Editoriale
2 Gianmarco Busca
Il Rito della penitenza, cinquant’anni dopo
Studi
5 M arkus Tymister
Il Rito della penitenza e la sua genesi
10 S ilvia Tarantelli
Le fatiche della recezione
15 A ndrea Grillo
La virtù e il sacramento
20 M arco Gallo
Il valore del colloquio penitenziale
26 D oriano Locatelli
La seconda forma: penitenza e comunità
31 A ndrea Pacini
Memorie della terza forma
37 A nnalisa Caputo
Il perdono difficile
44 Gianluca Marchetti
Prevenire l’abuso
nell’accompagnamento spirituale
49 Guido Bertagna
La linea sottile
Itinerari di giustizia riparativa
e prassi di riconciliazione
Formazione
55 L uca Palazzi
Quando il quarto diventa il secondo
59 Paolo Alliata
Non come muti spettatori
3. Il fondo del sacco
Asterischi
65 Julien Sauvé
Gesti e parole
5. Lo spazio del perdono
Chiacchiere di sacres tia
71 M anuel Belli
Curiosi casi penitenziali
75 Segnalazioni
EDITORIALE
Gianmarco Busca
Il Rito della penitenza,
cinquant’anni dopo
All’indomani della pubblicazione
del nuovo Rito della penitenza, gli stessi
redattori lamentarono l’insoddisfazione
per un libro liturgico inadeguato
a divenire strumento efficace per una
rinnovata prassi penitenziale. L’osservazione
critica circa la presenza, specie
nei Praenotanda, di una doppia
ispirazione teologica, quale risultato
della confluenza di due modelli interpretativi
sovrapposti (l’uno di matrice
biblico-patristica, l’altro debitore della
prassi post-tridentina della confessione
auricolare) fu ulteriormente precisata
nei termini di una discontinuita
tra alcune affermazioni di principio,
che recepivano la teologia liturgica e
l’ecclesiologia conciliare, e la loro trasposizione
nelle figure rituali.
Tuttavia, nonostante la giustapposizione
di concetti non armonizzati,
le premesse teologiche risultano piu
ricche della loro mediazione rituale,
palesando in questo modo la fatica a
esprimere con chiarezza ed efficacia
l’insegnamento dottrinale nei linguaggi
simbolici del rito. Negli ultimi decenni
il dialogo piu articolato tra teologia
sacramentaria e liturgia, infatti,
ci ha reso piu consapevoli che l’esperienza
rituale costituisce la via d’accesso
privilegiata al contenuto salvifico
del sacramento e la mediazione piu
efficace della sua comprensione. Non
a caso, Sacrosanctum concilium indicava
la necessaria riforma del rito quale
via per esperire la natura e l’effetto
della penitenza (n. 72).
Tuttavia, i liturgisti dovettero constatare
la disparita di prospettiva tra i
concetti teologici dichiarati e la loro
messa in azione rituale, soprattutto in
ordine ad alcune importanti affermazioni
dei Praenotanda, quali il primato
della Parola da cui muove l’intera
dinamica penitenziale, la conversione
come veritas paenitentiae, l’insostituibile
dimensione ecclesiale, la doppia
finalita di riconciliazione e purificazione,
nonche il riferimento all’assoluzione
che restituisce alla mensa eucaristica.
Non trovando un’adeguata
trascrizione espressiva nella celebrazione,
queste affermazioni risultano
aleatorie e incapaci di imprimersi nel
vissuto dei penitenti e delle comunita
ecclesiali. Se e vero che il rito “istituisce”
e plasma l’identita del soggettocelebrante, le attuali forme rituali traducono
e veicolano sostanzialmente
l’esperienza del venire “assolti”, quasi
arrestandosi dinanzi a quella piu complessiva
dell’essere “convertiti” e “riconciliati”
con l’assemblea eucaristica
che dovrebbe rappresentare il luogo
teologico in cui fare esperienza della
misericordia e del perdono divino.
