Editoriale
2 F.G. Brambilla
L’urto della realtà
Studi
6 V. Mignozzi
Prassi rituali, teologie, evoluzione
12 M . Belli
Il caso dell’iniziazione cristiana
17 F. Peruzzotti
Liturgia al maschile e al femminile
22 M . Gallo
Omoaffettività e liturgia:
benedizioni proibite?
27 V. Rossi
Padrino e madrina
33 M . Aversano – L. Carando – I. Gallo
Divorziati e risposati dopo Amoris Laetitia
38 L . Palazzi
Tra anziani e bambini, dove sono gli adulti?
43 A . Matteo
Non è una Chiesa per giovani?
48 S . Tarantelli
Gli edifici di culto
Formazione
53 F. Trudu
La liturgia fuori dalla parrocchia
1. I santuari
48 G. Zanchi
I luoghi della liturgia
1. Le antiche chiese siriane
Asterischi
62 A . Meneghetti
Lectio Ritus
1. La vocazione
ad essere popolo di sacerdoti
66 E . Massimi
I canti della liturgia
1. Il Pane del cammino e Gloria
Editoriale
Franco Giulio Brambilla
L’urto della realtà
Incroci fra storia e celebrazione
Formule e concetti – nel loro ambito sensati e validi – ci hanno precluso la visione
della realtà nella sua interezza. Abbiamo pensato non più secondo vive rappresentazioni,
ma secondo segni, classificazioni di contrassegni che significavano cose, così
come una banconota significa un valore senza essere per sé un valore. Non abbiamo
più vissuto a cuore aperto l’urto della realtà né percepito il modo d’essere delle cose. Ora
si desta la volontà di vedere di nuovo le cose, non i concetti; di pensare e affermare
realtà, non parole. Ci si presenta nuovamente come compito il cimento duro, ma
altrettanto fecondo, con il mondo reale nella sua pienezza e nella sua forza a sé stante.
Così pure il compito di porsi con rispetto di fronte al senso proprio delle cose,
chiamandole veramente come esse sono, ascoltandone il messaggio, ma rivolgendo
ad esse contemporaneamente la volontà plasmatrice.
«Ritornare alle cose stesse»: questo è l’imperativo che Guardini, esattamente un secolo fa, metteva davanti alla nostra mente e al nostro cuore, per tornare a sentire “l’urto della realtà”. Non avevo ancora letto – lo confesso – questo saggio del Filosofo e Teologo di Monaco, di origini italiane, anche perché è stato pubblicato in Italia relativamente tardi. A un secolo di distanza, pur contrassegnato dall’afflato profetico dello Jugendbewegung, a cui Guardini partecipava con l’aggregazione Quickborn (Fonte viva), il testo rivela ancora tutta la sua freschezza. Esso appartiene al trittico: Lo Spirito della liturgia (1918), Formazione liturgica (1923), I santi segni (1927). Guardini propone un programma di vasto respiro, di cui il nostro saggio tesse l’ordito di fondo con grande impegno filosofico: per ritrovare il fascino (bellezza estetica) e la persuasività (bontà etica) dell’atto liturgico è necessario restituire al soggetto, collocato nel “noi” ecclesiale, la sua capacità simbolica, chiave d’accesso alla verità delle cose (l’urto della realtà). Il maestro monacense lo dice sin dall’inizio con slancio: «Adesso importa che si riconosca in che cosa consista quel che è proprio dell’accadere (Geschehen) liturgico e del suo realizzarsi nell’atto liturgico» (41). E lo fa con un grande affresco nel quale non contrappone aspetto soggettivo e intenzionalità oggettiva dell’atto liturgico, ma con la paziente esplorazione di un triplice rapporto con cui restituire all’uomo d’oggi la sua forza simbolica: il rapporto anima e corpo, il rapporto con il mondo e la relazione tra persona e comunità. Il punto d’avvio è singolare e limpidissimo: contro una religione dell’interiorità e del sentimento di fine Ottocento, la singolarità dell’uomo, inteso quale anima forma corporis, dice che l’anima trova la sua espressione nel corpo, proprio nel momento in cui lo trascende, pur penetrandolo totalmente, come spirito incarnato: qui si rivela il «rapporto simbolico per antonomasia» (59) che si realizza in modo eminente nell’atto liturgico. Ecco la prima grande traiettoria della “formazione” (Bildung): «L’uomo deve diventare nuovamente capace di simboli» (60). Guardini critica il processo della modernità come spiritualizzazione, idealismo e razionalismo astratto, fino all’organicismo del mondo contemporaneo. A un secolo di distanza possiamo dire che la lezione guardiniana è stata appresa, anche se talvolta ha corso il pericolo, che egli fin d’allora paventava, di una simbolizzazione arbitraria e retorica, che non assume l’interazione di anima e corpo, ma che contrabbanda segni per simboli, i primi bisognosi di interminabili spiegazioni. Ecco il primo compito della Bildung: «Dobbiamo imparare a pregare con il nostro corpo. Dobbiamo imparare a esprimere l’interiorità all’esterno e a desumere l’interiorità (altrui) dall’esterno. Dobbiamo ridiventare capaci di simboli» (69). L’enfasi sulla capacità simbolica dell’azione liturgica ha attraversato il Novecento, anticipata dallo sguardo pionieristico di Guardini. Essa poi è stata sostenuta da diversi filoni del pensiero contemporaneo. Basti ricordare Ricoeur con il suo «Il simbolo dà a pensare», e si potrebbe aggiungere: «Dà anche da… fare». L’azione liturgica della Chiesa è un atto che però non è solo potentemente espressivo del soggetto/comunità, ma è anche essenzialmente recettivo dell’accadere del Mistero santo nella celebrazione rituale: la liturgia è azione di Cristo nell’atto rituale della Chiesa! La reciproca immanenza di azione di Cristo e azione della Chiesa (va ricordato che non è l’unico luogo in cui ciò avviene, perché egli si rende presente anche nella comunione/carità) non è però alla pari: l’atto liturgico del singolo inserito nel noi ecclesiale, con tutta la sua forza simbolica espressiva e trasformante, ha da essere nel suo fondo recettivo della presenza e della forza d’urto dell’azione di Cristo, della sua Pasqua! Qui si colloca il secondo passo della Bildung proposto da Guardini: imparare «l’urto della realtà» nel modo d’essere delle cose e lasciarsi toccare, anzi trasfigurare, dalla sua presenza trasformante. Su questo aspetto l’operetta di Guardini dà forse il suo contributo più geniale e a un secolo di distanza resta ancora un potente stimolo per oggi. L’impresa sembra immensa perché il mondo oggettivo «con il suo spazio illimitato, con il tempo che scorre senza fine e l’incommensurabile abbondanza delle cose» (76) trasmette all’uomo un senso di smarrimento. Per questo […]