Ove non vi sia la rappresentanza dell’ordine ecclesiastico, sei tu a celebrare l’eucaristia e a battezzare (offers et tinguis) e sei sacerdote tu da te medesimo. Infatti, dove sono presenti in tre, anche se sono dei laici, là vi è la chiesa1. «Non siamo forse sacerdoti anche noi laici? (Nonne et laici sacerdotes sumus?) ». Così si esprime Tertulliano in un testo in cui afferma la possibilità anche per i laici, in caso di necessità, di celebrare l’eucaristia e amministrare dei sacramenti. Si tratta di uno dei rari testimoni dell’eucaristia presieduta da un non-presbitero2. 1 Per il testo latino di quest’opera del Tertulliano montanista: Tertulliano, De exhortatione castitatis, 7,3, (Corpus Christianorum, series latina, vol. 2, Brepols, Turnhout 1954, 1024-1025). Cfr, anche i commenti di P.A. Gramaglia: «In alcuni ristretti raduni di fedeli in tempo di persecuzione, data l’assenza del clero che si dava alla clandestinità, la presidenza dell’eucaristia era affidata a semplici laici; tale prassi era condivisa anche dai cattolici» (nota 135, in Tertulliano, Il matrimonio nel cristianesimo preniceno, a cura di P.A. Gramaglia, Borla, Roma 1988, 396-397) e di C. Schipani: «Per quanto riguarda l’eucaristia, è possibile che durante le persecuzioni, a causa della fuga del clero, semplici fedeli si siano trovati nella necessità di offrire il sacrificio cristiano» (nota 37, in Tertulliano, Opere montaniste, a cura di C. Schipani, Città Nuova, Roma 2011, 40). 2 E. Mazza, Le odierne preghiere eucaristiche, I: Struttura, teologia, fonti, EDB, Bologna 1984, 60-61. Decisamente più frequente nella storia è l’attestazione di celebrazioni domenicali sostitutive dell’eucaristia in assenza/attesa di presbiteri. E non solo in zone di missione, ma anche al cuore dell’Europa. Markus Tymister ne fornisce diversi esempi in riferimento al secondo millennio cristiano: egli ricorda che in diversi paesi europei in certi momenti storici (Ungheria nel XVI-XVII secolo; Francia alla fine del XVIII secolo; Germania nel XIX secolo) «vi erano laici appositamente incaricati che presiedevano celebrazioni domenicali con lettura e preghiera, come anche battesimi, matrimoni e funerali ». Pertanto, la situazione attuale di carenza di presbiteri in molti paesi europei che ha fatto nascere diverse forme di presidenza da parte di laici di preghiere comuni, di liturgie della parola accompagnate da predicazione e distribuzione eucaristica, oltre che di amministrazione di sacramenti, non rappresenta certo una novità. Spesso sono la storia e la vita con la loro imprevedibilità che, creando situazioni di cri si, obbligano le comunità cristiane a cambiamenti che, in condizioni normali, non solo non sono presi in considerazione ma sono ritenuti inutili o insensati. La crisi della pandemia e l’impossibilità di radunarsi nelle chiese non ha certo spento la fede, ma portato tanti, in virtù del loro battesimo e della fede vissuta, a riunirsi nelle case, a vivere una preghiera domestica, a creare riti semplici e certamente meno solenni di quelli delle curate assemblee domenicali, ma non meno autentici o nutrienti spiritualmente. Le lucide riflessioni che un presbitero ha maturato durante il periodo pandemico mostrano lo stupore provato assistendo ai «primi timidi segni della nascita di una chiesa radunata nelle case e raccolta insieme dagli strumenti a disposizione», sicché «mentre qualcosa moriva e ci faceva paura perché non sapevamo fino a che punto quella morte scendesse in noi, forse qualcosa nasceva»4. E qui si intravede il contesto ben più ampio in cui inserire il discorso dei “riti senza preti”. Il cambiamento d’epoca che comprende al suo interno la fine della cristianità, e dunque la fine della civiltà parrocchiale, esige una riforma ecclesiale che accetti di guardare in faccia e gestire la paura della perdita connessa al cambiamento, concentrandosi sull’essenziale: la vita della comunità dei battezzati che trova la sua ragion d’essere nella fede in 4 I. Seghedoni, Una chiesa che non cerca tra i morti, in D. Olivero (ed.), Non è una parentesi. Una rete di complici per assetati di novità, Effatà, Cantalupa 2020, 140. Gesù Cristo. Questo cambiamento riguarderà anche il ministero presbiterale e il ruolo dei laici quali presidenti di celebrazioni liturgiche. Gli esempi presentati in questo numero di Rivista di pastorale liturgica, concernenti movimenti ecclesiali, comunità monastiche, esperienze pastorali, il ministero dei catechisti ecc., sono frammenti che abbozzano solamente il quadro che verrà. E che, ancora faticosamente, timidamente, lentamente, parzialmente e con qualche ambiguità, si fa strada anche in documenti ufficiali5. In riferimento in particolare alle assemblee domenicali in assenza/attesa di presbitero, ciò che va tenuto presente è l’importanza della santificazione della domenica in quanto tale, cioè in quanto giorno memoriale della risurrezione, dunque la centralità per i cristiani di riunirsi per riconoscersi come assemblea convocata dal Signore. In un articolo pubblicato su questa rivista nel 1998 Enrico Mazza valutava positivamente l’insistenza con cui il Direttorio per le celebrazioni dominicali in assenza del presbitero6 sottolineava l’importanza di rendere sempre più coscienti le comunità cristiane della natura della domenica cristiana cosicché, «qualora venga meno la presenza del sacerdote, la comunità sappia compiere la riunione domenicale secondo i valori che le sono propri». E aggiungeva: «Dobbiamo rilevare che in questo campo c’è molto da fare dato che, di solito, si insiste di più sull’obbligo della messa domenicale che non sull’obbligo della domenica in quanto tale»7. A distanza di quasi venticinque anni, molti passi sono stati fatti ed è sempre più assodato che, anche sen- 7 E. Mazza, Le assemblee domenicali in assenza del presbitero, in Rivista di pastorale liturgica 5 (1998) 14-15. za presbitero, vi può essere memoria della risurrezione con la liturgia della Parola e la distribuzione eucaristica. Non va dimenticata o messa in second’ordine rispetto alla dimensione liturgica la cura pastorale di cui una comunità ha bisogno e che può essere assunta ed esercitata dai laici. Essi possono riflettere la compassione che Gesù mostrò di fronte alle folle, che erano come pecore senza pastore, e che lo portò a sfamarle annunciando loro la Parola e spezzando per loro il pane (cfr. Mc 6,34-44).