A distanza di cinquant’anni dalla
pubblicazione del rituale e interessante
constatare come ritornino
nell’agenda ecclesiale alcuni dei temi
di fondo che, a partire dagli anni precedenti
il concilio, erano stati evidenziati
da esimi studiosi. Questo conferma
che tali questioni, afferenti all’identita
e alla prassi del sacramento,
sono rimaste, almeno in parte, aperte
e sospese. E un atto di responsabilita
ecclesiale, quindi, riprendere la riflessione
per non privare le comunita e
i fedeli dell’esperienza fondamentale
del perdono di Dio nelle sue forme
sacramentali. A distanza di decenni
dalla pubblicazione del libro liturgico,
infatti, vi e da parte di molti la
convinzione che la riforma sia rimasta
incompiuta, sia per i limiti delle
tre forme proposte sia per un mancato
apprendistato celebrativo, tanto dei
ministri quanto dei penitenti. Pertanto,
percorrere la via rituale parrebbe
essere l’acquisizione piu promettente
di questi anni, nella consapevolezza
che essa ha costituito proprio il nodo
su cui si bloccarono piu volte le
discussioni.
I contributi di questo numero della
Rivista riflettono sulle ragioni della
mancata recezione del nuovo rito e riaprono
alcune questioni che necessitano
di essere nuovamente esaminate
e, se possibile, risolte. E indispensabile
recuperare una visione del sacramento
che tenga conto della sua complessita
e introduca il correttivo alle unilateralita
e ai riduzionismi che hanno
gradualmente logorato dall’interno la
prassi della confessione, con l’esito di
una figura non piu in grado di accompagnare
l’esperienza penitenziale dei
cristiani. La prassi patristica e la tradizione
scolastica sono concordi nell’articolare
la struttura complessa del sacramento
negli atti del penitente e nei
molteplici interventi della comunita ecclesiale.
I primi necessitano di tempi e modi
di realizzazione, affinche maturi l’effettiva
metanoia del battezzato peccatore.
I secondi hanno il loro apice
nell’assoluzione, che restituisce all’altare
e innesca una serie di processi di
riconciliazione fraterna, etica e sociale.
Essi andrebbero fortemente valorizzati
e tradotti in azioni concrete e
profetiche, soprattutto in un contesto
storico come il nostro, che ha assoluta
necessita di dispositivi sociali di denunzia
del male, di richiesta di perdono,
di rappacificazione, di riparazione
e di presa in carico delle vittime. La
migliore tradizione penitenziale della
chiesa non ha mai ammesso che il
“tribunale” della penitenza funzionasse
alla maniera di un’amnistia che sostituisce
l’impegno serio dei singoli e
delle comunita a rinnovare con la forza
sacramentale del perdono gli assetti
della convivenza sociale deformati
dal peccato.
In quest’ottica non si possono dimenticare
le promettenti intuizioni
del sinodo dei vescovi del 1983, che
miravano a coordinare le riflessioni
pastorali sul sacramento della penitenza
con gli scenari storici di un
mondo bisognoso di riconciliazione.
In quell’assise veniva avanzata la proposta
di delineare itinerari capaci di
commisurare i rimedi penitenziali alla
gravita della condizione di peccato,
da valutare caso per caso secondo
un giudizio ecclesiale maturato nel discernimento
di foro interno, ma senza
trascurare dei parametri oggettivi (ad
esempio, una lista di peccati gravi e
scandalosi), giungendo cosi a disporre
di una pluralita di forme penitenziali
adeguate a far compiere ai singoli e
alle comunita un’effettiva esperienza
di conversione e di riattivazione della
vita sacramentale.
La riconciliazione dei penitenti e
policentrica, a motivo di una pluralita
di significati che la tradizione teologica
ha ben chiari. Vi troviamo la dimensione
teologale, ecclesiale e antropologica
del perdono, della penitenza
e della riconciliazione, che – secondo
una logica intrinseca – andrebbero
distese temporalmente e agite corporalmente.
Se l’insistenza unilaterale
su un singolo elemento della struttura
penitenziale arriva a nuocere alla sua
coesione interna, e oggi necessario ripensare
percorsi e forme che assicurino
a ogni atto di trovare la propria
espressione all’interno di un processo
unitario, che dovra essere interpretato
e vissuto con maggiore flessibilita
e finezza per intercettare la sensibilita
e le condizioni di vita dei cristiani
contemporanei.
Le nostre comunita necessitano di
essere condotte a una rinnovata disponibilita
a celebrare un sacramento
altrettanto rinnovato. Lavoriamo,
dunque, per restituire al rito il suo valore
teologico e alla chiesa una pastorale
penitenziale efficace e feconda.