INDICE
Editoriale
2 M. Belli
Un dato da assumere
o un problema da regolare?
Studi
4 A. Pacini
Ma è veramente un problema?
10 O. Laham
Un esempio
di pratiche liturgiche ortodosse
14 J. Rumpel
Un esempio
di pratiche liturgiche luterane
19 M. Rizzi
Una preghiera interreligiosa?
27 P. Bordeyne
Beata incompletezza
dei matrimoni interconfessionali
32 G. Rota
Communicatio in sacris:
alcune attenzioni
36 D . Vendramin
Ospiti a casa loro
40 L . Fioriti
I cattolici orientali italiani
46 SAE (Segretariato attività ecumeniche)
La settimana di preghiera
per l’unità: esperienze
Formazione
51 F. Trudu
La liturgia fuori dalla parrocchia
6. Il carcere
56 G. Zanchi
I luoghi della liturgia
6. Le chiese contemporanee
Asterischi
60 R. Barile
Lectio Ritus
6. L’esorcismo invocativo
65 E . Mass imi
I canti liturgici
6. I bambini cantano “ancora” la messa?
Manuel Belli
Un dato da assumere
o un problema da regolare?
Questo è il ventunesimo numero
della rivista di cui ho l’onore di preparare
la pubblicazione. Il tema è ambizioso:
la globalizzazione ci porta a incontri e
attriti sempre più frequenti con diverse
forme di alterità, non ultima quella di
natura religiosa. Ma la fatica dell’incontro
con colui che vive un’altra esperienza
religiosa comporta che modi diversi
di pregare e di vivere i riti siano più facilmente
confrontabili. Quali sono le risorse
e le questioni che nascono da questo
nuovo “villaggio globale liturgico”?
Non vi è dubbio: è stato il numero
più complesso che mi è capitato di imbastire.
L’elenco delle difficoltà mi sembra
un modo efficace per comprendere
confini e limiti del lavoro.
Non è stato facile identificare i temi
dei singoli articoli. Quando con la redazione
abbiamo iniziato a progettare
il numero, la discussione si è protratta a
lungo perché da un lato i temi di volta
in volta individuati ci sembravano troppo
descrittivi, dall’altro lato gli affondi
più riflessivi apparivano troppo tecnici
e specifici. Penso che questo primo ordine
di ostacoli da superare metta in luce
un problema: non è facile identificare
un terreno medio e condiviso su cui
imbastire una riflessione che ambisca ad
essere di alta divulgazione. Si rendono
necessarie numerose premesse di natura
narrativa prima di provare ad affrontare
alcuni snodi. Nelle pagine che seguiranno
le narrazioni saranno le maggiori
protagoniste. Potrebbe venirne una indicazione
per una “pastorale liturgica”?
Probabilmente anche dal punto di vista
pastorale è forte l’urgenza di conoscersi,
narrarsi, incontrarsi, capirsi. Le testimonianze
che abbiamo raccolto e offerto
in queste pagine indicano che la differenza
religiosa costituisce un elemento
non secondario di difficoltà per una
effettiva integrazione sociale. Le nostre
comunità cristiane potrebbero farsi
promotrici di una maggiore capacità di
dialogo e di conoscenza reciproca?
Un secondo ordine di problemi è legato
all’estrema località delle questioni.
Il dato è paradossale: più viviamo in un
mondo globalizzato, più l’incontro sul
territorio di culture e religioni differenti
assume mille volti specifici. Se l’universo
social tende a standardizzare le relazioni,
le piazze dei paesi e delle città
rappresentano una vera resistenza all’omologazione.
Raccontare un’esperienza
bergamasca può sembrare utile poco
più di un incremento di cultura personale
per un abitante di Roma, mentre
2 | Editoriale
l’ascolto di un’esperienza ecumenica
di Roma è solo un distante evento per
un cristiano di una città di provincia.
Leggendo gli articoli che seguono, un
lettore potrebbe sentire estremamente
distanti da sé gli sguardi esposti sulla
questione della pluralità. Si tratta di un
rischio, ma forse anche di una risorsa:
la vita qui, oggi, in carne ed ossa resiste
ad ogni standardizzazione. Se con una
webcam posso illudermi di essere contemporaneamente
in una chiesa ortodossa,
in una assemblea evangelica e in
una celebrazione cattolica, il realismo
quotidiano crea situazioni, storie, interazioni
e tradizioni che non possono
essere comprese se non nella loro singolarità.
Il paradosso solo esteriormente
è tale: la comprensione del globale
richiede un’attenta disamina del locale.
Non nascondo che su taluni passaggi
il mio pensiero è stato: «Ma possiamo
mettere questo fatto, questa espressione,
questa affermazione, questa esperienza
su una rivista di interesse nazionale?
». Parlare di spazi in comune con
persone di altre fedi, celebrare in un villaggio
mussulmano, vivere un percorso
matrimoniale tra due confessioni diverse,
ipotizzare casi in cui sia possibile comunicarsi
in una Chiesa che non sia la
propria propone una serie di prassi da
esaminare su cui non sempre abbiamo
un canovaccio. Nostra aetate rappresenta
una svolta nel pensiero cattolico
circa le altre religioni, e in generale il
concilio ha indicato vie inedite per l’ecumenismo.
Abbiamo solo sessant’anni
di esperienza, su una storia cristiana di
più di due millenni: siamo dei pionieri.
E al pioniere deve essere riconosciuto
il coraggio di chi prova, ma l’attenuante
delle necessarie imprecisioni.
In questo numero abbiamo cercato
di condividere pensieri con associazioni
e gruppi che si occupano di ecumenismo,
mondialità e dialogo interreligioso.
Non è stata una ricerca facilissima in
termini di interlocutori: forse si tratta
del numero in cui più volte abbiamo
ricevuto un diniego rispetto al nostro
invito a scrivere. Come sempre, interpretare
un silenzio è rischioso. La motivazione
più frequente è stata la sensazione
di non avere un pensiero maturo
da mettere nero su bianco. O meglio: i
pensieri sono anche molti, e alcuni maturi;
sul tema specifico della ritualità e
della preghiera in rapporto a diverse
fedi o confessioni un po’ meno. Forse
la consuetudine ci ha consegnato il dibattito
come prettamente normativo,
legato a ciò che si può o non si può fare.
Il fatto che in una città si celebrino
riti di confessioni diverse, o preghiere
di fedi diverse potrebbe apparire come
un problema da regolamentare più
che una realtà da interpretare e leggere
in chiave teologica. Probabilmente è
il contributo più significativo di questo
timido tentativo. Abbiamo provato
a mettere su alcune pagine esperienze,
prospettive, racconti e pensieri; ci siamo
cimentati nell’assumere come dato
che celebrare diverse fedi e diversi riti
in una stessa comunità umana locale
non sia semplicemente fattualità foriera
di disagi.
Le pagine che seguiranno non hanno
alcuna pretesa di esattezza e di definitività.
Si tratta di un cantiere e di un esercizio
che chiedono di essere proseguiti.
Con questo numero terminiamo la
sessantesima annata della rivista. Nata
per accompagnare la riforma liturgica
negli anni del concilio e approdata a un
numero sul villaggio globale liturgico. I
due estremi mostrano il cammino fatto
e ci riempiono di gratitudine.