La logica del dono - Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato ebook
(Il cortile dei gentili)EAN 9788825029123
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È possibile, nel mondo in cui viviamo, dare più valore alle persone che al denaro non solo a parole ma in concreto, sottraendosi alla logica della competizione e scegliere uno stile di vita fondato su condivisione e gratuità? La risposta a tali domande è molto spesso negativa, come afferma Roberto Mancini, autore del libro. Il titolo, tuttavia, pur evidenziando provocatoriamente gli aspetti degeneranti di una certa economia, fa intuire le implicazioni positive di tante esperienze di gratuità che indicano nella «logica del dono» una possibile risposta.
Il tema del dono è ormai da decenni al centro dell’interesse dell’antropologia culturale, della sociologia, della filosofia, della teologia, della letteratura. Lo scopo di Mancini è di di provare a cogliere il cuore della questione del dono per mostrare come essa riguardi la convivenza sociale. Colpisce il fatto che, dinanzi agli effetti concreti di crisi e di disperazione prodotti dall’attuale sistema economico, si ritenga ragionevole e doveroso reagire reiterando ed esasperando la stessa logica di competizione e di riduzione della cura dei diritti umani che ha causato la crisi. Come se il mercato, con i suoi automatismi, fosse la soluzione di ogni problema e potesse esonerarci dall’esercizio della responsabilità di avere cura della vita comune e del mondo naturale.
L’esistenza di ognuno è realmente un dono che, per quanto misteriosa ne sia la provenienza, in effetti chiede a chiunque di imparare a vivere secondo gratuità e generosità, secondo condivisione e cooperazione. Dono, inteso non tanto come regalo o come atto della donazione, quanto come logica ispiratrice dello stile di esistenza e anche come forma specifica ed eminente dell’essere in relazione. Il filo conduttore del discorso dell’intero volume lega perciò lo spirito del dono al cambiamento personale e alla trasformazione sociale, per invitare a risvegliarsi insieme per preparare una vita buona comune. La critica del presente deve portare a una presa di distanza dalla mentalità dominante e dal paradigma economico vigente fondati sulla convinzione che la civiltà del capitale e della competizione sia naturale, razionale e senza alternative.
Molti, pur confessando una fede religiosa, che onora un Dio di liberazione, di giustizia e di pace, non trovano nulla da ridire, anzi sovente difendono tale paradigma economico come scenario naturale. Esortare però qualcuno a seguire lo spirito del dono, facendo l’apologia della generosità e la critica dell’egoismo, senza nemmeno porsi il problema di capire quale sia il peso del sistema sociale vigente e quale sia lo spazio agibile per la libertà, sarebbe uno sterile gesto moralista. Ai frutti velenosi della nostra epoca occorre, secondo l’autore, opporre una cultura del dono, che consiste nella chiarificazione di una logica alternativa, evidenziandone i tratti fondamentali di esperienza essenziale dell’essere in relazione con gli altri e con la vita.
In uno scenario sociale come quello attuale non c’è un’evidenza facilmente riconoscibile della realtà della condivisione e dello spirito della gratuità, ma sarebbe vano criticare la civiltà del capitalismo assoluto se non si tagliano le radici culturali che nei secoli hanno impedito lo sviluppo della cultura del dono, recuperando tale realtà come spirito e forma di relazione tra le persone, essenziale nella nostra società. La logica del dono, considerata come un nuovo codice culturale profondo alternativo a quello da sempre operante in Occidente, schiude la comprensione della realtà del valore. Ma un valore reale è sempre un valore vivente, un valore che respira. Sono valori, e valori infiniti, le persone. Ecco perché chi si mette a guardare intorno a sé senza nemmeno aver visto davvero se stesso non trova il dono, ma vede solo la competizione universale.
Per scoprire il valore come dono devo arrivare a sentirmi dono vivente, affidato alla mia stessa responsabilità. Sono valori viventi anche le relazioni, la comunità umana, il mondo naturale. E d’altra parte sono valori dati e non appropriabili il tempo, lo spazio, la dignità, la libertà, la giustizia, tutti nuclei di realtà che possiamo servire, alimentare, dilatare, ma non inventare o fabbricare. La scoperta di un valore effettivo chiede cura, adesione, esige un rapporto di responsabilità e non di appropriazione o di manipolazione ideologica. Allora si fa chiaro che le logiche del contratto, del mercato, del conflitto dell’indifferenza non bastano, anzi sono nocive. L’autore si sofferma, poi, sulla compassione e sulla misericordia, veri antidoti a quella distruttività che sempre di nuovo tende a stroncare il fiorire e il trasfigurarsi della vita.
La compassione viene sperimentata anzitutto come interruzione della catena delle violenze e come solidarietà amorevole con tutte le creature, che permette di partecipare, in tale comunione, alla vita stessa di Dio. La qualità misericordiosa della compassione è la provocazione più eloquente affinché il violento si converta. La sofferenza sostenuta e non restituita dalla vittima mostra all’aggressore, senza umiliarlo, la vanità dei suoi propositi e la possibilità di un’altra via: convivere anziché vincere.
