all'altezza dell'evento [...]. In questo mondo buio, brilla ancora la divina carità. L'uomo fraterno è testimone del Padre. Chi lo vede, vede il Padre» (p. 244).
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LII, 2012, fasc. 1-2
(http://www.centrostudiantoniani.it)
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Renza Guglielmetti il 30 gennaio 2018 alle 18:10 ha scritto:
Questo libro sul Cantico delle creature mi è piaciuto tantissimo per la profondotà delle riflessioni, la ricchezza dell'approccio culturale, l'originalità di introspezione da cui emerge un san Francesco per molti versi del tutto inedito.
clorinda scotto il 2 ottobre 2020 alle 11:44 ha scritto:
Molto intenso, interessante e da leggere con la dovuta calma.