Editoriale
2 E. Massimi
Perché non scommettere sulla liturgia?
Studi
4 M. Gallo
«Democratizzare la liturgia»
La sinodalità come svelamento
10 G. Zurra
La liturgia: verità celebrata
della Chiesa
15 P. Carrara
Nomenclatura sinodale. Una mappa
21 A . Giardina
Guardarsi attorno
26 M. Belli
Quello che la liturgia sapeva già
30 G. Drouin
La presidenza liturgica
e la pluralità dei ministeri
36 F. Peruzzotti
La profezia e il carattere sovversivo
della liturgia
41 M. Baldacci
Chi è di casa nella liturgia?
46 S . Sirboni
Preparare una liturgia
come pratica sinodale
Formazione
52 F. Trudu
La liturgia fuori dalla parrocchia
4. I movimenti (II)
57 G. Zanchi
I luoghi della liturgia
4. Atmosfere tridentine
Asterischi
62 A . Meneghetti
Lectio Ritus
4. Noi vedemmo la sua gloria
66 E. Massimi
I canti liturgici
4. Il gregoriano: canto vivo o morto?
EDITORIALE
Elena Massimi
Perché non scommettere
sulla liturgia?
Il 4 ottobre prossimo verrà celebrata
la prima sessione della XVI Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
proprio sulla sinodalità. Un sinodo
particolare per più motivi: una
consistente partecipazione di laici con
diritto di voto, la strutturazione in due
sessioni, e il tema, diciamo “speciale”
per un sinodo, cioè la sinodalità (ma
un sinodo che riflette su se stesso, non
rischia di divenire autoreferenziale?).
Un sinodo sulla sinodalità non poteva
che essere preparato da due anni di
“esercizio” per assumere e sperimentare
uno stile sinodale. Il cammino sinodale
ha visto il coinvolgimento dei
diversi membri delle comunità ecclesiali,
tra impegno e disimpegno, tra
entusiasmo e stanchezza post-Covid,
tra fatiche e piccole conquiste.
Nel 2012 uscì un testo della Commissione
Teologica Internazionale su
La sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa, che ben approfondiva il
concetto di sinodalità nell’orizzonte
scritturistico, teologico e pastorale. Il
testo citato in più numeri metteva in
luce l’importanza e il connaturale legame
dell’eucaristia con la sinodalità.
Si legge, ad esempio, che «la sinassi
eucaristica è la sorgente e il paradigma
della spiritualità di comunione. In
essa si esprimono gli elementi specifici
della vita cristiana chiamati a plasmare
l’affectus sinodalis» (n. 77).
Forse siamo effettivamente una società
senza memoria, perché, come è
ben noto, nel Documento Preparatorio
pochissimo spazio trova la liturgia –
e la stessa eucaristia – e le domande
sicuramente non hanno aiutato le
comunità locali a fare il punto della
situazione sulla liturgia, ridotta alla
eucaristia, alla Parola di Dio e alla ministerialità.
Ma, se anche nelle riflessioni, nei
dibattiti, nella fase di ascolto, non è
stato dato spazio in modo uniforme
alla liturgia (in alcune sintesi diocesane
è molto presente, in altre completamente
assente), di ciò è testimone la
parte dedicata al celebrare della “sintesi
della sintesi” della fase diocesana
nazionale, nella quale si legge che «il
processo sinodale è stato segnato da
forte tensione spirituale», senza però
nominare la liturgia, ma solo la Parola
di Dio. Abbiamo forse dimenticato
anche SC 14, dove veniva evidenziato
che la liturgia «è la prima e indispensabile
fonte dalla quale i fedeli
possono attingere il genuino spirito
cristiano»? Nella medesima sintesi si
parla di “liturgie smorte”, ridotte a
spettacolo, e per questo «si avverte
l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà
e decoro per riscoprirne tutta
la bellezza e viverla come mistagogia,
educazione all’incontro con il mistero
della salvezza che tocca in profondità
le nostre vite, e come azione di tutto
il Popolo di Dio».
Però se è evidente che della liturgia
si è parlato poco – e forse, dal momento
che la liturgia non è un “discorso”
ma un’azione, questo è anche normale
–, ci si chiede se l’agire liturgico abbia
accompagnato il cammino sinodale,
se almeno qualcuno si sia ricordato
che, per poter camminare in modo
sinodale, è necessario celebrare bene
la liturgia.
Certamente le nostre chiese, dopo
il Covid, si sono svuotate, e con molta
fatica si ritorna per la celebrazione
eucaristica domenicale. Il bisogno di
celebrare in tempo di Covid è “scomparso”,
ma ciò è anche normale. È più
semplice vivere la liturgia in momenti
della vita particolari (nascita, crisi,
matrimonio, morte) che non nella
quotidianità. Infatti, terminata la
pandemia, e tornati alla vita normale,
le chiese sono rimaste vuote. E paradossalmente
riprendiamo le nostre
“antiche” strutture di pastorale in un
contesto che è totalmente altro, perché
anche noi siamo diversi, segnati
da quanto vissuto.
Allora vien da domandarsi: perché
non scommettere sulla liturgia? Cosa
abbiamo da perdere? Forse, in questo
tempo così faticoso, di crisi, anche se
segnato dalla quotidianità, non potrebbe
riemergere il bisogno di celebrare?
Potrebbe essere l’occasione per
credere (anche se per convenienza)
nelle potenzialità della liturgia?
In fondo questo cammino sinodale
ha del paradossale: si inserisce «nel
solco “dell’aggiornamento” della Chiesa
proposto dal Concilio Vaticano II»
(Documento preparatorio) e dimentica
proprio il programma del Concilio
stesso espresso in SC 1: «Il sacro Concilio
si propone di far crescere ogni
giorno più la vita cristiana tra i fedeli;
di meglio adattare alle esigenze del
nostro tempo quelle istituzioni che
sono soggette a mutamenti; di favorire
ciò che può contribuire all’unione di
tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire
ciò che giova a chiamare tutti nel seno
della Chiesa. Ritiene quindi di doversi
occupare in modo speciale anche
della riforma e della promozione della
liturgia».
La liturgia è necessaria per la riforma
della Chiesa, perché la Chiesa possa
essere “se stessa”, perché l’ecclesiologia
del Vaticano II possa realmente
“prendere corpo”.
Allora torniamo alla scommessa:
perché non scommettere sulla liturgia?
Pascal ci direbbe che, nella situazione
attuale, non abbiamo nulla da
perdere, e tutto da guadagnare. «Quale
male potrà palesarsi facendo questa
pia scelta?» (Pascal).