Nella nonviolenza vissuta poi come adesione alla relazione con un Dio la cui verità è l’amore misericordioso e gratuito, la misericordia è farsi carico personalmente del male commesso da altri, riaprendo lo spazio del bene condiviso. Già in autori come Lévinas o Gouhier ci sono riflessioni di questo genere, che ritroviamo soprattutto in coloro che hanno assunto il principio di non violenza come metodo filosofico, religioso e politico, come il Mahatma Gandhi. Se il primo livello del cammino della compassione è quello del risveglio delle persone nel sentire la sofferenza propria e altrui, il secondo consiste nel sentire l’aspirazione e l’attrazione della felicità per cui siamo nati. La compassione non vale solo quando è riferita al patire: compassione è “sentire insieme”, non solo un sentire con gli altri, ma anche un cogliere a un tempo il dolore e il bene sperato, la fatica e la possibile liberazione.
Se non fossimo così sensibili alla felicità che ci riguarda, non sentiremmo neppure così acutamente la sofferenza, che sarebbe ridotta a qualcosa di naturale, rispetto a cui non si porrebbe neppure il problema se accettarla o combatterla. Infatti, la via della compassione, nella piena apertura della sensibilità, porta a interiorizzare che non c’è altra felicità autentica che quella condivisa, attenta al destino di tutti. Il bene tra pochi è autentico se diventa bene transitivo, ospitale, capace di portare qualche frutto in ambiti più ampi. Altrimenti l’egoismo degli affetti privati spegne qualsiasi capacità di compassione e di azione conseguente.
Quali strade, si chiede ancora Mancini, sono percorribili per agire e costruire una nuova civiltà? Tornare a educare e ad agire politicamente sono le due vie indicate. Le grandi esperienze esemplari dell’impegno educativo in Italia hanno generato una tradizione di idee e di forme d’azione che, nonostante le riforme governative, sopravvivono ancora oggi e ispirano quanti sostengono e rinnovano con responsabilità questo impegno. Se riprendiamo questa eredità, consegnataci da testimoni come Maria Montessori, Lorenzo Milani, Mario Lodi e tanti altri, ritroviamo l’assunzione feconda della logica del dono, perché il buon educatore sa vedere in ogni persona che gli è affidata un dono inestimabile. È in questa prospettiva che più diventa evidente come il dono, come relazione, generi responsabilità.
Considerando la relazione educativa, fondamento di ogni civilizzazione, si capisce che nella relazione secondo il dono sussiste un nucleo imprescindibile di responsabilità: se io sono dono a me stesso, se la mia stessa vita è un dono reso misterioso dal fatto che la sua provenienza più originaria è sconosciuta e solo mediata dai genitori, se l’altro che mi è affidato è dono vivente, di tutto ciò io sono ineludibilmente responsabile. Gli elementi tipici di questo metodo educativo non violento, dialogico e maieutico sono il recupero, da parte degli educatori, della coscienza di sé e dell’integrità della propria storia personale; l’esclusione di ogni coercizione o principio repressivo a favore del costante riconoscimento della dignità dei più piccoli e dei giovani; la cura per l’armonizzazione della persona; l’adesione a ideali di vita che inverano e ampliano il senso dei valori, nella memoria di quell’ideale profondissimo che è la felicità solidale dell’umanità.
La cultura del dono implica infine la scelta di servire la giustizia e di assumerla come metodo dell’azione politica. Martin Buber, nel libro Sentieri in utopia, ha mostrato come la società umana smarrisce se stessa se non è innervata da reti di comunità che valorizzano, nelle dialettiche economiche e politiche, le esigenze dei diritti umani e della giustizia. Solo così essa potrà divenire una comunità aperta e ospitale. La cultura del dono, la scelta di servire la giustizia e di assumerla come metodo dell’azione politica devono poter avere il loro spazio di fronte alla crisi di civiltà che ci colpisce. Serve un disegno complessivo, ampio coraggioso e nondimeno convergente nel desiderare con determinazione una “società umanizzata”. Non si può, quindi, rinviare – avverte Mancini – un impegno progettuale che configuri e renda visibile un’alternativa per la maggioranza della società, quella maggioranza che oggi è colpita e subisce passiva o addirittura plaude a chi le fa del male.
Quanti, lungo il cammino del cambiamento, si ricordano degli altri e di sé, non accettando che la società sia ridotta a un unico insensato mercato, testimoniano per tutti che la vera felicità chiede di sentirsi partecipi di una comunità grande come la vita. Una vita che, se pure conosce ancora la sofferenza, l’ingiustizia e la morte, intanto sperimenta in ogni sua piega forme di bene condiviso così credibili che si può sperare di giungere, un giorno, al bene definitivo, quello che non avrà fine.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 1-4/2012
(http://www.pftim.it)
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