Editoriale
2 E. Castellucci
Con creativa fedeltà
Studi
4 S . Morra
La realtà è superiore all’idea
9 V. Le Chevalier
Una domenica senza messa
14 A . Costanzo
Tenersi confessati
20 M. Roselli
Come se fosse la prima volta
25 D. Piazzi
Il destino della messa feriale
30 A . Grillo
Il minimo necessario e la grazia sgraziata
36 F. Zaccaria
Dacci una candela quotidiana.
Uno sguardo pastorale sulla venerazione
delle immagini sacre
41 E. Massimi
Il caso serio di Maria
47 G. Drouin
Tra teologie, pratiche e rappresentazioni
Un andamento liturgico eterogeneo
Formazione
54 F. Trudu
La liturgia fuori dalla parrocchia
2. I monasteri
59 G. Zanchi
I luoghi della liturgia
2. Il genus basilicale, la mistagogia cosmica
Asterischi
64 R . Barile
Lectio Ritus
2. Dalla terra al cielo
69 E. Massimi
I canti liturgici
2. I canti per la Quaresima
EDITORIALE
Erio Castellucci
Con creativa fedeltà
«La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità»: Evangelii Gaudium 33 è forse uno dei passi più citati a tutti i livelli: dagli incontri parrocchiali ai convegni di teologia. Papa Francesco lo ha ripreso, all’inizio del Sinodo in corso, criticando l’immobilismo: «Siccome “si è sempre fatto così” – questa parola è un veleno nella vita della Chiesa – è meglio non cambiare. Chi si muove in questo orizzonte, anche senza accorgersene, cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo» (9 ottobre 2021). Tutti (o quasi) d’accordo con le dinamiche prospettive di papa Bergoglio: la tradizione non è statica, ma dinamica; l’indietrismo (ultimamente ha arricchito il vocabolario italiano con questa parola) è uno dei mali più grandi della Chiesa; la dottrina non è un cadavere ma un corpo vivo in continua crescita. Sì, tutti (o quasi) d’accordo, però... in che senso allora la liturgia, per sua stessa natura fatta di riti, e quindi ripetitiva, è culmine e fonte dell’azione ecclesiale (cfr. SC 10), e in particolare la celebrazione eucaristica è fonte e culmine della vita cristiana (cfr. LG 11)? In effetti non c’è niente di più fisso e codificato dei sacramenti e della messa – dove tutto è definito nei particolari – e nel sentire comune la liturgia suona monotona, sempre uguale a se stessa, povera di innovazioni. E se la liturgia è esemplare per la Chiesa, anzi è addirittura il motore della sua vita, come si può sposare con un qualche progresso? Non solo: la riforma liturgica post-conciliare ha cercato, con buoni risultati, di recuperare le fonti più antiche, ripristinando canoni, formule e preghiere in uso nei primi secoli dell’era cristiana; ha spesso sostituito con questi testi antichi quelli medievali e moderni; e, se ha inserito nuove formule, lo ha fatto con la maggiore aderenza possibile al linguaggio biblico. Insomma, la liturgia sembra proprio vivere su quel «si è fatto sempre così», tanto temuto da papa Francesco. Una soluzione ci dev’essere: e questo quaderno infatti ne prospetta più d’una. A partire dalla fondamentale distinzione avanzata da san Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Vaticano II (11 ottobre 1962): è necessario distinguere, nella dottrina, la sostanza dalle forme; la prima resta immutata, le altre devono necessariamente evolvere. Papa Francesco, in proposito, ama citare il Commonitorium, nel quale san Vincenzo di Lérins (sec. V) paragona la dottrina ecclesiale al corpo umano, che evolve e cambia aspetto, pur mantenendo la propria identità: è un progresso, dice l’abate, e non un cambiamento (profectus est et non permutatio). Infine, per dirla solennemente con le parole dell’ultimo Concilio: «La Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli» (GS 10). La liturgia dunque si rinnova cambiando le forme e mantenendo il suo radicamento nella sostanza, che è il mistero del Signore Gesù, inviato dal Padre e vivo nello Spirito. Nel corso dei secoli, però, il mistero è stato talvolta reificato, concentrando l’attenzione sugli elementi materiali e formali che garantiscono la validità delle celebrazioni (o... cerimonie) e trascurando la vita che vi è intrisa. Ma un’occhiata, anche rapida, ai passi del Nuovo Testamento che sono all’origine della vita liturgica della Chiesa, ci porta su un piano dinamico, vitale e sinodale. Basti pensare a quelli che poi la tradizione, consacrata da Tommaso d’Aquino, definirà i sacramenti “principali”(potiora), l’eucaristia e il battesimo, i due fuochi di quell’ellisse che è la vita liturgica della Chiesa. Le comunità delle origini non sono preoccupate di individuarne esattamente la materia e la forma, definirne le formule essenziali, distinguervi ciò che è valido da ciò che è fruttuoso e così via; si tratta di aspetti utili e necessari, ma secondari di fronte alla sostanza: l’incontro con il Signore vivente. Il battesimo, immersione nella pasqua di Gesù (cfr. Rm 6,3-6), è una tappa del percorso dell’annuncio: e il ministro della regina Candace può riceverlo dal diacono Filippo mentre è in viaggio, facendo una piccola sosta, dopo la quale Filippo scompare (cfr. At 8,26-40). L’eucaristia, memoriale della pasqua di Gesù (cfr. 1 Cor 11,23-26), è l’apice dell’incontro con il Risorto: e i due discepoli di Emmaus vi prendono parte, avendo ospitato alla loro mensa il Signore non ancora riconosciuto, che sparisce dalla loro vista perché si mettano loro stessi in cammino con la Chiesa apostolica (cfr. Lc 24,13-53). Itineranti, sinodali, dinamici: i due sacramenti più importanti sono amministrati in cammino. La struttura dei riti rimane sempre la stessa, perché non sono canovacci teatrali da reinventare continuamente ad opera di attori e registi; sono invece doni che vengono da Dio e che la Chiesa accoglie nella loro sostanza immutabile, cercando di modulare forme, segni e linguaggi con creativa fedeltà. Questa è la bella sfida della viva tradizione cristiana.