Editoriale
2 Claudio Avogadri
Un “pezzo unico”
Studi
4 D aniele Piazzi
Il triduo pasquale
Lasciti e strascichi di una lunga storia
10 Marco Gallo
Dalla pasqua scaturiscono tutti i giorni santi
Un’unità complessa
15 Pierangelo Chiaramello
La domenica delle palme
Una celebrazione sulla soglia
20 Morena Baldacci
Il giovedì santo
Nella stanza al piano superiore
26 Patrick Prétot
Il venerdì santo
Celebrare la pasqua contemplando la croce
31 Francesca Peruzzotti – Emanuele Bordello
Il sabato santo
Le sfumature del silenzio
36 G ianandrea di Donna
La madre di tutte le veglie
L’iniziazione delle iniziazioni
41 D omenico Messina
La domenica di pasqua
Esperienza di unità e molteplicità
46 G abriele Tornambé
La messa del crisma
Tra punti assodati e possibilità
53 A lberto Giardina
La pietà popolare della settimana santa
Formazione
58 Claudio Campesato
La musica nella settimana santa
62 Paolo Alliata
Non come muti spettatori
1. Morte e vita
Asterischi
67 G ianni Cavagnoli
Gesti e parole
1. Il Preconio pasquale
71 A ntonio Scattolini
Gesti e parole
2. Il crocifisso
Chiacchiere di sacres tia
75 Manuel Belli
Animali mitologici pasquali
79 Segnalazioni
Claudio Avogadri
Un “pezzo unico”
Se guardiamo una pedina di legno a forma di alfiere fare un movimento in diagonale su un tavolo di quadrati bianchi e neri, sappiamo tutti che non stiamo osservando semplicemente il movimento di un oggetto nello spazio. C’è una ragione se l’alfiere si sposta solo in diagonale, soprattutto se si muove in quel preciso momento e in quel modo. Se volessimo capire il perché di quello spostamento nello spazio non potremmo limitarci a guardare più intensamente la scacchiera davanti ai nostri occhi, ma dovremmo interrogare il passato e il futuro di quel tavolo di gioco. Il passato, perché senz’altro quella mossa è “sintatticamente” legata a quelle precedenti e quindi è decifrabile soltanto alla luce di un prima che la rende strategicamente sensata; il futuro, perché la bontà di quello che è accaduto sul tavolo si rivelerà soltanto alla fine del gioco, quando cioè noi spettatori diremo: «Ecco perché quell’alfiere si è mosso così in quel momento». Se restassimo schiacciati al qui e ora del puro darsi del movimento, non riusciremmo a capire nulla di più di una banale traslazione. Perché è importante celebrare la settimana santa? Per certi versi, tecnicamente parlando, non si tratta di celebrazioni che valgono più di altre e, se ci limitassimo alla positività dei riti, non capiremmo perché quel momento dell’anno ha un valore così importante. Tuttavia, ci sono almeno due ragioni che ci aiutano a capire il senso di quella settimana e l’opportunità di celebrarla. La prima è teologica: quando diciamo che la fede cristiana ha il suo cuore nella pasqua, non intendiamo che quello che conta è il miracolo della domenica mattina. Pasqua, per i cristiani, è un evento di durata, che trova la sua decifrazione solo alla luce di tutti i giorni di cui è composta. Se ci limitassimo a guardare la croce o il sepolcro vuoto sarebbe come pretendere di capire il senso di una partita di scacchi giudicando lo spostamento del solo alfiere. Al contrario, la condizione per riconoscere in un corpo morto il Salvatore è scoprire come ci è arrivato, su quel legno. Senza gli episodi precedenti della vita di Gesù, non vedremmo nella croce che un patibolo e ci sarebbe impossibile distinguere l’evidenza di Dio da un ladrone qualsiasi. Allo stesso tempo, osservando il solo sepolcro vuoto, non riusciremmo a trasformare l’assenza di visibilità in un credere, ma ci troveremmo nella stessa posizione sgrammaticata delle guardie, che, non conoscendo la storia di colui che era sepolto lì, non vi hanno visto che un possibile trafugamento di cadavere. Se vogliamo decifrare e capire il senso della pasqua, allora, è importante mantenere unite le giornate che compongono la settimana santa, perché è l’unica maniera per appropriarci in modo credente di quell’evento. La seconda ragione è legata alla struttura stessa della fede, perché credere non è aderire a un contenuto, ma lasciarsi coinvolgere in una dinamica. Nelle nostre dichiarazioni siamo forse tutti d’accordo, ormai, nel dire che avere fede non si riduce all’adesione intellettuale nei confronti di una dottrina. Tuttavia, nel cristianesimo contemporaneo possiamo osservare nuove forme di adesione simili, non intellettualiste, ma ugualmente problematiche: ci riferiamo a quelle volte in cui si assolutizza l’aspetto miracolistico della pasqua, con la conseguenza di trasformare l’atto di fede nel gesto magico di consenso a un evento sbaragliante. L’effetto di una lettura magica (o puramente estetica) della pasqua è quello di non coinvolgere l’effettività del nostro aderire pratico: pasqua resta un’azione di Dio, un pacchetto che si può solo scegliere se accettare o meno. Al contrario, per i cristiani la pasqua realizza la sua verità quando diventa vita vissuta da parte di un credente, che se ne appropria non teoricamente, ma trasformando il proprio essere-nel-mondo. Per questa ragione, servono più giorni per entrare nel mistero del triduo: occorre che la liturgia sappia tradurre la propria ritualità in un cammino, perché la durata del dramma di Dio possa accompagnarsi alla durata del processo di vita di un credente, che non è tale perché ha una conoscenza in più, ma perché trasforma la qualità del movimento della propria vita. Affinché si incontrino due storie e imparino a crescere insieme, è proprio necessario un cammino, che i riti della settimana santa, scandendo le tappe della vicenda di Gesù, ci permettono di fare. Vivere la settimana santa, allora, sarà un’opportunità non solo se vi parteciperemo come a uno spettacolo, ma soprattutto se diventerà un’occasione per dare un ritmo nuovo al nostro vivere pratico e per contemplare il volto di Dio, la cui pienezza è visibile solo nel mistero di tutta quanta la vita di Gesù.