Editoriale, a cura della Redazione 3
1. I linguaggi della Bibbia
1.1 L’immagine di Dio “alla prova”. Il racconto di Gen 22
di Leonardo Lepore 7
1.2 La metafora divina sponsale nell’accusa profetica
di Ombretta Pettigiani 17
1.3 Il linguaggio della maledizione
e la violenza divina nei Salmi
di Grazia Papola . 23
1.4 Riconoscere l’Altro. Il percorso narrativo
della testimonianza nel Quarto vangelo
di Alessandra Casneda 30
1.5 Il linguaggio mistico dell’«immagine»
nel corpo paolino
di Fabrizio Pieri . 35
2. I linguaggi dell’esperienza artistica
2.1 Quando la “ricerca” si fa “scrittura”.
Dire Dio nella letteratura
di Alberto Carrara . 44
2.2 Il volto di Dio e il suo immaginario.
Evangelizzare e comunicare Dio “con arte”
di Pietro Antonio Viola 51
2.3 I preti social. Una panoramica
di Raffaele Buscemi . 57
2.4 La Parola nei giochi e videogiochi.
L’esperienza di Lucca Comics&Games
e il gioco Kerigma!
di Laura Lippi e Riccardo Micheli 64
2.5 Il cinema… a servizio della Parola?
di Linda Pocher 69
3. I linguaggi della teologia e della spiritualità
3.1 A ritmo del tempo. Iniziare i giovani alla liturgia
di Francesca Peruzzotti 76
3.2 Esperienza spirituale
e conversione delle immagini di Dio
di Giovanni Cucci . 83
3.3 Pregare in Cristo come annuncio del Vangelo.
Esperienza e legame in Dio
di Stefano Vari . 89
3.4 Comprendere e dire Dio oggi.
Nuovi scenari per la teologia
di Alberto Cozzi . 98
3.5 Le parabole di oggi.
Donare Dio raccontando la vita
di Lorenzo Fazzini 105
4. Dire Dio oggi. Un’esperienza di Pentecoste
a cura del Direttivo .
Editoriale
a cura della Redazione
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,30-31). Se si legge con una certa attenzione e una buona coscienza critica la cosiddetta “prima finale” del Vangelo di Giovanni che abbiamo riportato in apertura, non può non sorgere un qualche senso di sorpresa. Si tratta, infatti, di un’impresa non da poco quella di selezionare e scrivere solo alcuni dei «segni» compiuti da Gesù, con la pretesa che proprio questi saranno in grado di suscitare la fede nel loro destinatario e offrire così la salvezza «nel suo nome». È certamente vero che a “mitigare” questa impressione subentrerà la “seconda finale” del Quarto vangelo, a specificare meglio una fondamentale inesauribilità del mistero di Gesù: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere». Un’immagine iperbolica, quindi, col fine di giustificare tanto la selezione dei “segni” quanto l’eccedenza della realtà di Gesù. Ciò non toglie, tuttavia, la responsabilità che decide di assumersi il discepolo, il testimone o più concretamente la “comunità giovannea” all’origine di questo vangelo, una responsabilità che a ben vedere non si è assunto nemmeno lo stesso Gesù, il quale come è ben risaputo non ha lasciato niente per iscritto. Che senso ha, tuttavia, introdurci a questo numero speciale di Servizio della Parola dedicato ai «Linguaggi per dire Dio oggi » con queste considerazioni sulla “scrittura” del Vangelo? Il rischio, la pretesa che ritroviamo nella pagina evangelica ci permette di mettere in luce un aspetto decisivo della fede cristiana, che è in sé tanto evidente quanto paradossale e che tuttavia rischia spesso di passare inosservato. Gesù Cristo, la cui vicenda storica secondo i cristiani è la rivelazione definitiva di Dio, l’incarnazione del Figlio di Dio nel mondo e per la salvezza del mondo, ci è inaccessibile se non attraverso un libro, un racconto, che come abbiamo detto non è stato scritto da Gesù in persona, ma che altri hanno scritto su di lui e in riferimento a lui. Potremmo dire, dunque, come la relazione con Gesù, con il Dio incarnato, è possibile solo attraverso “l’incarnazione” di questo stesso evento nelle parole di altri, che hanno “prestato la voce” a ciò che Gesù ha detto e ha fatto, addirittura al suo mistero pasquale di morte e risurrezione. In altri termini, Dio per incontrare l’umanità di ogni tempo si è “affidato” alla parola, trasmessa e poi scritta, di alcuni testimoni, uomini e donne, che si sono assunti questa responsabilità e che per primi si sono messi letteralmente “al servizio” della Parola. L’esistenza stessa dei vangeli, dunque, così come quella degli altri libri del Nuovo e dell’Antico Testamento, attesta l’effettiva portata e il carattere insuperabile della fede cristiana in quanto incarnata. Tale definizione, infatti, non si limita al “semplice” fatto che Gesù sia il Figlio di Dio incarnato; bensì, a partire certo da questa verità fondamentale, coinvolge ogni singolo aspetto della vita della chiesa e della vita di fede personale di ogni credente. Dalla Bibbia ai sacramenti, dalla preghiera comunitaria ai gesti di carità, dai dipinti ai brani musicali, tutto concorre (o dovrebbe concorrere), in maniera e in qualità diverse, a rendere costantemente presente quell’unica realtà salvifica che è l’incarnazione “per eccellenza”, la venuta nella nostra storia di Dio nell’uomo Gesù. In termini ancora più generali, sebbene più astratti, possiamo dire come ogni discorso teologico (di Dio) implica sempre l’intervento, l’aiuto, la mediazione antropologica (dell’essere umano), in tutte le sue forme. D’altra parte, il riconoscimento di questa dinamica fondamentale non può rimanere fine a se stesso. Al contrario esso […]