SOMMARIO
Editoriale
2 Francesca Peruzzotti
Dentro il paradosso della temporalità
Studi
4 Annalisa Guida
Cristo, Signore del tempo
10 Paolo Costa
Il tempo della vita,
tra essenziale e inessenziale
16 Loris Della Pietra
La domenica andando alla messa
22 Bruno Bignami
Liturgia e natura, passando per il lavoro
28 Gianandrea Di Donna
Ribellarsi al nostro tempo
«Alla sera è ospite il pianto
e al mattino la gioia» (Sal 29,6)
34 Roberto Tagliaferri
La rivincita delle feste non cristiane?
40 Luca Palazzi
Ritmi sacramentali inediti
45 Olivier Praud
La liturgia come interruzione
Formazione
51 Paolo Alliata
Non come muti spettatori
5. Un centesimo di secondo
56 Alberto Brignoli
Il tempo ad altri ritmi
Asterischi
61 Stefano Biancu
Gesti e parole
8. Alleviare il fastidio del tempo
65 Claudio Campesato
Gesti e parole
9. Le rogazioni
Chiacchiere di sacrestia
69 Manuel Belli
Detti sul tempo
75 Segnalazioni
Editoriale
Francesca Peruzzotti
Dentro il paradosso della temporalità
«I cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo». Le parole della Lettera a Diogneto sono tanto incisive da attraversare i secoli e restare nella memoria dei discepoli del Signore, consapevoli del paradosso che le contraddistingue e alla ricerca di forme per viverlo. Quel paradosso si può specificare considerandolo a proposito del tempo: «I cristiani vivono in questo tempo, ma non sono del tempo», esponendosi a una complessità ancor maggiore. Infatti, compiacersi nell’attesa di un’eternità che cancella la storia è anacronistico per coloro che riconoscono in Gesù il definitivo ingresso di Dio nel tempo, come del resto rimane inconcludente esistere secondo ritmi orientati da attese istantanee; eppure, si tratta di tentazioni sempre disponibili. La celebrazione liturgica si inserisce in quel paradosso ed è affidata alla chiesa perché, di giorno in giorno, possa invariabilmente proclamare «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,1b), offrendo alle donne e agli uomini del suo tempo la possibilità di incontrare i ritmi di Dio. La cura dovuta a quel tesoro richiede consapevolezza e passione, in quanto provvede a immergere nel tempo di tutti e propone di viverlo come il tempo di Dio. Sarebbe, dunque, miope ritenere quella possibilità data una volta per tutte, in virtù dello statuto particolare del tempo liturgico, come se non fosse necessario interrogarsi sulla natura dei ritmi attuali nei quali si inscrive e dai quali viene a propria volta alterato. È noto che il tempo liturgico si inserisce nei cicli di quello ordinario, scorgendo, di giorno in giorno e di anno in anno, l’annuncio della vita che non lascia l’ultima parola alla notte; ugualmente è condivisibile da tutti la sua identificazione con un periodo capace di sospendere e trasformare ritmi operosi e spesso alienanti, lasciando gustare un senso del tempo che trova ragione esclusivamente nell’essere convocati dal Signore a stare con lui e con i fratelli; eppure, queste risorse strutturali non mettono al riparo da limiti e intoppi, dovuti anzi dall’intrinseco nesso della temporalità con il cambiamento continuo. La relazione tra la liturgia e il tempo quindi va da sé, ma non per questo evita le dissonanze, tanto più che quella relazione determina l’immersione negli aspetti peculiari di una data epoca. Per comprenderlo è sufficiente valutare l’esperienza personale, che spesso restituisce anacronismi tra quanto celebrato e quanto effettivamente esperito, sia per ciò che riguarda vissuti ed emozioni non sempre in sintonia con il ciclo liturgico, sia, in modo più costitutivo, quando ciò che emerge dalla realizzazione pratica è ben lungi dall’avere una sensibilità immune dalle distorsioni della fretta, incapace di risonanze effettive. I contrasti sono tanto più significativi quanto più interessano le comunità in quanto tali, di frequente in difficoltà a integrare il tempo civile e quello liturgico, i ritmi quotidiani con quelli delle celebrazioni. Questi non si possono considerare aspetti accidentali, se si riconosce il tempo quale spazio della rivelazione, né si può pensare di rimuoverli tramite interventi superficiali: essi definiscono la possibilità di fare esperienza reale del tempo del Signore, anche a partire dalle distanze che ciò evidenzia. Infatti, si ripropone qui una tensione costitutiva del rapporto drammatico con la rivelazione: la liturgia – in quanto tempo “altro” rispetto a quello comune – dà l’occasione di sperimentare la scelta dell’obbedienza, di instaurare un legame voluto con la differenza. È stata questa la forma che ha segnato l’incarnazione: Gesù vive l’obbedienza al Padre condividendo i ritmi del tempo umano, senza rivendicare su di essi alcuna pretesa. Al contempo, non si può trasformare ciò nell’alibi per l’inerzia, che colpevolmente traduca l’accettazione in assimilazione passiva, dimenticando che l’unità di misura del “tempo liturgico” è la pienezza del “tempo escatologico”. Pertanto, la cura per la celebrazione liturgica diventa anche attenzione alla storia, per decifrare gli aspetti che costituiscono questa epoca e individuare le specifiche attese delle comunità che la abitano. La critica che la liturgia opera rispetto al tempo interessa anzitutto la chiesa, chiedendole conto della sua capacità di intendere e intercettare i ritmi della vita ordinaria e della sua reale efficacia nel celebrare il tempo come accadere per tutti della rivelazione. Ciò significa rinunciare all’univocità di un solo ritmo, per essere in grado di accostarsi alla pluralità dettata dalle diverse età della vita e dalle varie condizioni esistenziali e culturali che la connotano al fine di manifestare, a ciascuna, di essere ospitata nei tempi di Dio. Del resto, nella liturgia è affidata alla chiesa la memoria di un tempo che in Gesù è stato tempo di Dio, perché possa manifestarsi oggi come destinazione per tutti.